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venerdì 27 agosto 2021

E se l’Osservatore Romano smettesse di essere stampato?

Il primo a parlarne è stato Guido Horst su Die Tagespost, ripreso poi dal blog Il Sismografo, sempre attento ai temi della comunicazione vaticana e da Inside the Vatican. Ma la voce sembra circolare da un paio di mesi e prevede, per L’Osservatore Romano, un completo sbarco nell’online, senza più copie stampate. Da giornale di partito a giornale online di partito. Sarà questo il destino del quotidiano della Santa Sede?

Il solo fatto che ci siano questi rumors racconta di una discussione in corso, che coinvolge tutto l’ambito della comunicazione vaticana. Ambito che Papa Francesco ha voluto riformare, destinando prima un comitato, e poi una commissione, a delineare un progetto di riforma, e quindi affidando questo progetto prima a monsignor Dario Edoardo Viganò e poi a Paolo Ruffini, i due prefetti del nuovo Dicastero della Comunicazione (inizialmente Segreteria della Comunicazione) chiamati al compito di razionalizzare la comunicazione vaticana, portarla nella nuova era digitale, e allo stesso tempo facendo in modo che potesse essere, se non davvero remunerativa, almeno non in perdita.

Un progetto difficile, se non altro per la portata di storia e di tradizione che si porta dietro la comunicazione del Papa. L’Osservatore Romano nasce in pieno periodo risorgimentale, ed ha il compito, appunto, di contrastare l’opinione pubblica avversa di massoni, anticlericali e regni desiderosi di mettere le mani sullo Stato pontificio. Era stato già Leone XIII a dire che la storia sembrava essere diventata un complotto contro la verità. E Pio IX aveva compreso il problema, aveva persino convocato un Concilio, il Vaticano I, desinato a ribadire quelle nozioni di fede che erano patrimonio comune della Chiesa e dei fedeli e che venivano messe in discussione.

Radio Vaticana è un progetto all’avanguardia, voluto ancora per difendere la libertà della Chiesa di diffondere il suo messaggio. Pio XI chiamò nientemeno che Guglielmo Marconi, l’inventore della Radio, per far nascere l’emittente destinata a diffondere la voce del Papa nel mondo.

Erano voci di libertà. L’Osservatore Romano, in epoca fascista, era l’unico giornale in lingua italiana che poteva pubblicare senza le censure fasciste, perché stampato all’estero. Le onde corte di Radio Vaticana arrivavano anche nei posti dove nessun contatto con i cattolici era permesso, non potevano essere oscurate da nessun governo, ed erano garanzia di vicinanza per tutti i cattolici: quelli che una volta erano dietro la Cortina di Ferro, perseguitati e oppressi; quelli che ora si trovano dietro la Cortina di fumo dell’opinione pubblicata, dei media indifferenti e ostili alla fede, delle persecuzioni nascoste.

A questo si aggiungeva la Tipografia Poliglotta e la Libreria Editrice Vaticana, che contribuivano a diffondere la buona stampa. 

Vero, poi sono arrivati i nuovi media. È arrivata la tv, e la gestione delle immagini del Papa, ed è arrivato internet, anche quello un progetto all’avanguardia della Santa Sede, che dal 1995 carica online documenti integrali del Magistero dei Papi, accessibili a tutti.

Quello che ha sempre caratterizzato la Santa Sede è stato il saper guardare avanti mantenendo i piedi saldi nella tradizione. Non tutto il vecchio è da buttare, non tutto il nuovo è da esaltare. Deriva da questo saper mantenere i piedi ben saldati per terra l’autorevolezza della comunicazione stessa della Santa Sede. Adeguata ai tempi, eppure non schiava dei tempi.

Tutto questo sembra essere finito con le discussioni sulla riforma della comunicazione incominciate con il pontificato di Papa Francesco. Prima si è abbandonato il brand di Radio Vaticana, sostituito da un più neutro Vatican News cui si è aggiunta una Vatican News Agency. Quindi, sono abbandonate le onde medie e corte. Ora, l’idea di portare L’Osservatore Romano completamente online – ma in realtà uno dei progetti era proprio di chiuderlo: a che serve un giornale se c’è giù un sito in fondo?

Più che una riforma, l’idea è quella della distruzione di un mondo, senza però che questo mondo possa essere rimpiazzato validamente da un mondo nuovo. Perché rimpiazzi, in fondo, non ce ne sono. La storia non può essere comprata, né sostituita con le cose nuove. La storia è lì dove ci sono le radici.

E le radici della comunicazione della Santa Sede stanno nella Radio Vaticana  e nell’Osservatore Romano, nel loro brand, nella loro autorevolezza, nella loro pervasività. Sono stati assorbiti, non hanno affrontato una naturale evoluzione. Sono entrati in un processo più grande, ma che è un processo piuttosto tecnico. Se ha una radice ideologica, quella radice sembra piuttosto adeguare la comunicazione vaticana al marketing. Ma l’impressione è che la radice sia prima di tutto pragmatica, una riduzione di costi, che porta necessariamente ad una riduzione di attività. Si tagliano le attività considerate pleonastiche o considerate assorbibili. Succederà anche per L’Osservatore Romano?

Qualora succedesse, sarebbe la certificazione che l’idea stessa della storia della Santa Sede è stata messa da parte. Un mondo dove tutto ha un senso è stato considerato senza senso solo perché in pochi sapevano comprenderlo. Succede in tutti i processi umani. Colpisce che succeda in Vaticano.

Il cartaceo dell’Osservatore Romano ha un significato e un senso di autorevolezza che è maturato nel corso del tempo. Funziona anche come Gazzetta Ufficiale del Vaticano, è il luogo cui tutti vanno a vedere per comprendere una nomina. Può essere ripensato, come vanno ripensati tutti i giornali continuamente. Ma di certo è uno strumento con il quale la Santa Sede si presenta al mondo. Considerarlo pleonastico solo perché i suoi servizi vengono inglobati in Vatican News è, a mio avviso, un errore storico.

Inglobare i pezzi dell’Osservatore in un aggregatore è già una perdita di brand non indifferente. Si riducono i canali mediatici, quando invece potrebbero essere moltiplicati. Si riducono i linguaggi, quando ogni cosa ha un suo linguaggio, dalla radio al parlato, dall’intervista scritta e quella che va in onda.

Colpisce che circolino voci del genere in Vaticano perché sembra essere passati dalla moltiplicazione del messaggio alla riduzione del messaggio, rendendo così facile anche l’annullamento del messaggio stesso. Una trasmissione che passa per onde medie, corte e lunghe è più difficile da bloccare di uno che passa attraverso le sole onde lunghe, o addirittura il solo broadcasting internet. Un messaggio scritto ha una autorevolezza maggiore di uno on line, un approfondimento un valore maggiore di un editoriale orientato, o scritto da editorialisti cosiddetti ufficiali.

Sembrano riflessioni apocalittiche, per quello che potrebbe essere semplicemente considerato il risparmio sulla stampa di un giornale, a sua volta considerato un mezzo obsoleto. Eppure, tutto questo simbolicamente può significare molto.

In fondo, funziona per la stampa e funziona per tutte le cose. Mutatis mutandis, i grandi sceicchi nel calcio possono fare squadre stellari, ma non possono comprare la storia e il blasone. Quella si costruisce con il tempo, con gli ideali, con la volontà e con l’identità E quando storia e blasone vengono distrutte, non c’è una via semplice. Si deve ripartire da zero e costruire un’altra storia, con pazienza, coraggio, volontà e molta, molta intelligenza. Sarà così anche per la comunicazione vaticana?

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