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giovedì 1 giugno 2023

"Dimmi la verità": il libro di Shevchuk con Paolo Asolan pubblicato in ucraino. Con una mia postfazione

Nel 2018, venne data alle stampe la conversazione tra don Paolo Asolan e l'arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, in un libro intitolato "Dimmi la verità". Era un vasto dialogo su molti temi, che toccavano anche la questione del conflitto in Ucraina, ma che in realtà si concentravano più sui temi della Chiesa. Questo libro è stato successivamente tradotto in ucraino, godendo della prestigiosa prefazione del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Era, però, necessaria anche una postfazione, che tenesse conto di quello che era successo negli ultimi cinque anni. Questa postfazione mi è stata indegnamente affidata. Il libro è stato presentato il 31 maggio a Lviv, ed è già in diffusione. Posso, così, pubblicare il testo della post-fazione nell'originale italiano, per quanti volessero leggerla. 

L’Ucraina resiste. L’Ucraina combatte. L’Ucraina prega

Di Andrea Gagliarducci

 

Quando questo libro è stato dato alle stampe, nel 2018, non era ancora cominciata l’aggressione su larga scala della Russia all’Ucraina. Eppure, tutto in questo libro, e specialmente nelle sue ultime pagine, lasciava preconizzare che ci sarebbe stata, prima o poi, la cosiddetta “operazione militare speciale” che dal 24 febbraio 2022 ha messo l’Ucraina a ferro e fuoco.

 

Mentre scrivo siamo all’inizio di novembre, eppure “l’Ucraina resiste. L’Ucraina combatte. L’Ucraina prega”. Lo ripete, incessantemente, Sua Beatitudine Sviatoslav in ogni videomessaggio che dal primo giorno del conflitto riesce ad inviare e diffondere quotidianamente, per dare forza al suo popolo, ma anche comunicare al mondo una presenza indomita. Alla fine, l’Ucraina potrebbe anche essere un failed State, come dice (in maniera a volte poco credibile) la narrativa russa. Di certo, però, non è un failed people, una popolazione fallita.

 

In tutto questo, la Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha una esperienza che la rende diversa da ogni altra Chiesa. Dopo lo pseudo-Sinodo di Lviv del 1946, confrontati con la scelta di essere sciolti o aderire al Patriarcato di Mosca, fedeli e gerarchia della Chiesa Greco Cattolica Ucraina entrarono in diaspora.

 

Fu un momento terribile, ma fu anche la salvezza. Perché quella diaspora ha reso la Chiesa Greco Cattolica Ucraina come una Chiesa globale, la più grande delle Chiese sui iuris in comunione con la Chiesa Cattolica, ponte naturale tra Oriente e Occidente e voce di quel mondo orientale che non solo ha temuto, ma ha sperimentato la durezza dell’oppressione sovietica e dell’ateismo di Stato.

 

Quando Sua Beatitudine Shevchuk parla, lo fa, dunque, con l’autorevolezza di un patriarca (anche se la Chiesa Greco Cattolica Ucraina non ha un patriarcato, e Beatitudine è arcivescovo maggiore), ma anche con la visione del mondo di chi è stato migrante e rifugiato, povero, orfano e vedova. Ha sperimentato, insomma, tutte le categorie della carità evangeliche con lo sguardo fisso su Roma e la visione di chi è cittadino del mondo.

 

Non stiamo parlando di un santino, ovviamente. Stiamo parlando di un pastore fatto di carne e di sangue, che soffre profondamente per il destino del suo popolo, ma che pure gli resta accanto per portare avanti quella speranza cristiana che è l’unica garanzia di unità.

 

In questi ultimi quattro anni, Sua Beatitudine ha sviluppato sempre più uno sguardo sul mondo non concentrato sull’oggi, ma sul futuro. Ed è uno sguardo che, mentre la guerra incalza, permette di guardare al futuro, alla costruzione della nazione, e anche ad una eventuale riconciliazione russo-ucraina. Riconciliazione impensabile mentre la guerra impazza, e difficile anche subito dopo la fine della guerra, quando ci sarà, ma necessaria per ricostruire una società a prova di guerra. Una società davvero cristiana.

