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sabato 24 luglio 2021

Cosa legge un vaticanista?


Benny Lai sosteneva che per essere un vero vaticanista
ci volevano almeno venti anni di professione, osservazione, dialogo con le persone. Venti anni di ascolto umile e paziente, di appunti (Benny aveva sempre con sé un piccolo taccuino), di riflessioni a bassa o ad alta voce. Si doveva comprendere il linguaggio del Vaticano, e saperlo usare. Bisognava conoscere le sfumature e i dettagli. Comprendere quando la reticenza era vera, e quando era invece una apertura. Analizzare il non detto, più che il detto. Il Vaticano è un linguaggio di simboli, e per simboli va compreso.

Tutto vero. Ma per comprendere tutto serve anche studiare, andare a fondo nelle cose, guardare tra le pieghe di quello che c’è stato. Non ci si deve far fuorviare né dalla necessità di dare una notizia come notizia, né dalla volontà di raccontare qualcosa di nuovo. Si deve sapere cosa è successo prima, e – nel caso non si sappia – si deve anche mantenere una certa sobrietà nei toni.

Non sempre è semplice, perché non è semplice districarsi nella pubblicistica sul tema. Ci sono opere spacciati per saggi che sono piuttosto dei libri a tesi, ci sono libri che si dicono storici, ma che poi alla fine non hanno niente di quello che promettono. Insomma, nel processo di diventare un vaticanista, mentre si impara ad analizzare il Vaticano, cosa si deve leggere?

Dato che la domanda mi viene posta sempre più spesso, ho pensato che posso raccontare piuttosto cosa ho letto io, cosa mi ha aiutato, e cosa mi sta aiutando. Perché, in fondo, le letture raccontano anche un po’ della nostra professione.

Ho scelto di cominciare a scrivere di Vaticano quando Giovanni Paolo II era in agonia. Ero curioso di comprendere cosa sarebbe successo dopo, io che ero di quella generazione che nemmeno pensava ci potesse essere un altro Papa. Per me, era ovvio che per scrivere di Vaticano ci si dovesse cominciare a documentare. Così, entrai in libreria e comprai di istinto un libro che veniva ripubblicato proprio in quei giorni: L’Altro Wojtyla. Riforma, restaurazione e sfide del Millennio di Giancarlo Zizola. Era un libro di oltre 400 pagine, molto nello stile di Zizola che avrei imparato a conoscere, che aveva anche il pregio di presentare una lista di possibili candidati al soglio di Pietro per il dopo Giovanni Paolo II.

Il libro mi fu particolarmente utile per comprendere cosa avrei dovuto cercare di fare, e, dopo qualche tempo, cosa non avrei dovuto cercare di fare. Zizola era di quei giornalisti che sposavano le tesi della rottura del Concilio con la tradizione, raccontava una Chiesa che necessariamente doveva rinnovarsi, metteva in luce molte criticità del pontificato di Wojtyla che io trovai sensate, e che mi fecero vedere il pontificato da un’ottica diversa. Poi, mi sono fatto delle domande, ho cominciato a staccarmi da quella linea. E ho conosciuto Zizola, ci ho parlato a lungo, cercando di comprenderne le ragioni e la storia, l’ultima volta a casa sua per parlare della sua autobiografia appena uscita nel 2009 – e non era molto prima che morisse all’improvviso, nel 2011. C’era, in Zizola, la passione del giornalista di inchiesta, e anche un po’ della vanità tipica di ogni giornalista, perché chi scrive deve prima di tutto credere in quello che fa per sopravvivere. Comprenderlo, mi aiutò anche a comprendere me stesso. I suoi testi mi insegnarono a cercare di andare a fondo con le cose. Le sue interpretazioni mi fecero capire che, per quanto potesse essere una tentazione, forzare il proprio punto di vista poteva essere deleterio.

In quel periodo di sede vacante, il mio caporedattore, Gino Corigliano, si faceva sempre passare gli articoli che Benny Lai scriveva su Repubblica. Erano storie vaticane, approfondimenti, retroscena, che andavano al di là della notizia, che ne coglievano la storia. Corigliano volle che io conoscessi Benny Lai, e così mi mandò da lui. Nel 2006, uscì il suo Il mio Vaticano, che è niente più che il suo diario di cinquanta anni di professione. Lo divorai, ne presi gli aneddoti, e imparai attraverso quel libro l’amore per i dettagli e la capacità descrittiva. Benny Lai guardava prima alla psicologia delle persone che a quello che dicevano. Le scrutava, pronto a cogliere ogni irregolarità del volto. A volte le prendeva in giro con disincanto, altre volte se ne innamorava, ma sempre nel modo sobrio che gli veniva riconosciuto. Tutto doveva essere compreso e visto dall’interno. Non era ideologizzato, e non era ideologico. Era disincantato. Se Zizola mi aveva insegnato il fervore della tesi, Benny Lai mi aveva spiegato che il disincanto è il migliore antidoto al fervore. Ci vuole il fuoco della professione, ma è meglio cuocere a fuoco lento, alla fine, per avere un prodotto migliore.

