È “Ascoltate” il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2022. E l’esortazione è senza dubbio importante per chi, come me, fa un mestiere in cui si deve sapere ascoltare, prima di potere scrivere. Eppure, la domanda vera non è se ascoltare. La domanda vera è chi e cosa ascoltare.
Non si tratta di una domanda banale, in
un tempo in cui le fonti di informazioni si sono moltiplicate, e il
giornalismo è diventato sempre più questione di audience e sempre meno
questione di ascolto, dove tutto è così veloce che non si fa in tempo non tanto
ad ascoltare, quanto a processare quello che si ascolta, comprendere chi e cosa
ascoltare è fondamentale.
E lo è ancora di più
se si pensa all’informazione religiosa. Colpita da una mentalità
simil-politica, l’informazione
religiosa è diventa sempre più megafono di una polarizzazione di posizioni che
sembrano mettere da parte il tema cruciale della fede, anche quando ne
parlano esplicitamente. Anzi, la fede
appare strumentalizzata, piegata per sostenere delle posizioni o le posizioni
avverse, in un gioco delle parti che coinvolge anche gli uomini di Chiesa, e
persino gli uomini di Chiesa considerati più spirituali.
Ci si trova, così, di fronte
ad un linguaggio secolare anche questo linguaggio è profondamente spirituale, o
perlomeno presentato come tale.
Il che fa nascere il sospetto che alla fine si tratti di un
grande gioco delle parti, in cui non
c’entrino tanto le differenze di pensiero quanto le spinte ideologiche per il
potere.
Per essere concreti, quando ci si chiede chi ascoltare nel
dibattito attuale, a chi ci si riferisce? Forse si deve ascoltare il Cardinale Robert Sarah, già prefetto
della Congregazione per il Culto Divino, considerato un uomo profondamente
spirituale e un vero difensore dell’Eucarestia? Oppure si deve ascoltare di più
il Cardinale Michael Czerny, che ha
anche messo in cantiere un volume sulla dottrina sociale in Papa Francesco e la
sua continuità con il Concilio Vaticano II?
Si deve ascoltare forse l’arcivescovo
Carlo Maria Viganò, ormai onnipresente con le sue denunce contro il
pensiero odierno della Chiesa? Oppure l’arcivescovo
Victor Fernandez, considerato il teologo del Papa, che invece è noto per
spiegare e giustificare il pensiero del Papa?
Gli esempi potrebbero
continuare all’infinito, citando monsignori, studiosi, cardinali, laici.
Tutti osannati da una parte o dall’altra, tutti generalmente posti in uno schieramento,
a meno che non siano loro stessi a schierarsi esplicitamente.
È proprio a motivo di questa contrapposizione netta, che la risposta che dovrebbe dare un
giornalista è che non si ascolta nessuno di loro. O, per meglio dire: che
si ascoltano tutti, ma che poi a tutti viene dato lo stesso peso, evitando di
farsi coinvolgere nel dibattito o nel gioco degli schieramenti. Perché l’ascolto non significa diventare
complici di un sistema. L’ascolto significa comprendere il sistema, e magari
saperci giocare. E significa farlo comprendere a chi ascolta noi,
consapevoli che creare una consapevolezza è un atto eroico.
Lo dico nell’anno in
cui due giornalisti vengono insigniti del Premio Nobel per la pace. Anche
lì, si devono comprendere le motivazioni profonde del premio. Perché entrambi
hanno ricevuto il premio per la loro
“coraggiosa lotta” nel garantire la libertà di espressione nelle loro nazioni,
nelle Filippine e in Russia. Ma, al di là della valutazione politica del
loro lavoro, non si va a premiare un risultato concreto nel percorso per la
pace. Si è piuttosto premiata una presa
di posizione. E, in qualche modo, si è detto come si vorrebbe che il
giornalismo fosse.
Un giornalismo, in
generale, schierato, investigativo ma solo quando si interroga di cosa non dà
fastidio ai poteri forti, perché altrimenti gli stessi giornalisti sono
vilipesi, impediti di lavorare, messi ai margini.
Ascoltare, dunque, è
un punto di partenza fondamentale, ma comprendere chi e che cosa ascoltare è il
tema principale. Ascoltare significa liberarsi dai pregiudizi, ed entrare
in quella fase di umiltà
epistemologica che da tempo cerco di spiegare. Per un giornalista che
fa informazione religiosa, significa soprattutto cominciare a leggere gli
eventi ascoltando la storia, prima che le persone, e vedendo i fatti, prima che
i pregiudizi.
Si deve cercare di andare oltre al
dibattito in corso, e mettersi ad ascoltare la storia, a vedere i precedenti, a creare chiavi di lettura che
possano andare oltre le narrazioni contrapposte. Si deve cercare di andare oltre il pregiudizio ideologico, parlando con
le persone, e basandosi sull’istinto che ogni persona prova nel parlare con
le persone.
È un
qualcosa che è contenuto anche nella spiegazione del tema. La spiegazione
sottolinea anche che “Gesù stesso ci chiede di fare attenzione a come
ascoltiamo (cf Lc 8,18)”. Ed è in
questo brano del Vangelo cui si fa riferimento che si possono trovare delle
risposte.
In quel brano di Luca,
Gesù dice alla folla: “Nessuno
accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la
pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce. Non c'è nulla
di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba
essere conosciuto e venire in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma
a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere”.
Sembra un brano paradossale, e in parte lo è.
Perché a chi ha sarà dato? Perché chi ha, lo ha conquistato, lo ha voluto. Chi ha, ha ascoltato (nel caso specifico,
la Parola di Dio), mentre chi non ha, ha deciso di staccarsi (dalla parola di
Dio).
Cosa deve fare, allora, un giornalista che fa
informazione religiosa? A volte, avere
significa anche andare contro-corrente, rifiutati e marginalizzati. Non
sempre nel mondo è vero che la verità si impone da sé. Si direbbe che è più facile che la propaganda si imponga con la sua
forza.
Ma il Vangelo
ci chiede di prendere la via lunga,
di comprendere e spiegare meglio degli altri. Di andare oltre le logiche
commerciali, ma anche di andare oltre le mere logiche umane.
Ascoltare significa, dunque, comprendere che una notizia è al di là delle logiche del clic. Che non
si dà al lettore cosa vuole, ma si racconta ciò che si vede. E che ciò che
si vede non si può vedere a partire da un pregiudizio. Ascoltare significa
andare al di là della guerra civile delle narrazioni che è diventato oggi. Ascoltare significa essere uomini, prima di
tutto, e uomini di servizio, come sono gli operatori dell’informazione.
Perché noi esistiamo per raccontare agli altri cose che non possono vedere, e
far capire cose che non possono comprendere.
Ecco, mi piacerebbe ci fosse tutto questo nel
messaggio del Papa per la Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2021. E che ci fosse, soprattutto, un
accenno alla necessità di fare cultura. Perché senza, ogni ascolto è vano.
Tutto resta come prima. E, oggi, non ce lo possiamo permettere.
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