Il solo fatto che ci siano questi rumors racconta di una discussione in corso, che coinvolge tutto l’ambito della comunicazione vaticana. Ambito che Papa Francesco ha voluto riformare, destinando prima un comitato, e poi una commissione, a delineare un progetto di riforma, e quindi affidando questo progetto prima a monsignor Dario Edoardo Viganò e poi a Paolo Ruffini, i due prefetti del nuovo Dicastero della Comunicazione (inizialmente Segreteria della Comunicazione) chiamati al compito di razionalizzare la comunicazione vaticana, portarla nella nuova era digitale, e allo stesso tempo facendo in modo che potesse essere, se non davvero remunerativa, almeno non in perdita.
Un progetto difficile, se non altro per la portata di storia e di tradizione che si porta dietro
la comunicazione del Papa. L’Osservatore
Romano nasce in pieno periodo risorgimentale, ed ha il compito, appunto, di
contrastare l’opinione pubblica avversa di massoni,
anticlericali e regni desiderosi di mettere le mani sullo Stato pontificio.
Era stato già Leone XIII a dire che la
storia sembrava essere diventata un complotto contro la verità. E Pio IX
aveva compreso il problema, aveva persino convocato un Concilio,
il Vaticano I, desinato a ribadire quelle nozioni di fede che erano
patrimonio comune della Chiesa e dei fedeli e che venivano messe in
discussione.
Radio Vaticana è
un progetto all’avanguardia, voluto ancora per difendere la libertà della
Chiesa di diffondere il suo messaggio. Pio
XI chiamò nientemeno che Guglielmo Marconi, l’inventore della Radio, per
far nascere l’emittente destinata a diffondere la voce del Papa nel mondo.
Erano voci di libertà. L’Osservatore Romano, in epoca fascista,
era l’unico giornale in lingua italiana che poteva pubblicare senza le censure
fasciste, perché stampato all’estero. Le
onde corte di Radio Vaticana arrivavano anche nei posti dove nessun
contatto con i cattolici era permesso, non potevano essere oscurate da nessun
governo, ed erano garanzia di vicinanza per tutti i cattolici: quelli che una volta erano dietro la
Cortina di Ferro, perseguitati e oppressi; quelli che ora si trovano dietro
la Cortina di fumo dell’opinione pubblicata, dei media indifferenti e ostili
alla fede, delle persecuzioni nascoste.
A questo si aggiungeva la Tipografia Poliglotta e la Libreria Editrice Vaticana, che
contribuivano a diffondere la buona stampa.
Vero, poi sono arrivati i nuovi media. È arrivata la tv, e
la gestione delle immagini del Papa, ed è arrivato internet, anche quello un
progetto all’avanguardia della Santa Sede, che
dal 1995 carica online documenti integrali del Magistero dei Papi, accessibili
a tutti.
Quello che ha sempre caratterizzato la Santa Sede è stato il saper guardare avanti mantenendo i
piedi saldi nella tradizione. Non tutto il vecchio è da buttare, non tutto
il nuovo è da esaltare. Deriva da questo saper mantenere i piedi ben saldati
per terra l’autorevolezza della comunicazione stessa della Santa Sede. Adeguata ai tempi, eppure non schiava dei
tempi.
Tutto questo sembra essere finito con le discussioni sulla
riforma della comunicazione incominciate con il pontificato di Papa Francesco. Prima si è abbandonato il brand di Radio Vaticana, sostituito da un più
neutro Vatican News cui si è
aggiunta una Vatican News Agency.
Quindi, sono abbandonate le onde medie e corte. Ora, l’idea di portare L’Osservatore
Romano completamente online – ma in realtà uno dei progetti era proprio
di chiuderlo: a che serve un giornale se c’è giù un sito in fondo?
Più che una riforma, l’idea
è quella della distruzione di un mondo, senza però che questo mondo possa
essere rimpiazzato validamente da un mondo nuovo. Perché rimpiazzi, in
fondo, non ce ne sono. La storia non può essere comprata, né sostituita con le
cose nuove. La storia è lì dove ci sono le radici.
E le radici della comunicazione della Santa Sede stanno
nella Radio Vaticana e nell’Osservatore Romano, nel loro brand, nella
loro autorevolezza, nella loro pervasività. Sono stati assorbiti, non hanno
affrontato una naturale evoluzione. Sono entrati in un processo più grande, ma
che è un processo piuttosto tecnico. Se ha una radice ideologica, quella radice sembra piuttosto adeguare
la comunicazione vaticana al marketing. Ma l’impressione è che la radice
sia prima di tutto pragmatica, una riduzione di costi, che porta
necessariamente ad una riduzione di attività. Si tagliano le attività
considerate pleonastiche o considerate assorbibili. Succederà anche per L’Osservatore Romano?
Qualora succedesse,
sarebbe la certificazione che l’idea stessa della storia della Santa Sede è
stata messa da parte. Un mondo dove tutto ha un senso è stato considerato
senza senso solo perché in pochi sapevano comprenderlo. Succede in tutti i
processi umani. Colpisce che succeda in Vaticano.
Il cartaceo dell’Osservatore Romano ha un significato e
un senso di autorevolezza che è maturato nel corso del tempo. Funziona
anche come Gazzetta Ufficiale del Vaticano, è il luogo cui tutti vanno a vedere
per comprendere una nomina. Può essere ripensato, come vanno ripensati tutti i
giornali continuamente. Ma di certo è
uno strumento con il quale la Santa Sede si presenta al mondo. Considerarlo
pleonastico solo perché i suoi servizi vengono inglobati in Vatican News è, a
mio avviso, un errore storico.
Inglobare i pezzi
dell’Osservatore in un aggregatore è
già una perdita di brand non indifferente. Si riducono i canali mediatici,
quando invece potrebbero essere moltiplicati. Si riducono i linguaggi, quando
ogni cosa ha un suo linguaggio, dalla radio al parlato, dall’intervista scritta
e quella che va in onda.
Colpisce che circolino
voci del genere in Vaticano perché sembra essere passati dalla moltiplicazione
del messaggio alla riduzione del messaggio, rendendo così facile anche
l’annullamento del messaggio stesso. Una trasmissione che passa per onde medie,
corte e lunghe è più difficile da bloccare di uno che passa attraverso le sole
onde lunghe, o addirittura il solo
broadcasting internet. Un messaggio scritto ha una autorevolezza maggiore
di uno on line, un approfondimento un valore maggiore di un editoriale
orientato, o scritto da editorialisti cosiddetti ufficiali.
Sembrano riflessioni
apocalittiche, per quello che potrebbe essere semplicemente considerato il
risparmio sulla stampa di un giornale, a sua volta considerato un mezzo
obsoleto. Eppure, tutto questo
simbolicamente può significare molto.
In fondo, funziona per la stampa e funziona per tutte le
cose. Mutatis mutandis, i grandi sceicchi nel calcio possono fare
squadre stellari, ma non possono comprare la storia e il blasone. Quella si
costruisce con il tempo, con gli ideali, con la volontà e con l’identità E
quando storia e blasone vengono distrutte, non c’è una via semplice. Si deve
ripartire da zero e costruire un’altra storia, con pazienza, coraggio, volontà
e molta, molta intelligenza. Sarà così
anche per la comunicazione vaticana?
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