Ho cominciato a scrivere sui giornali di carta, con un ritmo di redazione forse non esattamente tradizionale, ma comunque preciso e scandito, e con le pagine che davano la dimensione stessa di quello che si doveva raccontare. Eppure, era già il mondo dei giornali che si dilatava, che cercava storie ed approfondimenti, più che notizie. La mia palestra era La Sicilia, dove mi facevano scrivere persino i fondi politici e mi spronavano a inventare e pensare reportage, inchieste, serie di articoli di grande respiro. A un certo punto, quando ero ancora un giovane vaticanista, mi diedero persino una rubrica, che furbescamente finiva a pagina 42 di un inserto del sabato, ma che c’era, e si chiamava “Stanze vaticane”. Lì raccoglievo e mettevo insieme tutte le informazioni che potevano essere di interesse e che però non potevano andare in pagina come notizie, né come editoriali.