 

“Signore, perché hai fatto risorgere il mio popolo?”

 

Sua Beatitudine Shevchuk, presentando questo libro a Roma nell’ottobre 2018, ha confessato che, meditando i misteri della Pasqua, gli veniva da chiedersi: “Signore, perché hai fatto risorgere il mio popolo?”

 

Era una domanda che nasceva dalla consapevolezza che il suo stesso popolo era morto e poi era risorto, e che la Chiesa Greco Cattolica Ucraina di cui lui, molto giovane, era stato eletto Padre e Capo, aveva vissuto la stessa esperienza, secondo quella simbiosi tra popolo e Chiesa, popolo e fede che non si può negare in Ucraina.

 

Sua Beatitudine disse di aver posto a Papa Francesco la stessa domanda. E il Papa avrebbe risposto: “Forse la vostra Chiesa, il vostro popolo, ha una missione particolare”.

 

Eppure, confessava, “molti pensano che se i greco cattolici non esistessero, la vita sarebbe più facile”.

 

Forse la vita sarebbe più facile dal punto di vista politico. Mentre Beatitudine parlava, era appena partito quel processo che avrebbe portato all’autocefalia della Chiesa Ortodossa Ucraina concessa dal Patriarcato di Costantinopoli. Un duro colpo per il Patriarcato di Mosca, abituato a considerare l’Ucraina come suo territorio canonico. Un colpo durissimo per la Russia, che vedeva così svanire l’ultimo legame che la teneva ancora collegata all’Ucraina.

 

E allora è normale che Beatitudine si ponesse questa domanda, preconizzando le sofferenze cui si stava per andare incontro.

 

Le pagine finali di questo libro erano già una previsione del futuro.

 

“La sfida (della guerra) – diceva Beatitudine - sembra piuttosto quella di assoggettare nuovamente l'Ucraina e di ricostruire l'Unione Sovietica. E fino a quando l'Ucraina non rinuncerà alla prospettiva di integrazione con l’Europa, sarà colpita come sempre è successo nella nostra storia. Vediamo bene che non c'è una soluzione militare per la guerra: dobbiamo trovare una soluzione diplomatica che si basi sul diritto internazionale. Se si affermasse non la forza del diritto ma il diritto del più forte, allora questo significherebbe che il sistema del diritto internazionale non funziona più, non tutela e non genera sicurezza; dunque bisognerebbe rivedere tutti gli equilibri internazionali che si sono creati dopo la seconda guerra mondiale”.

 

Parlando della dichiarazione dell’Avana siglata il 16 febbraio 2016 da Papa Francesco e dal Patriarca Kirill, il padre e capo della Chiesa greco Cattolica Ucraina metteva in luce tre perplessità, e in particolare una riguardante la situazione della guerra in Ucraina.

 

Il testo invita le Chiese di entrambe le parti a “non appoggiare la guerra”. Ma – aggiunge Beatitudine – “da come si esprime il testo, si potrebbe immaginare che in Ucraina sia in corso una guerra civile, dove una Chiesa appoggia una parte e un’altra Chiesa appoggia l'altra parte in conflitto. Quasi fosse l’appoggio dato dalle Chiese una delle cause di una guerra civile. Ma quando mai le Chiese hanno appoggiato la guerra?”

 

Concludeva Shevchuk: “L’Ucraina è vittima di una aggressione esterna: noi non vogliamo e non appoggiamo certo la guerra, ma non possiamo affermare che un popolo non abbia diritto di difendersi. Siamo contro la guerra e facciamo appello al Santo Padre e alla comunità internazionale perché sia fermato l'aggressore, e cessi così la guerra.  Nessuna Chiesa ucraina ha appoggiato questa aggressione esterna. La formulazione del testo rischia di essere una copertura dell'aggressore, o l’ammissione che la Chiesa russa abbia un ruolo in tutto questo conflitto”.

