- La decisione di Papa Francesco di concedere una intervista ad un programma di informazione e intrattenimento è tipica della comunicazione di Papa Francesco. Fino ad ora, il Papa non ha concesso interviste televisive di ampio respiro, ma piuttosto interviste televisive in un ambiente confortevole, in cui potesse esprimere la sua personalità e il suo punto di vista. Anche le due interviste a Mediaset dello scorso anno rientrano nella categoria, per come sono state strutturate, preparate e montate. Il Papa sceglie di parlare in televisione seguendo una logica ben precisa. Diverso il discorso per le interviste date alla carta stampata o alle agenzie, in cui, comunque, i temi affrontati sono sempre stati più o meno affrontati con morbidità.
- Questa scelta strategica del Papa ha una conseguenza molto specifica: l’uomo Papa viene prima dell’istituzione Papato. In generale, il Papa si mette a nudo e dice quello che pensa. Non parla solo della sua vita, ma dice il suo pensiero, lo delinea, né dà i tratti principali. La domanda non è fatta al Papa come capo della Chiesa, ma al Papa come Francesco, o meglio come Jorge Mario Bergoglio. Sembra cadere, spesso, l’idea che il Papa, una volta eletto, si spoglia della sua persona, perché non diventa solo il Capo della Chiesa: è la Chiesa. Papa Francesco, invece, agisce da leader, e in molti casi da leader solitario. L’impressione è che usi il Vangelo per spiegare e giustificare alcune sue letture e interpretazioni delle situazioni attuali. Di fatto sono le sue letture che trovano conforto nel Vangelo, e non il Vangelo che viene applicato alla vita. È un rovesciamento di prospettiva fondamentale, e va sottolineato.
- Questo rovesciamento di prospettiva è anche parte del vissuto del Papa. Francesco è latinoamericano, proviene da un continente dove il leader fa l’istituzione, e non viceversa. Lo testimoniano le dinastie al potere, elette regolarmente in un passaggio di consegne continuo. E Francesco è argentino, e per sua stessa ammissione populista. Populista in senso positivo, ha spiegato più volte il Papa, cioè con l’idea di dover essere vicino al popolo e alle sue istanze. Ricordate il suo primo discorso dalla Loggia delle Benedizioni, quando enfatizzava che si doveva cominciare un cammino “vescovo e popolo, popolo e vescovo”? Il principio è quello, anche se poi si deve essere realisti: il Papa, il vescovo, chi è a capo dell’istituzione decide, e non c’è via sinodale o discussione che tenga. Ma questa concretezza viene lasciata fuori dalla narrativa, perché formalmente si è con il popolo, e il popolo è contento di sentirsi partecipe, anche se questa poi è una illusione.
- Il rovesciamento di prospettiva, però, porta ad una conseguenza da non sottovalutare: la desacralizzazione del Papato. Il Papato perde il carisma dell’istituzionalità, si lega piuttosto alla persona del leader, e così facendo diventa un incarico, un lavoro come un altro. Non è, ovviamente, un lavoro come un altro, e non si tratta di un mero incarico politico / istituzionale, e questo Papa Francesco lo sa bene. L’impressione però è che, nel cercare di portare l’istituzione vicino al popolo, si tolga importanza all’istituzione stessa. Ma se l’istituzione non è importante perché alla portata di tutti, allora niente è importante. È come la narrativa dell’essere tutti unici: se siamo tutti unici, nessuno lo è.
- L’intervista a Che tempo che fa? si inserisce, dunque, in questa dinamica. Ottimo per Papa Francesco, che può esprimere il suo pensiero in un ambiente non ostile, arrivando anche a parlare per senso comune (per esempio, quando parla dei migranti per la guerra, quando è evidente che non si emigra solo a causa delle guerre) senza timore di dover entrare in dibattiti più profondi. Il problema non è l’intervista, ma la percezione che si dà del Papato.