A quel punto, mi divenne evidente che era necessario cominciare a studiare la storia, o perlomeno a cercare altri punti di vista. Benny Lai mi aveva presentato a don Gino Belleri, libraio della Leoniana che tutto conosceva, tutto capiva, tutto sapeva, anche senza saperlo. E questi, in una delle nostre conversazioni, quando io cercavo di capire alcune delle scelte di Giovanni Paolo II, mi suggerì di contattare Gianfranco Svidercoschi, che era stato vaticanista del Tempo, ma anche vicedirettore dell’Osservatore Romano. Lo feci. Di Svidercoschi, mi colpì la passione analitica. Era una personalità curiosa, piena di vita, gioiosa nel suo lavoro, e sinceramente entusiasta. Aveva uno stile sincopato che era una scuola di giornalismo, con periodi a volte composti da una parola sola o due. Proprio così. Lessi la sua Storia del Concilio, e compresi in che modo un giornalista si potesse sentire quando si ritrova giovane dentro la storia, e cerca di raccontarla. È come essere in una bolla, e sforzarsi di guardarla dall’esterno. Se ne esce solo con molta onestà intellettuale, e molta creatività. Svidercoschi ce le aveva (ce le ha) entrambe. E fu una lezione importante. 

Tutti mi dicevano che dovevo assolutamente leggere Niccolò del Re, e in particolare il suo La Curia Romana. Lineamenti Storico Giuridici. È ora quasi introvabile, ma si tratta di una lettura fondamentale, se non altro per comprendere come era composta la Curia, andarne a rivedere la storia, e avere un senso di quello che è stato fatto prima. Niente, in Vaticano, nasce dal nulla, e tutto ha un senso.

Nel 2005, andai alla Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia. Pensavo sarebbe stata l’ultima di Giovanni Paolo II. Mi ritrovai di fronte alla prima di Benedetto XVI. Fatto sta che, come mio solito, volli interpretare il viaggio a modo mio e mi preparai. Lessi Il Ritorno di Dio. Viaggio tra i cattolici d’Italia, di Marco Politi. Anche quello, fu un libro importante. Mi insegnò come fare una fotografia giornalistica delle cose. Politi ha le sue tesi e le sue idee, e non le nasconde. Ma non nasconde nemmeno il suo stile, a volte un po’ snob nel modo di scrivere, ma certamente efficace. Il libro mi incuriosì. Contattai molte delle persone citate nel libro, ne ho frequentate alcune, con altre sono state incontri occasionali. Perché la cosa importante non è solo leggere. È poi incontrare le persone, parlare con loro, trovare occasioni di stabilire nuove connessioni. Da ogni incontro nasce una o due letture, da ogni punto di vista ne vengono fuori decine.

In quegli anni, e tuttora oggi, raccoglievo tutti gli articoli che potevo, andavo nei mercatini dell’usato a procurarmi vecchi giornali, scaricavo tutto ciò che potevo dagli archivi internet. Mi appassionai molto al lavoro che veniva fatto a Trenta Giorni negli Anni Novanta, chiedevo ai miei colleghi più anziani pezzi di archivio e di ritagli, andai a leggere i report dell’Espresso degli Anni Settanta, ma anche tutto quello che potevo dal sito www.chiesa di Sandro Magister, andando a ritroso nel tempo.

Ho imparato a togliere i pregiudizi conoscendo le persone. E per questo volli conoscere meglio Benedetto XVI. Lessi, ovviamente, la biografia scritta da Giancarlo Zizola. Ma poi lessi anche la sua autobiografia (La mia vita) e poi lessi Ratzinger professore di Gianni Valente. Questi due volumi mi aprirono gli occhi su Benedetto XVI, facendomelo conoscere da punti di vista completamente diversi. In pratica, imparai che tutti sono il prodotto della loro vita, e che questa vita va conosciuta. Quando oggi dico che Papa Francesco va compreso nel suo essere latino-americano, argentino e gesuita, lo devo prima di tutto a queste letture.

