Lo aveva dimostrato nove anni fa, quando, in maniera improvvisa, aveva declamato la renunciatio a un gruppo di cardinali allibiti riuniti in un concistoro in giorno festivo vaticano (l’11 febbraio, data dei Patti Lateranensi) per stabilire le date di canonizzazione. E lo ha dimostrato nei giorni che hanno preceduto l’anniversario della rinuncia, in una lettera che ha accompagnato la risposta dei legali che lo avevano aiutato ad analizzare le carte del rapporto sugli abusi commissionato dall’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga, e a confutare le accuse che lui avrebbe gestito male, o persino volutamente ignorato, alcune situazioni.
Carte alla mano, e dichiarazioni degli avvocati
scandagliate, è chiaro che le accuse non erano vere, che Ratzinger non sottovalutò né trascurò alcunché. Semplicemente, di
alcune cose non era a conoscenza, altre le delegò. Eppure, è bastato un errore
(non del Papa emerito) nella stesura della sua risposta per arrivare a dargli del bugiardo, secondo una campagna
mediatica che lo ha sempre trovato facile bersaglio.
Sarebbe facile, per Benedetto
XVI, rispondere solo in punta di diritto e documenti. Ma non sarebbe quello
che fa un uomo di Chiesa. E il Papa
emerito è un uomo innamorato di Dio e della Chiesa. Così innamorato che
tutto, nella sua vita, è letto attraverso gli occhi di Dio, attraverso le
parole di un Vangelo e una Bibbia che ha meditato moltissime volte, fino a
coglierne la profondità, come un
gioielliere che conosce ogni angolo, ogni riflesso, ogni luce prodotta dal
diamante che si trova incastonato davanti.
Benedetto XVI non
ha mai scisso le sue decisioni dalla riflessione sulla Chiesa, sul Vangelo, su
Dio. Non lo ha fatto nemmeno adesso, quando le accuse si sono levate di nuovo
contro di lui, tra l’altro su temi già chiariti, su situazioni già delineate.
Non è la prima volta che Benedetto XVI si trova a rispondere a delle accuse gratuite.
Sempre, nelle risposte, ha scelto un approccio personale. Come quando scrisse
una lettera per spiegare la sua decisione della revoca della scomunica a
quattro vescovi lefevbriani, nel mezzo delle controversie causate da uno di
loro. Era una lettera pastorale, una
lettera in cui veniva stigmatizzato il “mordere e divorare” che si era creato
tra gli stessi confratelli, e veniva paragonato ad una attitudine che
già avevano gli apostoli. In pratica, Benedetto
XVI stava sottolineando che non c’era nulla di nuovo, che la Chiesa era
permeata da questi attacchi fratricidi e immotivati, e che era quella la
conversione necessaria, staccarsi, appunto, da questo mordere e divorare.
E ancora, Benedetto
XVI aveva parlato in maniera pastorale anche scrivendo ai cattolici di Irlanda
dopo lo scandalo degli abusi. Il Papa aveva incontrato i vescovi per
capire la situazione, aveva deciso di inviare una visitazione apostolica in
Irlanda, ma aveva anche deciso di scrivere, di cercare di comprendere le cause
del dramma che si era consumato in quello che era, da sempre un Paese
cattolico.
La caratteristica di Benedetto
XVI è quella di guardare alto, di tenere lo sguardo puntato alle cose di lassù
così come i discepoli sulla barca tengono gli occhi fissi su Cristo. E
infatti, nel momento in cui discepoli distolgono lo sguardo, non riescono più a
camminare sulle acque, cadono, rischiano di annegare. Benedetto XVI non
distoglie mai lo sguardo. Ed è questo
che, probabilmente, fa male a quanti vogliono mettere in discussione non tanto
il pontificato, quanto lo stesso Papa emerito, il suo pensiero, la sua
teologia che ha avuto una influenza straordinaria.
Questa influenza la ha avuta non perché Benedetto XVI ha voluto creare una scuola teologica, non perché abbia voluto in qualche modo essere maestro.