- Farlo notare, ad ogni modo, equivale a essere bollati energicamente e immediatamente come anti-Papisti. La controindicazione di un pontificato che si vuole mostrare vicino alla gente è quello che poi le persone che si sentono parte di questo si identificano nel leader, e sono disposti ad accettare del leader qualunque cosa, non rispettando nessuna critica contraria. Così, chi ha fatto notare che magari poteva essere inopportuna una intervista data ad un programma Rai che ha tra l’altro mostrato orientamenti anti-cattolici è stato subito bollato come un “anti-Francesco”. A Roma diciamo che “la si butta in caciara”. Non si risponde più sulla critica, ma si contesta la buona fede di chi ha mosso la critica. È legittimo pensare che il Papa abbia scelto di parlare ad un pubblico vasto, e che la sua presenza ad una trasmissione mainstream possa essere un bene. Non è legittimo attaccare, con ironia o anche acrimonia, quanti la pensano diversamente. Ed è quello che è successo, nel piccolo come nel grande, in questi anni di pontificato.
- La
domanda vera è, piuttosto, se tutta questa presenza sui media, formale o meno
formale, faccia bene alla Chiesa. Se
pure una sola persona si fosse convertita, e convertita davvero, per le parole
di Papa Francesco, allora sì, sarebbe valsa la pena. Ma non si può mancare
di notare che al Papa vengono chieste opinioni politiche (migranti, guerre), e
che il Papa le affronta dal suo punto di vista. Non si può mancare di notare
che il Papa non affronta il tema della conversione, né quello della verità, e che spesso al Papa non viene chiesto di Dio
e della fede. Non per colpa del Papa, ma perché ovviamente questi sono temi
che non interessano i media mainstream. Riguardano,
piuttosto, l’immagine della Chiesa che si vuole dare.
- È una Chiesa, in fondo, che va bene quando si fa carico di alcune questioni dove gli altri non riescono (occuparsi dei poveri e dei migranti, aiutare lo Stato nell’istruzione, il recupero dei tossicodipendenti), ma che poi non può parlare nella pubblica arena dei temi morali. Che Tempo Che Fa? è la stessa trasmissione che ha fatto una satira feroce contro la Chiesa perché si esprimeva sui temi della fecondazione assistita, per esempio, come se gli uomini di Chiesa e i cattolici avessero diritto di parola solo quando dicono le cose che non creano dibattito. Come se le cose importanti non creassero necessariamente dibattito.
- La domanda vera è se davvero si vuole un modello di Chiesa che sia più “comunicativa” e a quale costo. La desacralizzazione delle istituzioni è stato un processo quasi irreversibile, che ha toccato alla fine anche la Chiesa cattolica. Ma, se le istituzioni non hanno più quella dignità, se il loro linguaggio non viene più riconosciuto come importante, allora diventano solo sovrastrutture. Si è creata la falsa idea che tutti possono fare tutto. Come diceva Asimov, si è arrivati a pensare che la propria ignoranza valesse quanto la cultura dell’altro. Questa desacralizzazione fa sentire tutti parte di qualcosa, e dà a tutti il sollievo di poter effettivamente decidere. Di fatto, crea una disparità tra quanti sanno usare la situazione e dunque gestiscono le cose, e quanti invece sono travolti dalle cose, e si sentono però edificati da un leader che mostra di essere loro vicino. Nella sua spinta democratica, diventa fortemente antidemocratica. Nella sua volontà anti-elitaria, diventa assolutamente elitista. Nella sua idea di eguaglianza, diventa egualitarista.
