Tra l’8 e il 10 novembre, sono stato a Barcellona, ad una conferenza organizzata dal KAICIID, il “King Abdullah bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue”. È un centro per il dialogo interreligioso, sponsorizzato dall’Arabia Saudita, che vede la Santa Sede come Stato osservatore.
L’incontro era il Quarto European Policy Dialogue Forum, e il tema era la inclusione nelle città. Si parlava, e molto, di discorso di odio, e di come il discorso di odio andasse contrastato. E quando si parla di discorso di odio, si pensa subito ad un odio contro le cosiddette minoranze, e dunque all’islamofobia o all’antisemitismo. Anche i policy paper che ci erano stati consegnati puntavano su questi temi.
Sono stato invitato a tenere un input speech in uno dei gruppi di lavoro e ho provato a mostrare l’altra faccia della medaglia. Ho provato, soprattutto, a spiegare che il discorso di odio contro la religione non tocca solo le cosiddette minoranze, ma anche le maggioranze. E in particolare che c’è un discorso di odio contro i cristiani, che sembra nascosto, ma che in realtà è molto presente e vivo.
Sembra nascosto perché semplicemente gli stessi cattolici accettano i pregiudizi negativi contro il cattolicesimo, gli stessi cattolici non sono in grado di riconoscere la loro storia, gli sessi cattolici sono rimasti vittime di una narrativa negativa che spesso non è sostenuta dalla Storia, ma solo dalle storie. In questo blog, seppur saltuariamente, ho provato più volte a demistificare l’immagine del cattolicesimo che viene dato dai media.
Eppure, quello che si configura è un vero e proprio discorso di odio, che arriva poi a generare situazioni limite, come il caso dell’attivista delle Femen condannata in Francia per aver offeso la religione (ha messo in scena l’aborto di Gesù sull’altare) e poi assolta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha condannato la Francia a pagare un indennizzo per aver violato la libertà di espressione.
Ma quale è il confine tra discorso di odio, attacco alla fede e libertà di espressione? Il mio punto è che si accettano anche sentenze controverse come quella francese (ne ho scritto qui: https://www.acistampa.com/story/blasfemia-in-europa-una-sentenza-controversa-un-latente-pregiudizio-anti-cristiano-20974) proprio perché il pregiudizio anti-cristiano è accettato, ed è accettato perché il cristianesimo è stato definito come religione di potere. Concettualmente a torto, praticamente a ragione se si vedono le circostanza e soprattutto se si realizza che non era l’essere cattolici a definire un potere, ma le persone che lo esercitavano.
Il mio avvertimento era semplice: se cominciamo ad accettare un pregiudizio per alcuni, in nome di un presunto potere o peso esercitato, lo faremo un giorno per tutti. Un principio è valido sempre, e non solo quando fa comodo.
È un tema cruciale e particolarmente divisivo. Le reazioni al mio intervento non sono entrate nel merito dell’intervento, ma erano piuttosto reazioni a come il mio intervento li faceva sentire. Alcuni erano scioccati, altri cercavano di ripristinare la narrativa così come la diffondono.
Ma è sempre così, per i nuovi diritti: nel momento in cui si fanno eccezioni, allora tutto è eccezionale.
Lascio di seguito i miei appunti per l’input speech, che ho poi pronunciato a braccio. Qualche giorno dopo, l’Osservatorio per l’Intolleranza e la Discriminazione dei Cristiani in Europa ha pubblicato il suo ultimo report (ne ho scritto qui: https://www.acistampa.com/story/i-numeri-della-persecuzione-nascosta-dei-cristiani-in-europa-21134) che dava conferma alle mie paure. Ma che, credo, verrà ancora una volta poco considerato. E sarebbe un errore.
Barcellona, 8 novembre 2022
Sono un giornalista cattolico, che lavoro per una testata cattolica. Mi sembra necessario dirlo per evitare ogni tipo di “bias” pregiudiziale, e anche per cercare di porre un problema sostanziale.
Quando si parla di “hate speech”, si pensa sempre ad un “hate speech” contro e minoranze. Nello specifico, si parla di anti-semitismo, o di anti-islamismo, specialmente in Europa, dove si considera la fede cristiana come maggioritaria e dunque più difficilmente oggetto di “hate speech”, anzi in alcuni casi persino perpetuatore di pregiudizi.
In realtà, anche i cristiani sono oggetto di “hate speech”. Non voglio parlare delle discriminazioni in Europa, violazioni nascoste della libertà religiosa già delineate nel rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre del 2017 e poi documentate, in maniera precisa, dall’Osservatorio sulle Intolleranze e le Discriminazioni Anti-Cristiane in Europa di Vienna. Non voglio nemmeno parlare degli attacchi alle chiese ed edifci religiosi, che nella sola Francia – sono dati del ministero dell’Interno – lo scorso anno sono stati 900. Una escalation continua, quella francese, che nel 2016 portò all’assassinio di padre Jacques Hamel, un sacerdote che non aveva altra colpa che quella di celebrare la Messa.
L’Hate speech anti-cristiano, in realtà, è qualcosa di più subdolo. Parte del cuore stesso dell’informazione religiosa e nasce con il pregiudizio. C’è un hate speech palese e un hate speech sottile, nascosto, che si impone con straordinaria violenza.