 

Sua Beatitudine non vedeva “soluzioni facili” per il conflitto, e anzi ribadiva che l’Ucraina dovesse “ricostruirsi come un Paese europeo”, e questo nonostante i russi avrebbero potuto vedere male il progetto, come “una alternativa a quanto perseguono”.

 

“Il progetto dell'attuale amministrazione della Federazione Russa è un ritorno alla gloria passata dell'Unione Sovietica. Per noi questo passato significherebbe la schiavitù, la dittatura; per la nostra Chiesa significherebbe rischiare di perdere di nuovo il diritto di esistere. Con l’Unione Europea, l’Ucraina potrebbe de-comunistizzarsi, transitando a una società finalmente post sovietica”, sottolineava Sua Beatitudine.

 

Una inesistente guerra religiosa

 

L’8 febbraio 2022, appena due settimane prima del lancio della cosiddetta “Operazione Militare Speciale” da parte del presidente russo Vladimir Putin, Sua Beatitudine Shevchuk aveva tenuto un incontro con i giornalisti organizzato dall’associazione ISCOM. Intervenendo da Kyiv, Sua Beatitudine aveva fatto il punto della situazione.

 

Al tempo, la maggior parte degli analisti non credevano in un conflitto mosso su larga scala nel territorio ucraino. Era noto, ormai certo, che si stesse andando verso il riconoscimento unilaterale da parte di Mosca delle autoproclamate repubbliche del Donbass e di Luhansk, ma non si pensava che l’intervento russo avrebbe riguardato tutta l’Ucraina.

 

Eppure, Sua Beatitudine già delineava quale sarebbe stata la situazione. In tempi non sospetti, sottolineava che in Ucraina non era in corso una “guerra religiosa”, e questo nonostante l’autoproclamazione della autocefalia della Chiesa Ortodossa Ucraina avesse provocato la reazione stizzita di Mosca, che aveva deciso di andare fuori da tutti i tavoli ecumenici multilaterali presieduti dal Patriarcato di Costantinopoli.

 

Anzi, aggiungeva, il lavoro della Chiese sul territorio era lavoro di unità, portato avanti con il Consiglio delle Chiese e delle Organizzazioni Religiose in Ucraina, che sosteneva la popolazione nelle zone di conflitto, faceva appelli continui per la pace, dava persino supporto psicologico a quanti vivevano con il trauma a causa del conflitto. 

 

Spiegava che l’impegno delle Chiese era delineato in quattro pilastri fondamentali: la preghiera, la solidarietà, l’essere predicatori di speranza, operare per il consolidamento del popolo.

 

Quest’ultimo pilastro sarebbe diventato assolutamente fondamentale durante la guerra. C’è una popolazione stremata, colpita fin nella capitale, alle prese con infiltrati che arrivavano fino al coro della Cattedrale greco-cattolica della Resurrezione di Kyiv con lo scopo, nemmeno tanto nascosto, di eliminare fino all’arcivescovo maggiore e tutti quelli che potevano dare linfa alla resistenza. Eppure questa popolazione resiste, è viva e si stringe sulla propria identità. Una identità che si forgia nella cristianità, e in particolare nella memoria della diaspora o della marginalizzazione, l’eredità dei tempi sovietici che ha fatto venire alla luce i dolori del passato come quando si cosparge sale sulle ferite.

 

Parole di speranza e di dottrina sociale

 

Siamo al termine di un libro intervista, e dunque vale la pena lasciare di nuovo la parola a Sua Beatitudine. Dal primo giorno di conflitto, mentre c’erano i bombardamenti, con un grande sforzo anche interiore, il capo e padre della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha diffuso ogni giorno un videomessaggio, che è stato poi rilancio dal suo segretariato a Roma nelle principali lingue.

 

C’è qualcosa che fa assomigliare questi messaggi ai radiomessaggi di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale, quei piccoli gioielli di fede e abilità diplomatica che venivano diffusi a cadenza regolare.

