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venerdì 16 ottobre 2020

Quel “Vaticano nascosto” che invoca il diritto di cittadinanza sui media

Da un paio di settimane, i media sono pieni di cronache giudiziarie che riguardano il Vaticano o persone che orbitano intorno al Vaticano. Sembra che tutto, nella Santa Sede, sia corrotto. Che, anzi, sarebbe meglio che la Santa Sede smettesse di esistere, se questi devono essere gli effetti. Un tema, tra l’altro, che è frutto di antiche campagne contro la Chiesa, ideate anche dallo stesso ministro della Propaganda nazista Goebbels, il quale individuò negli scandali sessuali e finanziari i grimaldelli per sradicare il cattolicesimo se non dai cuori delle persone, dall’opinione pubblica.

Chi scrive di Vaticano non è protagonista di queste cronache. Sono i cronisti di giudiziaria a dettare l’agenda, sono loro che ottengono le carte, sono loro che le pubblicano. Da tempo è così. Sia il primo che il secondo Vatileaks si sono diffusi attraverso la cronaca giudiziaria. La stessa cronaca che poi rivendica il diritto di primogenitura nel parlare di Vaticano e di scandali, perché sarebbe senza pregiudizi di sorta.

Cosa può fare, allora, chi scrive di Vaticano per professione, chi il Vaticano lo conosce davvero?

Tagliato fuori da ogni discussione, spesso perché considerato armato di un pregiudizio positivo nei confronti della Santa Sede, al vaticanista spesso non resta che raccontare la cronaca, seguire le semplici notizie, al limite cercare di capire alcuni temi che sono, alla fine, molto specialistici. Fallendo, in fondo, il suo reale obiettivo. E il reale obiettivo non è solo quello di raccontare il Vaticano, ma di spiegarlo, di conoscerne il linguaggi, di decriptarne i segnali. È un qualcosa di molto più profondo del giornalismo tradizionale, da fare con umiltà epistemologica, pazienza e capacità di relativizzare al di là di ogni sensazionalismo.

Forse davvero siamo nella fase in cui il vaticanismo sta perdendo la sua vocazione originaria. Nel 2015, prendendo spunto da un libro in memoria di Giorgio Filibeck, indimenticato officiale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, avevo coniato l’espressione di “Vaticano nascosto”.

Scrivevo, in particolare, che “c’è un Vaticano nascosto che lavora incessantemente per la promozione dell’essere umano. È il Vaticano della diplomazia, quello che si siede ai tavoli internazionali e media per la pace, quello che con il suo peso e la sua influenza fa in modo che l’essere umano sia promosso e difeso. Non viene raccontato perché è difficilissimo raccontarlo. Ma forse il problema è persino un altro: che le stesse persone che lavorano in Vaticano non ne sono davvero consapevoli”.

Aggiungerei oggi che c’è un Vaticano nascosto composto da tutte quelle persone che credono nel lavoro che fanno, e sono moltissime. Che non sono nella Santa Sede semplicemente per fare un lavoro, ma per portare avanti una missione. Non sono solo sacerdoti. In molti casi, sono laici, e sono laici che hanno compreso cosa significa contribuire a far sentire la voce della più grande autorità morale del mondo.

Critche e attacchi alla Chiesa tengono questo Vaticano nascosto in ombra, e loro stessi si nascondono, perché non hanno l’obiettivo della visibilità. Probabilmente vedono con fastidio le grandi dichiarazioni su piccole migliorie tecniche alle leggi, le interviste promozionali dei capi dicastero, i grandi annunci. Perché il loro obiettivo è quello di contribuire a far funzionare la Santa Sede in modo che questa possa essere davvero uno strumento al servizio dell’umanità, non ad esaltare il lavoro che svolgono.

Sanno che è più facile, per loro, essere denigrati che compresi. Sanno che il loro è un lavoro oscuro, per cui in pochi daranno loro merito. Conoscono il terrorismo delle chiacchiere, ma se ne guardano bene. Se parlano con un giornalista, è più facile gli spieghino la ragione di alcune scelte, che invitino a guardare lo scenario complessivo, che si soffermino su cavilli nelle pieghe di documenti in cui loro vedono spazi immensi.