Ma ci sono molte altre letture imprescindibili. Di Benny Lai, Vaticano Sottovoce, ma anche la sua Storia delle Finanze Vaticane e l’immancabile Il Papa che non muore, dedicato alla straordinaria figura del Cardinale Siri. Di Svidercoschi, la Lettera ad un Amico ebreo, che racconta la straordinaria amicizia di Giovanni Paolo II con Jerzy Kugler. Di Ratzinger, i volumi del Gesù di Nazareth, perché non raccontano solo la storia di Gesù, fanno il punto sulla ricerca teologica e raccontano un altro punto di vista rispetto al main stream.

E poi, vanno letti gli altri vaticanisti, a fondo, e va conosciuta la loro storia. In questo, aiuta moltissimo l’antologia Giornalismo e Religione, curata da don Giuseppe Costa, Don Giuseppe Merola e Luca Caruso. Mentre va sicuramente letto Andate in tutto il mondo. I vaticanisti italiani raccontano Giovanni Paolo II, curato da Piero Schiavazzi, che per i 25 anni di pontificato di Giovanni Paolo II organizzò una serie di conferenze sul Papa polacco tenute dai vaticanisti che più lo avevano seguito. Illuminante è anche Compagni di viaggio di Angela Ambrogetti, che raccoglie le inedite conversazioni in aereo di Giovanni Paolo II: serve a comprendere lo spirito del Papa, ma anche lo spirito dei viaggi, e il modo di lavorare dei giornalisti. E poi, Eminenza, mi permette, del compianto Giuseppe De Carli, tra coloro che sapevano davvero andare oltre ogni pregiudizio.

Sono tutti libri di autori italiani, ed è vero. Ma è anche vero che solo in Italia si è sviluppata una scuola di vaticanismo come specializzazione pura. Non significa che non ci siano libri straordinariamente interessanti fuori dai confini italiani. Ho da poco scoperto The Vatican Empire di Nino Lo Bello per esempio. Chi è nato e vissuto in Italia, in un certo contesto di Chiesa, riesce però ad avere ancora delle chiavi di analisi diverse, e più vicine alla realtà. È necessario tenerlo in considerazione. Servono prima di tutto delle chiavi di lettura, per non essere fuorviati dagli scandali creati dai vari Vatileaks, per fare un esempio. È necessario andare oltre i dettagli, per quanto pruriginosi, e guardare ai contesti. Serve conoscere il linguaggio, e questo si può solo dedurre. I Racconti Vaticani di Benny Lai sono utilissimi, in questo senso.

Il punto è che tutte le letture sono imprescindibili, e tutto va studiato. In genere, le letture vengono da un incontro, e dalla voglia di approfondire. Leggere un documento vaticano (sono tutti sul sito www.vatican.va) aiuta di più che leggerne le interpretazioni. Tra l’altro, andando a ritroso nel tempo, si trovano varie sorprese.

Internet ha dato una grande mano, perché permette di accedere alle fonti in maniera veloce, ma non ha cambiato la necessità di leggere, studiare, confrontarsi. Io andai a parlare con tutti i vaticanisti che conoscevo o che avevo letto, ogni volta che ne avevo possibilità, cercando di capire i loro modi di lavorare, di rubare loro dei segreti. E mi piaceva molto andare da quelli più anziani, perché davano sempre cose da leggere. Non dicevano cosa fare, e non erano restii ad insegnare, Ma volevano che ci arrivassi da solo, e mi indicavano piuttosto la strada. Era un segno di rispetto, ma anche un aiuto straordinario.

Alla fine, il Vaticano è un mondo complesso. Mi fu spiegato che non poteva essere visto dal buco della serratura della politica italiana, ed era vero. Per questo, da tempo, ho cominciato a leggerlo secondo le categorie internazionali. Ma, per farlo, ho dovuto farmi spiegare dove andare a cercare, cosa leggere, e poi trovare la mia strada in questo mare magnum.

Ci vuole molta umiltà epistemologica per comprendere che a volte mancano delle basi. Ci vuole molta umiltà per guadagnarsi l’istinto di individuare subito se le sfumature sono giuste o sbagliate. Alla fine, non c’è una ricetta. Ci si deve solo spogliare dai pregiudizi, e dare comunque alla Santa Sede un anticipo di simpatia. Perché è quest’anticipo di simpatia che permette di guardare le cose in modo distaccato, senza il pregiudizio negativo che ci viene inculcato.

Quello che ho imparato di più è che ci si deve scrollare di dosso ogni categorizzazione. C'è un Vaticano nascosto che nessuno racconta. Non ci sono progressisti o conservatori, c’è la Chiesa e la sua varia umanità. E l’umanità va compresa: non è perfetta. Ha i suoi scandali. Ma le idee, quelle restano. E quelle sono fondamentali. Perché niente può scalfirle, nemmeno molti anni cattivi.

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