 

Ma c’è una differenza, anche perché è un mondo diverso. Nel mondo di oggi, c’è bisogno di una presenza mediatica costante, e Beatitudine ogni giorno invia un messaggio, ogni giorno ha qualcosa da dire. Soprattutto, Beatitudine è chiamato a consolare un popolo. Questo a prezzo di grande tensione personale, come si è visto quando, in un briefing online con il Pontificio Istituto Orientale e la Congregazione delle Chiese Orientali il 28 marzo, Sua Beatitudine si è abbandonato ad un pianto liberatorio.

 

Davanti al suo popolo, però, Beatitudine agisce come un pastore che è chiamato a consolare e ad insegnare. Non si è mosso molto da Kyiv in questi mesi, è stato sempre vicino alla popolazione quanto ha potuto. È arrivato a Lviv per incontrare il Cardinale Konrad Krajewski, inviato del Papa, e ha poi programmato un viaggio isituzionale a Roma. Ma il suo primo impegno è stato nei sotterranei della cattedrale, nella metropolitana, tra la popolazione. Il videomessaggio quotidiano serve anche a rassicurare il popolo greco cattolico ucraino che è in diaspora, e che pure in diaspora ha mantenuto identità, lingua, tradizioni, legame con la patria.

 

Vale la pena andare a rileggere quei messaggi, uno dopo l’altro, perché sono un compendio di dottrina sociale della Chiesa (e una dottrina sociale insegnata in tempo di guerra) e afflato pastorale. Servono, soprattutto, a inquadrare la posta in gioco. Ma anche ad educare il popolo. Si parla di comandamenti, virtù, peccati di omissione, solidarietà, resilienza. Ma anche di costruzione dello Stato del futuro. Uno Stato cristiano, liberato nella verità.  Lasciamo la parola a Sua Beatitudine, ancora una volta.

 

La guerra contro la popolazione civile

 

Già dal messaggio dell’11 marzo, Beatitudine nota che “questa guerra diventa principalmente guerra contro la popolazione civile”, perché ad appena due settimane dalla guerra i morti civili erano già più dei morti militari.

 

Eppure, dice, “l’Ucraina , allo stesso tempo, testimonia al mondo intero anche la forza del suo spirito, la forza della nostra volontà di costruire uno stato libero, democratico, indipendente”.

 

Il 18 marzo, Beatitudine comincia a delineare una vera e propria dottrina sulla guerra. Se all’inizio i messaggi erano solo incoraggiamento alla popolazione, ora ci si rende conto che la guerra sarà lunga, e che va data una spiegazione.

 

Di fronte all’ideologia del Russkyi Mir, la grande Russia, abbracciata dai teologi di Mosca e rifiutata in una dichiarazione da teologi ortodossi di tutto il mondo, Beatitudine contrappone l’idea di cristianità. La Russia sta difendendo le radici cristiane, combattendo contro l’Occidente corrotto? No, spiega Beatitudine. Anzi, la Russia, con questa guerra, ha abdicato alle sue radici cristiane.

 

“Oggi – scrive il 18 marzo – in Ucraina si perpetra il peccato di Caino. Il sangue innocente di Abele rivolge al cielo le sue grida dalle terre ucraine. Oggi Dio stesso si rivolge ai nostri assassini, ai ‘Caini’ del terzo millennio, dicendo: ‘Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!’.”

 

Con il tempo, i videomessaggi diventano vere e proprie catechesi. Il 13 aprile, Sua Beatitudine parla del Sesto comandamento, “Non commettere atti impuri”. “Il senso di questo comandamento – sottolinea Sua Beatitudine - difende la dignità della speciale vocazione dell’essere umano: la vocazione all’amore e alla trasmissione della vita datagli da Dio”.

 

La sessualità, continua a spiegare, è stata data all’uomo da Dio “per amare, per raggiungere nell’amore la pienezza della vita, per donare, nel matrimonio, una nuova vita alle generazioni future”.

