Cosa fa un
vaticanista? Mi è stato chiesto in circa due ore di intervista, in
Lituania, per il portale cattolico Bernardinai. Perché, in fondo, quello
del vaticanista è un mestiere esotico, un po’ come lo era quello del cremlinologo fino agli anni Ottanta, e
un po’ come lo è quello del quirinalista nei grandi giornali. Perché tutti conoscono il Vaticano, guardano alle parole
del Papa, vivono con partecipazione i grandi eventi. È il passaggio
successivo che manca, quella comprensione delle cose che permette di andare a
dare una cornice al tutto, e a definire anche i contorni più complicati.
Non sorprende, allora, che la cronista mi si sia presentata con un blocco di due pagine, pieno
di domande raccolte da tutta la redazione, perché tutti volevano capire,
comprendere, interpretare il lavoro che faccio ormai da dieci anni.
Sono molti i temi e le questioni che ho dipanato in due ore
di conversazione. E provo a riassumerne alcuni qui, perché secondo me vale la pena discuterne. Quello che segue è una
specie di manifesto di come intendo la
professione.
Cosa fa il vaticanista, dunque?
Prima di tutto, studia. Studia
tantissimo, continuamente, senza fermarsi. Studia con curiosità. Studia perché la sua principale qualità
deve essere
l’umiltà epistemologica, ovvero l’umiltà di porsi davanti alle
questioni con la volontà di capirle, non di giudicarle.
Cosa studia il vaticanista?
Studia molta storia
della Chiesa, per imparare a relativizzare, per comprendere che molti dei
dibattiti di oggi non sono altro che
riproposizioni di dibattiti che ci sono sempre stati nella storia della Chiesa,
e sempre ci saranno. Studia la storia perché la storia aiuta ad evitare il sensazionalismo e aiuta a dare una prospettiva.
Il vaticanista non è un giornalista a due dimensioni. È, necessariamente, un giornalista in 3D. Tra l’altro, deve
avere l’ambizioso obiettivo di non essere un mediocre 3D, ma di diventare un 3D in HD.
Come si diventa un vaticanista in HD?
Non c’è una ricetta precisa. La mia idea è che si diventa quel tipo di giornalista parlando con le
persone. Anzi, parlando tanto con le persone. Sviluppando i rapporti con
chiunque possa essere d’aiuto. Il
vaticanista è un giornalista che fa il mestiere per strada, agli eventi, in
ogni possibile incontro. Il vaticanista parla con gli officiali vaticani
meno appariscenti, ma che sanno dare
chiavi di lettura. Comprende che tutti, in Vaticano, possono avere una
importanza e dare una chiave di lettura, e che dunque non può avere pregiudizi su nessuno. Ovvio, il
vaticanista parte sempre da una prospettiva: la sua. Ma deve avere anche il coraggio di parlare con quanti hanno prospettive
diverse, e di raccontarlo. Considerando le peculiarità del Vaticano.
E quali sono le peculiarità del Vaticano?
Prima di tutto, il
Vaticano non esiste. Esiste lo Stato di Città del Vaticano, esiste la Santa
Sede, ma non il Vaticano in quanto
entità. Sembra una battuta, ma serve a comprendere. Ogni cosa ha un senso
profondo, ogni titolo non è un orpello, ma ha un senso radicato in millenni.
Anche il numero delle guardie svizzere durante la visita di un capo di Stato o
un monarca o ad un Papa è parte del modo vaticano di raccontarsi. Niente va
sottovalutato, perché i dettagli sono
importanti. Si devono conoscere, si devono studiare, si deve dare loro
valore. Il protocollo non è un orpello, ma un linguaggio. La Santa Sede non è una istituzione inutile,
ma permette alla Chiesa di avere una voce internazionale per difendere i senza
voce. Lo Stato di Città del Vaticano non
è un residuo monarchico, ma un territorio necessario per dare sostanza alla
Santa Sede. Ma tutto questo non avrebbe
senso se non si capisse un dato fondamentale.
Quale è il dato fondamentale per capire il Vaticano?