Tutte le confessioni cristiane sono oggetto di questa campagna di odio. La Chiesa cattolica ancora di più.
La Chiesa cattolica è “quella dei preti che abusano i bambini”. La Chiesa cattolica è “quelle dei preti che gestiscono i soldi”. La Chiesa cattolica è “quella compromessa con il potere, che sostiene populisti e nazionalisti”. La Chiesa Cattolica è quella non moderna, quella arretrata, quella che ha impedito il progresso europeo.
Questo pregiudizio anti-cattolico è stato portato in Europa a partire dall’Illuminismo, ed è stato perpetuato a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale. C’è stata una lotta molto forte dei Papi per superare questo pregiudizio anti-cattolico, portata avanti sulla base della storia, del contesto, della verità. Non è bastata.
Siamo in un tempo in cui l’opinione pubblicata conta di più dell’opinione pubblica, in cui la narrativa conta di più della storia. Questo è valido per tutte le religioni. C’è un tentativo delle religioni di ricomprendersi in una nuova narrativa, e sono rimasto molto colpito dal tentativo di sintesi fatto dal Grande Imam di al Azhar al Bahrein Forum lo scorso 4 novembre. Si trattava di un tentativo di superare l’ottica dello scontro di civiltà, e di rileggere anche l’Islam in una chiave diversa.
Ma quel tentativo vale anche per il cristianesimo, colpito da uno scontro di civiltà diverso. Non era “Ovest contro Est”, ma era “Ovest contro Ovest”, nasceva nella stessa società occidentale. Ed è una società occidentale che ha avuto così tanto odio per sé stessa da dimenticarsi le sue radici profonde.
Da giornalista, mi è capitato di riportare di un caso recente della Corte dei Diritti Umani Europea. Il 20 dicembre 2013, Eloïse Bouton, esponente del collettivo Femen, entrò nella chiesa di Santa Maria Maddalena in Parigi indossando un velo azzurro e una simil corona di spine. Come costume del collettivo Femen, aveva il petto nudo e il corpo tatuato con alcuni slogan. Davanti all’altare, in corrispondenza del tabernacolo, mimò l’aborto con l’aiuto di due pezzi di fegato di manzo. Il gesto blasfemo fu condannato in Francia con sentenza definitiva ad un mese di reclusione, dopo tre gradi di giudizio. Ma la donna è invece stata assolta dalla Corte Europea dei Diritti Umani, con una sentenza che il Centro Studi Livatino non ha esitato a definire “illogica e contraddittoria”. Mentre il Centro Europeo per la Legge e la Giustizia nota che, se sentenze simili sono la norma quando si parla di cristiani, la questione è tutta diversa se riguarda altre fedi.
La performance della chiesa della Maddalena era chiaramente blasfema. Di fatto, però, utilizzava una aperura nel diritto penale francese, che non ha alcuna norma diretta di difesa della libertà religiosa.
Dopo la denuncia del rettore della chiesa, dunque, il procuratore pubblico francese ha condannato Bouton per “esibizione sessuale” ad un mese di prigione. La pena è stata sospesa. È stato richiesto anche un risarcimento di 2000 euro e la partecipazione alle spese legali per 1500 euro. La sentenza è stata poi confermata dalla Corte di Appello, che ha anche definito che il gesto non era giustificato dall’articolo 10 della Convenzione Europea, perché non era stata limitata alcuna libertà di espressione, mentre Bouton aveva attentato alla libertà di pensiero di altre persone e aveva violato la libertà religiosa in generale.
Anche la Corte di Cassazione aveva rigettato il ricorso, sempre spiegando che non era stata in alcun modo limitata la libertà di espressione della donna, anzi aggiungendo che la libertà di espressione deve conciliarsi con il diritto delle altre persone di non essere disturbate nella pratica della propria religione, come sostiene l’articolo 9 della Convenzione Europea.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha invece ribaltato la sentenza, condannando invece la Repubblica Francese a versare a Bouton 9800 euro per il danno morale procuratole, perché la condanna sarebbe una ingerenza indebita nell’esercizio del suo diritto di liberà.
La Corte ha dichiarato anche che “la prigione è ammissibile soltanto allorché siano offesi i diritti fondamentali tramite discorsi di odio o di incitamento alla violenza”.
In pratica, la performance, che aveva l’obiettivo di nuocere alla onorabilità e alla credibilità della religione creando reazioni di disprezzo verso la Chiesa Cattolica, non era discorso di odio perché “non offendeva i diritti fondamentali”.
Ci si dovrebbe interrogare su come, allora, debba essere percepito il discorso di odio oggi, e se non si rischia di fare dei nuovi diritti umani una para-religione. I discorsi di odio che colpiscono le confessioni cristiane, e il cattolicesimo in particolare, rappresentano, forse, un passo avanti successivo a quello che è finora stato definito come anti-semitismo e anti-islamismo. Vanno superati non solo con la forza del diritto, ma con la capacità di andare oltre ogni pregiudizio. Altrimenti, non solo non ci sarà più società occidentale. Non ci sarà più società.
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