 

Ma durante la guerra, aggiunge, “vediamo che la sessualità non è usata per servire l’amore, ma per fare la guerra. Chi avrebbe mai potuto immaginare che la sessualità potesse essere trasformata in un’arma? Nell’arma di umiliazione dell’altro, del più fragile. Nella sessualità come strumento di violenza. Adesso stiamo scoprendo crimini terribili di violenza sessuale come arma contro la pacifica popolazione civile. Ci sono centinaia di casi di violenza sessuale contro donne, uomini e, soprattutto, bambini”.

 

La grande menzogna

 

Il 18 aprile, Sua Beatitudine sviluppa meglio la contro-narrativa che risponde alla propaganda russa. Non era una novità, da tempo parlava di guerra ibrida. E il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, che era già stato in Ucraina nel 2016, non aveva esitato a fare sua la definizione di “guerra ibrida” nell’incontro interdicasteriale che Papa Francesco aveva voluto in Vaticano nel luglio 2019 con il Sinodo e i vescovi greco-cattolici ucraini.

 

Sua Beatitudine, però, definisce ancora meglio il concetto, dà all’idea un tono più escatologico.

 

“Vediamo – dice - che la grande guerra che si combatte oggi in Ucraina, e non ha eguali per dimensioni e intensità dopo la seconda guerra mondiale, è una guerra chiamata guerra ibrida. Per umiliare il proprio nemico, inizialmente gli vengono attribuite cose false. La grande guerra di oggi è connessa a una grande menzogna. E noi, come cristiani, siamo chiamati a vivere nella verità e a testimoniarla, anche quando questa verità non giova a qualcuno, perché così adempiamo il governo profetico, la missione profetica del cristiano e della Chiesa. Quando testimoniamo la verità, difendiamo la genuinità anche dei nostri gesti liturgici con i quali riveliamo al mondo la nostra fede, con i quali veneriamo la Croce  di Cristo, la verità sull’essere umano è indissolubilmente legata alla verità della testimonianza cristiana di oggi”.


Bisogna, insomma, testimoniare. Bisogna cercare la verità. E la verità passa per la storia, per la consapevolezza dell’unicità del popolo ucraino. Il 28 luglio, si celebra la festa dello Stato ucraino. È l’occasione per guardare di nuovo alla propria identità di popolo. Una identità che viene ben prima del nazismo, e solo affermarlo serve a spezzare la narrativa della denazificazione dello Stato ucraino portata avanti dalla propaganda russa.

 

Sua Beatitudine sottolinea che i mille anni dello Stato ucraino sono “mille anni di lotta del popolo della nostra patria per il suo Stato libero, riconciliato, indipendente, sebbene distrutto più di una volta”.


Perché – aggiunge – “per secoli, il popolo ucraino creatore di stato nella sua terra natale è stato costretto a vivere nelle formazioni statali straniere. Ma oggi ci consola la possibilità di avere un nostro Stato e di difenderlo a costo della nostra stessa vita, del nostro stesso sangue”.

 

Da qui, la preghiera perché “il tesoro di fede del principe Volodymyr non venga

perso in tempi moderni. E lo Stato ucraino, che proteggiamo, affermiamo e sviluppiamo oggi, sia sempre costruito sulla base della legge morale di Dio, la legge iscritta nel cuore del popolo di Kyiv, il popolo ucraino di Dio al momento del suo battesimo nelle acque del Dnipro”.

 

L’invito è quello di celebrare il Battesimo della Rus’ del 987 “in modo che non sia solo un ricordo del passato”, continuando la tradizione iniziata dal principe Volodymyr rinnovando i voti battesimali e il credo, con una liturgia particolare delineata proprio nel videomessaggio in cui si dichiara “sinceramente di essere contro il diavolo, contro il male e non voler prendere parte alla malizia umana, alla calunnia, all’impurità e alla vendetta.”

 

Il futuro dello Stato a partire dalla rinuncia all’ira

 

La riconciliazione è un percorso, prevede una richiesta di perdono, prima ancora che un perdono concesso. Ma c’è qualcosa che i cristiani possono fare, come prima istanza: rinunciare all’ira, mettere da parte il desiderio di vendetta. Ed è un tema centrale per la costruzione dello Stato ucraino dopo la guerra.