Che tutto viene
dall’Eucarestia. Tutto nasce da lì. Non si può raccontare il Vaticano
utilizzando categorie secolari,
perché con le categorie secolari si applica un linguaggio che non risponde a
tutte le sfumature necessarie per capire. Per fare un esempio, la diplomazia della Santa Sede è una
diplomazia dell’Eucarestia. La prima preoccupazione è quella di avere
sacerdoti per consacrare l’Eucarestia, e per avere sacerdoti ci vogliono vescovi
che li consacrino. Da questa preoccupazione è partita la Santa Sede, sempre
rimanendo nell’esempio, per arrivare a stabilire
un accordo confidenziale con la Cina sulla nomina dei vescovi. È una
scelta che va al di là di ogni dato politico, ogni questione secolare. La Santa Sede fece
un accordo simile con l’Ungheria negli anni della Cortina di Ferro. Era
l’Ostpolitik di Casaroli. In termini politici, tutti ne parlano male. La
contrappongono alla battagliera disposizione di San Giovanni Paolo II nei Paesi
comunisti. Eppure anche Giovanni Paolo II la
riteneva necessaria e importante, sennò perché avrebbe scelto Casaroli come suo
segretario di Stato? Come vedete, tutto è intrecciato, persino in un
commento semplice come questo. Il vaticanismo,
in fondo, è un giornalismo di un mondo interconnesoo e interdipendente, ma
allo stesso tempo chiuso in se stesso e con un linguaggio suo peculiare. Un
mondo che, davvero, non si può ridurre a tante semplificazioni.
In che modo, allora, evitare le semplificazioni?
Accettando di non
poter usare il linguaggio generico, accettando di non semplificare troppo
né di polarizzare troppo, che è il vero
problema oggi. E, soprattutto, rimanendo onesti con se stessi. Abbastanza onesti da sottolineare che, in
fondo, stiamo parlando sempre di una lettura dei fatti basata su punti di vista
parziali, con fonti che sono ancora più parziali. A differenza della
politica, in pochi nella Santa Sede hanno voglia di spiegare le cose, perché è
un mondo che vive “sottovoce”, come diceva Benny Lai. E quelli che
parlano lo fanno perché hanno un obiettivo preciso. Ma il vaticanista non può
essere un passacarte, che pubblica
documenti commentandoli in maniera partigiana, come è successo. Il
vaticanista deve sapere leggere i
documenti e saperli mettere in contesto. Ma questo porta a un altro tema:
il vaticanista deve trovare un nuovo
modo di praticare la professione.
E quale è questo modo di praticare la professione?
Il tema è affascinante, perché
tocca l’intera professione del giornalista. Con la presenza di internet e
la diffusione dei social network, siamo di fronte a una proliferazione di
notizie senza pari. Tutti possono
pubblicare una notizia, ma non tutti sono giornalisti. Il giornalista, in generale, è chiamato ad essere mediatore della
realtà, a non dare solamente una notizia come fosse un banale dispaccio di
agenzia, ma anche a spiegare le ragioni e i motivi che hanno portato a
quell’evento. Il vaticanista anche, con la differenza che lo studio alla base è
ancora superiore, perché lo sono le sfumature. Il vaticanista del futuro è un analista con memoria straordinaria,
capacità di interconnettere i temi, senso della notizia e velocità nello scrivere un articolo approfondito e articolato. Si
deve essere veloci, profondi e precisi.
Non basta essere veloci. Non basta essere profondi tenendosi i tempi di un
settimanale. Si tratta di combinare le cose. Ed è questo che rende la professione adesso così affascinante.
Perché occuparsi di Vaticano significa in fondo occuparsi di
liturgia, storia della Chiesa, teologia. Ma
anche di diplomazia, politica internazionale, affari sociali. E ancora, di
diritto, di finanza, di dialogo interreligioso ed ecumenico.
Fare il vaticanista, alla fine, non è nemmeno un mestiere a
tre dimensioni, ma a quattro dimensioni.
Cui si aggiunge una quinta dimensione: l’anticipo
di simpatia che porta ad ascoltare tutte le fonti, tutte le sfumature e poi a
verificarle e raccontarle. Senza anticipo di simpatia, si è in un
pregiudizio negativo. E molte delle cose che ho appena scritto potrebbero
essere sacrificate in nome proprio del pregiudizio negativo.
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