Certo, parlare di carrierismo, di malattie della Curia, di curialismo e di tanti altri mali è molto semplice, perché è sempre facile puntare il dito su ciò che non funziona. Così come è più facile condannare che piuttosto gettare una luce sulle cose vere. Non sulle cose urlate, messe avanti solo per giustificarsi e sottolineare che “si sta facendo qualcosa”, ma piuttosto sulle scelte di lungo periodo, che poi fanno il vero scopo della Santa Sede. 

Non è solo la diplomazia. È il modo in cui si lavora su ogni testo, consapevoli che non si portano solo le nuove idee, ma il peso di una tradizione e di una fede da cui non si può derogare. Un lavoro fatto con la consapevolezza che ogni parola fuori posto potrà essere usata contro la Chiesa, in ogni caso, in ogni dove, in ogni momento. 

Certo, alcuni hanno nostalgia di quel Vaticano nascosto. Lo vedono soppiantato da nuove logiche, molto più secolari, che hanno preso piede anche all’interno della Città Leonina. Si lavora in team ristretti ed esterni, si cercano consulenze esterne, si parla sempre di meno con i vescovi locali e si perde di vista il peso della tradizione. Non comprendendo i linguaggi vecchi, questi vengono messi da parte, e se ne usano di nuovi.

Vengono da qui gli attacchi al Vaticano come “corte”, l’incomprensione di alcuni aspetti di protocollo cui però rimanevano legati anche Papi popolari e popolani come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (e non per caso), l’idea che tutto ciò che di istituzionale nella Santa Sede vada distrutto.

Eppure, il Vaticano nascosto continua a comprendere tutto questo, e a portare avanti in silenzio il proprio percorso che va oltre gli scandali, nella consapevolezza evangelica che grano e zizzania devono sempre andare insieme.

È questo Vaticano nascosto che chiede diritto di cittadinanza nelle cronache di oggi. E sono solo i vaticanisti vecchio stile che possono cogliere le sfumature e le avvisaglie di questo Vaticano nascosto. Non lo faranno i cronisti di giudiziaria, non lo faranno gli uomini vaticani stessi, troppo preoccupati dell’impatto che alcuni punti di vista possono avere nell’opinione pubblica.

In uno dei suoi ultimi interventi pubblici, ad un Cortina Incontra del 2010, Benny Lai, che si era approcciato al Vaticano nella seconda metà degli Anni Quaranta del secolo scorso da non credente, raccontò che il problema che aveva la Chiesa non era quello di parlare meglio al mondo contemporaneo. Il vero problema, diceva, era che la Chiesa si era secolarizzata.

Quando poi pubblicai il mio libro “Propaganda Fide R.E.”, Benny Lai mi disse che gli era piaciuto soprattutto l’ultimo capitolo. Ed era un modo di darmi una lezione. Perché mentre tutti i capitoli si basavano su, appunto, cronache giudiziarie, ricostruzioni, gossip e scenari, l’ultimo capitolo si centrava tutto su Benedetto XVI, sul suo modo di affrontare la situazione, e andava al di là di ogni piccolo scandalo per mostrare una prospettiva più ampia. E Benny Lai mi voleva dire che era quella la strada da prendere.

Il vaticanismo, oggi, non avrà fallito la sua missione solo se sarà in grado di staccarsi dalla cronaca minuta riuscirà a guardare oltre. A dare prospettive più ampie. A lasciare il punto di vista particolare per avere una missione generale. A saper leggere i movimenti della terra, senza però mancare di considerare quelli del Cielo. In fondo, anche al vaticanista è chiesto di essere “nel mondo, ma non del mondo”. Un po’ quello che fa il Vaticano nascosto.

 

2 commenti:

  1. The problem for these good people in the Vatican is that the captain is on the bridge, on the side of the pirates, drunk on Malbec, and doing his best to steer the ship onto the rocks. That is a pretty fundamental problem.

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  2. Nascosto e zitto, perche' nessuno ascolta i laici.

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