 

Non è un caso che, nella trattazione dei vizi capitali, l’ira occupi un posto centrale nei videomessaggi di Beatitudine. Il 13 luglio, il padre e capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina sottolinea che gli sono arrivate molte domande su “come superare l’odio verso il nemico che uccide e commette crimini sulla nostra terra”.

 

Sua Beatitudine guarda ai Padri della Chiesa, che individuano tre tipi di ira: quella che arde dentro la persona, la cui priva vittima è la persona che lo prova; l’ira che si manifesta nelle nostre azioni e nella mancanza di amore nei confronti del prossimo; e poi l’ira che la persona porta dentro di sé a lungo.

 

Spiega Shevchuk che “l’ira è molto pericolosa, perché talvolta è causa di omicidi e violenza, mentre l’ira collettiva può causare la guerra”.

 

L’antidoto contro l’ira è la “longanimità”, vale a dire “gentilezza e mitezza”, che rende l’essere umano “protetto da Dio”. Anche perché la causa dell’ira “è la perdita della speranza in Dio, nella sua giustizia”, mentre San Giovanni Crisostomo insegna che “se manifestiamo longanimità diventiamo invincibili, e nessuno, dal più piccolo al più grande, ci potrà fare del male”.

 

La costruzione dell’Ucraina del futuro

 

La rinuncia all’ira è il primo presupposto per la costruzione di uno Stato che possa essere davvero riconciliato. Anche perché la geografia è lì a ricordare che Russia e Ucraina restano Paesi confinanti, e non ci si può riconciliare con la geografia, ma solo tra i popoli. Ma come deve essere questo nuovo Stato ucraino?

 

Dal 10 agosto 2022, in quattro videomessaggi successivi, Sua Beatitudine Shevchuk definisce quattro condizioni per la formazione di uno Stato che abbia successo.

 

La prima è il rispetto della dignità della persona umana e della santità della vita umana. Per Sua Beatitudine, “tutte le istituzioni sociali e statali devono rispettare questa dignità e garantire i diritti che derivano da questa dignità, perché l’uomo non è per lo Stato ma lo Stato per l’uomo”.

 

Anzi, aggiunge, “la sacralità della vita umana, dal concepimento naturale alla morte naturale, è la base, in fondamento per analizzare se la legislazione di un determinato Paese sia giusta o meno”.

 

È un tema importante, perché “a volte, durante la guerra, sentiamo una specie di svalutazione della vita umana”. Ma “ogni persona uccisa è la tragedia”.

 

Il secondo elemento da cui far ripartire lo Stato ucraino è discusso nel videomessaggio dell’11 agosto, ed è il “principio del bene comune”. Questo, spiega Sua Beatittudine, “è qualcosa che si può realizzare solo insieme, congiuntamente. Il

bene comune è quello che consente a tutti i cittadini di sentirsi protetti, in una società o in uno Stato”.

 

E lo stesso Stato è il bene comune. Da lì si deve ripartire per unirsi “nel nome del bene di tutte le persone dell’Ucraina”.

 

Il 12 agosto, si parla del principio di solidarietà, il terzo pilastro della costruzione della nazione. Un principio “screditato” in epoca comunista”, perché la solidarietà dei lavoratori sovietica era piuttosto “furto reciproco” e “solidarietà e unione nella miseria”, e così lo Stato derubava i cittadini e i cittadini derubavano lo Stato.

 

Non è, spiega Shevchuk, il principio della “solidarietà cristiana”, che invece si regge su “arricchimento reciproco, supporto reciproco, aiuto reciproco”, ed è “un mezzo per

condividere ciò che abbiamo, con i bisognosi che ci circondano”.

 

Soprattutto, è un “principio di responsabilità reciproca per il bene del prossimo”, perché “senza saperci amare e prendere cura l’uno dell’altro, non saremo in grado di creare una famiglia, una comunità, una società o uno Stato”.

