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domenica 7 marzo 2021

Addio a padre Gianfranco Grieco. Francescano. Sacerdote. Giornalista


La morte di padre Gianfranco Grieco ha colpito non solo per l’amicizia che mi legava a lui, anche se poi negli ultimi tempi non c’era stato così tanto modo di vedersi. Colpisce anche per la portata simbolica di questa scomparsa. Passo dopo passo, sta scomparendo una generazione che ha fatto e partecipato alla storia della Chiesa. Una generazione che, incredibilmente, non ha lasciato eredi veri nella generazione successiva. E non parlo di eredi professionali. Parlo di eredi intellettuali, persone capaci di comprendere quanto importante fosse lavorare per la Santa Sede perché comprendevano quanto la Santa Sede fosse importante.

Che la generazione stia scomparendo, è nell’ordine delle cose. Succede. Che questa generazione non abbia lasciato eredi è invece un problema diverso. Perché il fatto che non ci siano eredi non è colpa loro. È colpa di quelli che sarebbero potuti essere i loro eredi, e non lo erano voluti essere. Non fino in fondo. Non a costo di una carriera più facile. D’altronde, essere gli eredi dei giganti in un mondo di nani prevede un periodo di adattamento come quello di un Gulliver a rovescio, e cioè da nano a Brobdingnag a gigante a Lilluput. Quando si è nani, è difficile ottenere l’attenzione dei giganti. Quando si è giganti, i nani ti vedono come un problema.

La generazione di padre Grieco non ha colpe perché, in realtà, era una generazione con la vocazione di formare giovani. Padre Grieco, morto a 78 anni, era entrato nei minori conventuali giovanissimi, ed era stato direttore della rivista Il Cavaliere dell’Immacolata fondata da Padre Massimiliano Kolbe quando fu chiamato all’Osservatore Romano nel 1970. I suoi primi anni da giornalista del Vaticano avvengono durante il pontificato di Paolo VI. Sono gli anni successivi all’Humanae Vitae, gli anni della contestazione alla Chiesa, dei grandi dibattiti, dei grandi gesti dello stesso Paolo VI, un Papa che non poteva non suscitare l’ammirazione di padre Grieco.

Eppure, è con Giovanni Paolo II che avviene la svolta. Padre Grieco viene chiamato ad essere il capo del Servizio Vaticano dell’Osservatore Romano, vale a dire il vaticanista, colui che per il giornale del Papa segue il Vaticano. Sembra una tautologia. Non lo è. Ci vuole perizia e sensibilità per raccontare i fatti della Chiesa alle persone che lavorano nella Chiesa. Padre Grieco è la persona giusta per farlo. Segue Giovanni Paolo II in tutti i suoi viaggi internazionali, prestando la sua penna al racconto di quelle imprese che per lui, da vecchio missionario ed esperto di pastorale, erano prima di tutti gli incontri con le persone. 

Resta nel suo incarico all’Osservatore Romano fino al 2007, e prosegue poi al servizio della Santa Sede come capoufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia, fino alla pensione. Scrittore prolifico, con moltissimi libri all’attivo, sono assolutamente da leggere Pellegrino. Giovanni Paolo II tra le civiltà del mondo e Paolo VI. Ho visto, ho creduto. Gli anni del Pontificato.

E sono da leggere perché, nel racconto dalla prosa tipicamente giornalistica, padre Grieco metteva in luce anche una Santa Sede che non esiste più, dando profondità a temi che non sono marginali, ma sempre con una certa leggerezza, sebbene con fermezza. Come quando, nel libro su Paolo VI, quasi magnifica la scelta di Paolo VI di riunire i cardinali in concistoro subito, al termine di ogni viaggio, a sottolineare una tendenza alla collegialità di cui molto si parla oggi, ma che in pochi praticano.

Se non c’è stato un vero erede di padre Grieco, come non c’è stato della scuola giuridica di Giuseppe Dalla Torre (un altro grande personaggio vaticano scomparso quest’anno) e di tanti altri, non è stato perché non c’era da parte loro una volontà di formare. Anzi. Padre Grieco era sempre disponibile a raccontare, parlare, fermarsi per un caffè.

Coinvolgeva i giovani (come me) nelle presentazioni dei suoi libri, e mai con ruoli marginali. Raccontava del tempo andato, ma guardava con vigore al futuro. Aveva quella punta di vanità che deriva proprio dalla professione del giornalista, ma era una vanità genuina, non ostile né arrogante. Sapeva ammirare sinceramente le persone. Aveva le sue preferenze, e non le nascondeva. Ma lo faceva sempre in quel modo delicato che lo contraddistingueva. Un modo delicato che contrastava con il suo eloquio, a volte anche veemente.

Era un frate formato alla Santa Sede, un missionario che sapeva essere teologo, e un osservatore e lettore instancabile. In effetti, era particolarmente strano che si trovasse fuori dalle scene, che non si facesse più sentire. Era sempre presente. A modo suo, ma c’era. Ed era una miniera di aneddoti.

Non esistono più personaggi come padre Grieco. E la storia è stata ingiusta con loro. Ma è stata soprattutto ingiusta con la Santa Sede, che ha perso alcuni dei suoi più grandi alfieri e non ha saputo o potuto sostituirli.

L’addio a padre Grieco non è solo l’addio ad un amico. Racconta, una volta di più, quella Santa Sede che sta piano piano scomparendo.

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