Le ultime vicende
dell’Istituto delle Opere di Religione, conosciuto come “banca
vaticana” sebbene non sia una banca, e la notizia di un prossimo libro
scandalistico, hanno riportato alla luce una serie di giornalisti che non si occupano
di Vaticano, non conoscono il Vaticano, non fanno del Vaticano il centro dei
loro interessi.
Eppure ricevono documenti (i cosiddetti ‘vatileaks’) e li pubblicano, a volte producendosi in lunghe tirate morali sull’immoralità di alcuni membri della Chiesa, più spesso senza davvero comprendere quale sia la posta in gioco. Perché, come ogni cosa, la Santa Sede, lo Stato di Città del Vaticano, la vita della Chiesa, va conosciuta per poter essere raccontata.
Eppure ricevono documenti (i cosiddetti ‘vatileaks’) e li pubblicano, a volte producendosi in lunghe tirate morali sull’immoralità di alcuni membri della Chiesa, più spesso senza davvero comprendere quale sia la posta in gioco. Perché, come ogni cosa, la Santa Sede, lo Stato di Città del Vaticano, la vita della Chiesa, va conosciuta per poter essere raccontata.
Si è creata una narrativa per cui
i vaticanisti hanno il compito di seguire l’azione pastorale della
Chiesa, mentre al resto, per esempio al tema delle finanze vaticane, ci
devono pensare gli altri giornalisti.
Si tratta, in fondo, di
una mistificazione. Perché anche la
finanza è uno strumento che serve all’azione pastorale della Chiesa, come la
diplomazia. Ci vuole uno che conosca l’azione pastorale della Chiesa per
raccontare davvero il senso degli strumenti che usa. Prova ne è il fatto che
l’unica storia completa della finanza vaticana è stata scritta da Benny Lai, un vaticanista, che tra
l’altro era anche non credente. Ma aveva il pregio di approcciarsi con rispetto
ai fatti. Di non forzarli. Di non cercare scandali lì dove non ce n’erano e di
raccontare gli scandali senza darsi il tono del censore.
La verità è che la Chiesa
è qualcosa che va oltre gli scandali, nonostante ci sarà sempre chi usa le
strutture della Chiesa per i propri fini. Ma la presenza di queste persone non
sta a significare che la struttura sia
marcia. Restano coperti dal silenzio le decine di sacerdoti, monsignori,
vescovi e cardinali che silenziosamente vanno alle mense dei poveri, aiutano
gli anziani, prestano servizi negli ospedali e negli orfanotrofi, si mescolano
a volontari di ogni genere.
Una informazione completa
sui cosiddetti scandali della Chiesa dovrebbe tenere conto anche di questo.
Magari sarebbe da andare a vedere anche il lavoro del Circolo San Pietro o del Dispensario di Santa Marta, impegnati
per la carità del Papa ormai da secoli.
Per conoscere queste
cose, e mettere tutti i pezzi in puzzle, ci vuole uno specialista, appunto, che
conosca tutti i lati della storia, non
solo una parte letta dal buco della serratura e con la volontà di tirar fuori
scandali.
Tra l’altro, guardare dal
buco della serratura porta necessariamente al giustizialismo. Ma il giustizialismo a tutti i costi allontana
sempre dalla verità. Forse soddisfa la nostra vanità, perché erge qualunque
piccola persona a giudice. Ma non soddisfa l’esigenza di verità. Eppure, tutti questi articoli decidono che c’è un
buono e un cattivo, accusano le persone, mettono in discussione la moralità
delle persone, tra l’altro senza mai fare marcia indietro se poi viene
provato che le accuse non sono fondate. Prendono sempre un solo punto di vista.
È questo il grande limite
del giornalismo scandalistico, che pure
pensa di poter dare lezioni a tutti, di decidere a priori chi è buono e chi è
cattivo. A proprio insindacabile giudizio.
Ma un buon giornalismo non è quello di chi prende dei
documenti e li commenta senza conoscere davvero la storia che c’è dietro, o
senza inserirli in un contesto. Il vero giornalismo non è quello dai toni urlati,
ma quello che sa analizzare le cose. Quello che permette al lettore di essere
informato, senza che decida cosa il lettore debba pensare.
Alla fine, la Chiesa –
come in fondo tutte le cose - la puoi raccontare solo se la conosci
davvero, e se ti approcci alla Chiesa
con umiltà epistemologica. Se guardi al tutto, invece che alla parte.Perché la parte può anche avere dei problemi, ma va inclusa in qualcosa di più grande.
È un tema che tocca anche
la comunicazione istituzionale della
Chiesa, che spesso sembra appiattirsi sull’immagine del Papa, il punto di
vista del Papa, o si fa scudo di una cosiddetta “volontà papale”, prendendo
solo un punto di vista, non guardando alla globalità della situazione. È vero
che il Papa è la Santa Sede, ma è
anche vero che le sue azioni vanno contestualizzate, e contestualizzate bene.
Così, nel reagire agli
scandali, nel reagire agli attacchi, c’è il rischio di arrivare a letture della
realtà che spesso sono stereotipate, o che raccontano solo una parte della
storia. Nel difendersi dal cattivo giornalismo di chi non contestualizza, si
rischia di raccontare solo una parte della storia a propria volta, di diventare poco credibili per questo
motivo.
In parte, sta già
succedendo. Di fronte allo scandalo che sta montando, Vatican News ha pubblicato
un editoriale contro la
gogna mediatica che aveva però il limite di parlare di leggi che funzionano
senza parlare di una possibile cattiva applicazione delle leggi; e poi, ha
deciso di
dare voce a solo uno degli attori in gioco, riprendendo tra l’altro la voce
da un noto quotidiano nazionale, senza
però guardare alla globalità delle posizioni in campo, anche all’interno della
Santa Sede.
È anche per questo limite
della comunicazione istituzionale che servono giornalisti specializzati, che sappiano andare oltre agli scandali e alle
letture di parte, e sappiano fare le domande giuste. Ci vogliono persone
specializzate a mettere le cose in contesto.
Per ricevere documenti,
pubblicarli con tono accusatorio e gridare allo scoop, basta un passacarte. Ma
serve un giornalista per poter
comprendere il valore di quei documenti. E serve un vaticanista per leggere i segni quando i documenti vengono dal Vaticano.
Qualunque sia il tema dei documenti in questione.
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