 

Un esempio di solidarietà è l’aiuto arrivato all’Ucraina da ogni dove, perché “quando le comunità ucraine in tutto il mondo sono solidali con i loro fratelli e sorelle in Ucraina e cercano di aiutare tutti in ogni modo possibile. Quando apriamo case ai bisognosi, agli sfollati. E, infatti, salviamo il nostro prossimo nei momenti più difficili della sua vita”.

 

È una solidarietà cristiana che “rende la società umana e giusta, dove nessuno si sente

escluso o emarginato indipendentemente dal fatto se è ricco o povero, attivo nel suo

lavoro, nelle sue attività, se è già malato e ha bisogno di cure e di aiuto dalla società”.

 

Infine, il 14 agosto, Sua Beatitudine parla del quarto pilastro per la costruzione dello Stato: la sussidiarietà.

 

Significa, spiega, che “le autorità superiori non dovrebbero assumere le competenze dei livelli inferiori della società. E le autorità superiori non dovrebbero riservarsi ciò che si può fare a livello personale, privato, sociale. Pertanto, nessuno di noi dovrebbe attendere istruzioni dall’alto di come mantenere le nostre strade pulite e ordinate, di come migliorare la vita delle nostre comunità”.

 

Shevchuk sottolinea che “questa creatività e responsabilità personale si è manifestata

soprattutto nella storia più difficile del nostro popolo quando le persone si univano come le api, portando ognuna qualcosa di proprio, senza aspettare alcun ordine. Tutto si faceva per il volere della propria coscienza. E così abbiamo saputo organizzarci, esercitare la responsabilità verso il prossimo e, di conseguenza, costruire la nostra società. Sfortunatamente, i sistemi totalitari puniscono sempre l'iniziativa personale, ma uno Stato libero e democratico deve sempre sostenerla e promuoverla”.

 

L’ultimo punto è particolarmente significativo. Rimarca che è il popolo a fare lo Stato. Mette, di fatto, i cristiani all’interno del processo di costruzione della nazione, ma al di fuori di ogni influenza politica. C’è il popolo, la sua coscienza, la sua capacità. C’è la Chiesa, con il suo sostegno, la sua formazione. C’è un mondo da ricostruire, e deve essere un mondo prima di tutto ucraino, costruito su valori universali. Con buona pace della pax sovietica di cui si parlava molto prima e dopo la caduta del Muro di Berlino.

 

La questione dei diritti umani

 

Nel 1975, trattando quello che sarebbe diventato l’Atto di Helsinki e che avrebbe poi portato alla costituzione dell’OSCE, la Santa Sede incluse il principio del diritto alla libertà religiosa. Questo diritto, da perseguire in ogni Paese dell’area OSCE, fu un colpo di piccone ai regimi di là della Cortina di Ferro, costretti dunque a rispettare anche il tema della libertà religiosa.

 

È questo il modo in cui i diritti umani universali possono agire. Possono farlo perché sono a favore della libertà dell’uomo. La Chiesa lo ha sempre insegnato, e Sua Beatitudine lo riprende nel videomessaggio del 15 agosto. È un tema cruciale, considerando le patenti violazioni di diritti umani che avvengono in guerra.

 

Oggi – dice Beatitudine – “la Chiesa insegna che i diritti umani non provengono da una fonte esterna. Non è un sovrano, un legislatore o qualsiasi autorità umana che conferisce a una persona i suoi diritti. Niente affatto, perché i diritti umani derivano dalla dignità dell’essere umano come immagine e somiglianza di Dio. Pertanto, la dottrina cristiana sulla dignità umana afferma che i diritti umani sono universali, inviolabili e inalienabili”.

 

E ancora, spiega che “i diritti umani sono universali proprio perché appartengono a tutte le persone, sono presenti in tutte le persone, indipendentemente da origine, razza, o etnia, dalla cittadinanza di uno stato e dalla convinzione religiosa o politica. Sono universali indipendentemente dal tempo, dal luogo e dall’origine della persona. Sono inviolabili perché nessuno ha il diritto di violarli. Tutti gli uomini possiedono i diritti inviolabili per il fatto stesso di appartenere al genere umano”.