- La Chiesa ha sempre resistito a queste pressioni proprio partendo dall’idea che rappresenta qualcosa di più grande, e che anche i grandi leader erano parte di una grande storia. Non si è mai ceduto alla narrativa del moderno, del nuovo e dell’arretratezza perché questa narrativa è vecchia. L’uomo nuovo, per la Chiesa, c’è già, ed è nato con Gesù Cristo, che vuole tutti nella loro profonda dignità. Ma è proprio questa dignità totale attribuita all’uomo che fa male alla società e che fa male ai potenti. La dignità non significa rivendicazione di nuovi diritti, anche contro ogni possibilità. La dignità significa considerare ogni essere umano per quello che è. Distinguere l’essere umano dai suoi peccati e dalle sue debolezze. Dare all’essere umano una via per il cielo. L’uomo nuovo guarda al cielo. L’uomo vecchio guarda alla terra. Abbiamo, oggi, un appiattimento verso la terra che può essere controproducente.
- Cerchiamo i numeri, cerchiamo di raccontare il messaggio a tutti con la falsa idea che più ampio il pubblico, più evangelizziamo. Ma cerchiamo anche un leader cui ispirarci, e la presenza pervasiva del Papa in questi ambiti ci rassicura. Aspettiamo conforto dalle sue parole. Ma la Chiesa non è solo il Papa. Non è solo una persona che si fa carico di tutti. A dire il vero, il Papa lo ha spiegato a Che Tempo che fa, rispondendo alla prima domanda, ritenendola forzata. Ma ha comunque accettato un faccia a faccia che, in fondo, non era altro che il corollario di quella domanda. Ancora, la domanda: valeva davvero la pena?
- In sintesi, il problema dell’intervista è che l’istituzione del Papato è stata destrutturata in favore di una narrativa centrata sulla persona. Nemmeno con Giovanni Paolo II era stato fatto tanto. Anzi, di Giovanni Paolo II si devono ricordare prima le critiche feroci di cui era oggetto. Carisma non significa volersi mettere al centro dell’attenzione. Significa essere in grado di essere ascoltati. Non venerati, non idolatrati, ma ascoltati.
- Manca, ovviamente, anche l’equilibrio. C’è chi idolatra il Papa, chi lo attacca. Ho visto molti commenti dei giornalisti, e ho visto usare molti aggettivi. Ma l’aggettivo è un commento, e noi giornalisti siamo chiamati a fare in modo che le persone si formino la loro idea. Ovvio, una intervista del genere accentua le possibilità che il commento venga prima dell’analisi. Ma questo non significa che anche i media debbano cadere nella trappola.
- Ci si deve interrogare sulla strategia del Papa, se ce n’è una. Alla fine, a volte fare un passo indietro diventa necessario perché le istituzioni possano crescere. Le istituzioni restano, i Papi passano. La fede, poi, resta anche oltre le istituzioni, è qualcosa che le ispira, è qualcosa che va oltre. Nelle conversazioni che hanno fatto seguito a quell’intervista, se ne è parlato? Oppure ci siamo concentrati solo sulle polemiche che riguardavano l’intervista, il modo in cui era stata condotta, o il fatto che il Papa la avesse concessa?
- Ci si deve interrogare se davvero, poi, un pontificato debba basarsi su una forte presenza pubblica. Il Papa già ha fatto sapere di aver sacrificato l’arcivescovo di Parigi Aupetit sull’altare dell’ipocrisia, certificando di fatto una attenzione per l’opinione pubblica che mostra quasi una soggezione. Se l’opinione pubblica diventa riferimento, allora tutto si parametra all’opinione pubblica. Ma a quel punto, non ci sono più istituzioni, solo percezioni delle istituzioni. La Chiesa lo può accettare?
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mercoledì 9 febbraio 2022
Che tempo che fa per Papa Francesco? Quindici punti di riflessione
L’intervista che Papa
Francesco ha concesso alla trasmissione televisiva “Che Tempo Fa?” lo
scorso 6 febbraio ha suscitato un vasto dibattito tra chi considerava
l’opportunità di dare una intervista a
un programma di infotainment, tra
l’altro di orientamento non proprio cattolico, e chi invece la vedeva come
una cattiva idea. A mente fredda, è bene fare alcune considerazioni, che
riguardano sia la comunicazione del Papa
che il modo in cui questa comunicazione è recepita.
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