La ha avuta, piuttosto, con la forza del ragionamento, e a motivo del fatto che
la ragione, per Benedetto XVI, non può
essere disgiunta dalla fede. Benedetto XVI ha preso alla lettera l’invito
dell’apostolo a dare ragione della propria speranza, la ha vissuta nella sua
vita. È stato autentico, in un mondo in cui essere autentici è necessariamente
un difetto. È stato uomo di Chiesa, perché ha messo sempre la Chiesa di Gesù al
primo posto. Anche andando oltre se stesso.
Ed è per questo che Benedetto
XVI continua a comportarsi da Papa, sebbene Papa non lo sia più. La lettera
dell’8 febbraio, accorata, profonda, era la lettera di un Papa che rivendicava
la sua buonafede in un singolo errore nella risposta data agli inquirenti, ma
che alla fine a quell’errore non dava peso: siamo umani, sbagliamo, l’importante è rendersi conto che non è un
errore a mettere in discussione la veridicità delle sue parole.
Eppure, Benedetto XVI
chiede scusa. Chiede scusa per gli abusi, ricorda che all’inizio della
Messa si pronuncia il Confessio,
addirittura arriva a parlare della fine
della sua vita, e della sua certezza che sarebbe arrivato davanti a un Dio
misericordioso, che avrebbe guardato la sua autenticità, non certo i suoi
singoli errori. Benedetto XVI si scusa
perché, quando una persona pecca, è l’umanità a peccare con lui. Perché per
Benedetto XVI tutti sono Chiesa, nessuno
escluso. Benedetto XVI conosce
l’importanza dei ruoli, sa che un Papa è un Papa e un vescovo è un vescovo, ed
è uno dei motivi perché si è ritagliato questo ruolo di Papa emerito, sapendo che non poteva tornare nel rango dei cardinali,
ma nemmeno essere Papa, e dando così una linea interpretativa per il futuro, e
cioè che il pontificato equivale ad un’altra ordinazione.
Eppure, nonostante questo, Benedetto XVI si sa immedesimare nelle sofferenze delle persone, sa
che una Chiesa che ferisce non ferisce solo le vittime, ma ferisce se stessa,
si rende conto che la Chiesa è un corpo martoriato dalle ferite del peccato.
“Noi siamo Chiesa”, con Benedetto XVI,
assume il significato più vero, autentico, e lo assume perché c’è un Papa
emerito che si prende, senza sconti, il carico delle responsabilità, e lo fa
con una serafica certezza evangelica.
Nove anni dopo, ci rendiamo conto che il passo indietro di
Benedetto XVI non è una fuga dalle responsabilità, né potrebbe esserlo, e non è neanche la riuscita di un complotto
contro la Chiesa che voleva metterlo da parte. Era piuttosto il gesto di un
padre che faceva un passo indietro per far crescere i figli. E questo senza nemmeno considerare l’eventualità
che i figli avrebbero fatto scelte sbagliate, avrebbero potuto portare alla
rovina ciò che aveva costruito. Benedetto
XVI è un uomo libero, e da uomo libero ha lasciato fare tutto a Dio.
La storia dirà se gli uomini di Chiesa saranno stati degni
dell’immensa fiducia che Benedetto XVI
ha dato alla Chiesa di Cristo al momento della rinuncia. Di certo, noi
ancora non lo abbiamo capito. E ci resta da rileggerne i documenti, analizzare
il suo modus operandi, per renderci
conto che ogni azione di giustizia è sempre stata corredata, da Benedetto XVI,
con una notta esplicativa di tipo escatologico – pastorale. Chi non lo ha
capito, non ha capito il Papa emerito.
Quinto sono di vere di belle e giuste vostre parole Sg.Gagliarducci.
RispondiEliminaBenedetto XVI non può che uscire rafforzato dagli attacchi, perché la verità, alla fine, è quella che resta, e nessuno la può cambiare.
God bless you.