 

Tra questi diritti, ci sono i diritti “creati artificialmente” – spiega il 16 agosto -, che “non hanno nulla a che fare con il concetto della legge naturale, negando talvolta il concetto stesso della natura umana. È proprio la legge naturale che riconosce qualsiasi forma di aborto o di

eutanasia come illegale, perché nega il diritto umano fondamentale alla vita. Oggi

osserviamo come diverse ideologie distruggono, negano il diritto alla vita umana in

Ucraina”.

 

E uno di questi diritti è proprio “l’ideologia del “mondo russo” che “giustifica la negazione del diritto all’esistenza di un  intero popolo. Questa ideologia si distingue da un carattere chiaramente genocida.

 

Al di là del genocidio, per la famiglia

 

L’idea del genocidio è forte nel popolo ucraino, dai tempi dell’Holodomor, la strage di Ucraini per fame voluta da Stalin. Ma, oltre il genocidio, si deve costruire. Il 22 settembre, Shevchuk sottolinea che “la terra ucraina ha un forte bisogno di amministratore buono e abile che non la distrugga, ma la rispetti come madre e nutritrice. In questo brutto periodo, in questo anno di guerra, a terra ucraina ha portato generosi frutti per fornire tutto ciò di cui abbiamo bisogno! Noi invece dobbiamo consumare razionalmente e sapientemente ciò che la nostra terra ci dà. Usiamolo con sapienza, proteggiamo la fertilità della terra ucraina ringraziando per i doni

che il Signore Dio ci fa”.

 

E il 21 ottobre, Sua Beatitudine sottolinea che il futuro deve passare per la protezione e il rafforzamento della famiglia, “perché sappiamo che la famiglia, il matrimonio è la base di ogni società. È dalla famiglia che nasce la famiglia più ampia, la nazione e lo stato. È impossibile costruire un paese, costruire uno stato senza difesa, sostegno, senza la politica governativa a favore della famiglia, senza la politica per la famiglia delle nostre varie organizzazioni pubbliche, senza il sostegno nazionale e la protezione della famiglia ucraina”.

 

E il supporto della famiglia passa, in particolare, per la lotta al peccato dell’aborto (videomessaggio del 24 ottobre), perché l’aborto “rappresenta il disprezzo della vita umana” e cresce nell’illusione che “sono quello che decide chi dovrebbe vivere e chi dovrebbe morire”.

 

E poi, la lotta alla prostituzione e alla pornografia (videomessaggio del 30 novembre) che sono “tipi di disprezzo per la fisicità umana”. “Le varie proposte per legalizzare la prostituzione, che si sentono oggi anche tra i nostri legislatori, non riguardano la salute o le entrate di bilancio. Si tratta invece di voler riconoscere il peccato come normalità riconoscendo con ciò come distinti imprenditori i criminali, che commerciano gli esseri umani, che commerciano la dignità di donne e di uomini”.

 

Verso una patria cristiana

 

Dare la parola a Sua Beatitudine serviva ad accompagnare questi mesi di guerra. Non rientrano in questo libro, ma raccontano molto della sua personalità, del modo di vedere la vita.

 

Quella che sta mettendo in campo, nel mezzo della guerra, è, in fondo, la lotta contro un ordine mondiale senza Dio. La guerra nega la cristianità, nega il diritto alla vita. Ma non si può vedere solo con la geopolitica.

 

C’è bisogno, in Ucraina, di ricostruire, di essere resilienti, di coltivare la speranza cristiana. Sua Beatitudine Shevchuk lo sta cercando di fare, consapevole che tutto può trasformarsi facilmente in genocidio. Dalla pace in Ucraina e da come questa sarà stabilita, in fondo, si gioca anche il futuro del continente europeo. Ci sarà un prima e un dopo. Questo libro è servito a delineare uno spartiacque. Con la consapevolezza che la riconciliazione nasce con la verità, e la verità è l’unico antidoto contro l’ordine mondiale senza Dio.

 

“La verità vi farà liberi” (Gv 8,32)

 

 

                                                                                   Roma, 2 novembre 2022

 

Andrea Gagliarducci

Vaticanista