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giovedì 19 marzo 2020

Cinque anni di ACI Stampa: la ricerca di uno stile nel raccontare il Vaticano

Oggi sono cinque anni che è nata ACI Stampa, e ho la fortuna di essere in questa avventura sin dall’inizio. Ma ho anche avuto la fortuna di venire da un’altra palestra, quella di korazym.org, e di aver fatto prima tutto un percorso che oggi, per celebrare l’anniversario, voglio raccontare. Perché comprendere chi si è stati aiuta a comprendere chi si è, e perché guardarsi indietro è sempre utile per preparare il futuro.

 Ho cominciato a scrivere di Vaticano nel 2005, quando lavoravo per La Sicilia. Il modello era quello del quotidiano cartaceo, ma mi era data molta libertà di guardare alle cose con il mio punto di vista. E il mio punto di vista era parziale, ovviamente, e molto permeato dal dibattito. Cominciai a scrivere di Vaticano per istinto, non per scelta ponderata. Cominciai a scrivere di Vaticano perché volevo raccontare la Chiesa da un punto di vista diverso, che fosse al di fuori della narrativa che veniva sempre propagandata. Mi erano sembrati assurdi alcuni toni nel raccontare l’agonia di San Giovanni Paolo II. In molti casi, mi rendevo conto che volevo capire di più, mentre gli articoli che leggevo tendevano a dare tutto per scontato.

Cominciai a leggere, avidamente, ogni cosa che trovavo sul tema. Se qualcosa mi piaceva particolarmente, scrivevo al giornalista o allo scrittore, lo chiamavo, ci andavo a parlare. Chiedevo, piuttosto ingenuamente, di passarmi informazioni o aiutarmi a capire. A volte trovavo dei rifiuti cortesi, altre volte trovavo dei sorrisi di fronte all’ingenuità, ma in ogni caso non mi rassegnavo. Cercavo di imparare il linguaggio, di comprendere come potevo entrare nelle cose.

Quello che ho sempre amato di più sono i retroscena. E così cercavo retroscena, e per questo parlavo soprattutto con i più esperti, perché nella mia mente loro potevano dare un senso alle cose che vedevo. Conobbi Benny Lai, poi conobbi Gianfranco Svidercoschi, e a lui chiesi come prima cosa tutta la storia del Convegno Ecclesiale di Loreto 1985, per comprendere la svolta nella Chiesa italiana e l’arrivo di Ruini sulla scena. E poi conobbi Luigi Accattoli, e anche a lui chiesi cose, soprattutto storie, e non ne rimasi mai deluso. E conobbi Giancarlo Zizola, e gli parlai a lungo, chiesi molto e molto ebbi.

Cercavo un mio linguaggio, avevo ovviamente le mie idee, e spesso queste idee erano più nell’empireo che nella realtà. Ma da nessuno di questi “grandi vecchi” ho trovato scherno. Mi ascoltavano, e poi mi spiegavano l’altro punto di vista. Aspettavano maturassi.

Ovviamente, le mie storie rimanevano sempre nell’alveo italiano, con tutta la serie di narrative che nascevano in ambito italiano. E le narrative sono sempre quelle: il rapporto Chiesa – Stato (italiano, s’intende), con la necessità di mostrare sempre non solo che la Santa Sede ha buoni rapporti con l’Italia, ma che questi rapporti sono imprescindibili; la lettura politica di ogni frase del Papa, perché non è possibile che il Papa non si riferisca all’Italia quando parla; la riduzione di ogni grande tema al punto di vista che proviene dall’Italia.

Quando cominciai a conoscere degli officiali vaticani, mi resi conto che la narrativa non funzionava. Andavo a parlare baldanzoso, con tutto il mio carico di pregiudizi, e venivo puntualmente smontato da cardinali, arcivescovi, monsignori con molta più esperienza e sale in zucca, e soprattutto con molta più cognizione di causa. Cominciai a guardare le cose dall’altra prospettiva. E questo funzionò.

La Sicilia mi affidò una rubrica di retroscena il sabato, chiamata “Stanze Vaticane”, in cui raccontavo a modo mio quello che sentivo nei sacri palazzi, e lì potei cominciare a guardare il mondo da un’altra prospettiva: non solo le nomine possibili e quelle avvenute, ma anche le grandi battaglie per i diritti umani, e – cosa di cui sono molto orgoglioso – un lavoro su come la Santa Sede lavorava sul disarmo partendo dalle leggi sui brevetti.

Cominciai ad essere più attento ai dettagli, ad analizzare le cose “con devozione di lente”, come direbbe il Papa, sviluppando uno stile mio. Poi venni chiamato a collaborare al “Tempo”, e quasi contemporaneamente al “Fatto Quotidiano”.

L’esperienza dei quotidiani italiani è formativa proprio perché sono costruiti proprio secondo quella narrativa che in realtà cercavo di rifuggire. Una narrativa che resta provinciale, e che forse può attirare i lettori, ma che non rispecchia la realtà. Una narrativa alla quale ci si deve adattare trovando però “spazi di anarchia” per poter dare anche un punto di vista diverso. È una battaglia, in fondo.

L’esperienza di korazym.org venne in mio aiuto, perché invece lì si poteva lavorare sui temi laterali, oltre che su quelli centrali. C’era libertà e c’era la voglia di dirsi cattolici, senza averne paura. C’era la voglia di raccontare la Chiesa non attraverso punti di vista pre-costituiti, ma attraverso l’altro punto di vista. E poi, era internet, e questo rappresentava la svolta. Perché su internet non ci sono solo 3 mila battute e una pagina da riempire, ma c’è un mondo da riempire.

Sarò sempre grato all’editore, Vik van Brantegem, e al direttore, Angela Ambrogetti, per avermi permesso di sviluppare quel tipo di lavoro. Gli articoli sulle finanze vaticane, i primi pezzi sulla diplomazia della Santa Sede e sul disarmo, i dossier lunghi e gli approfondimenti sono tutti nati su korazym.org.

Contestualmente, avevo cominciato a lavorare al mio sito in inglese, mondayvatican.com, nato da una idea che mi era stata data da un officiale vaticano. Questi mi spiegò che no, non c’era nessuno che guardasse alla Santa Sede dalla prospettiva internazionale, perché nessuno riusciva a raccontare il Vaticano uscendo fuori dalla sua mentalità nazionale. E che se invece io avessi cominciato a vedere le cose dal punto di vista dell’istituzione, e non della mia mentalità, e con un punto di vista internazionale, e non italiano, avrei messo in luce la vera sfida della Santa Sede del futuro. E mi suggerì di pubblicare un blog, a cadenza settimanale, in inglese, sviluppando questa ricerca e questa narrativa. Lo feci.

Mondayvatican mi fatto essere un po’ conosciuto in un ristretto ambito specialistico, e questo mi ha portato a Catholic News Agency durante il conclave 2013. Due anni dopo, è nata ACI Stampa, che portava con sé l’esperienza di korazym.org.

In questi cinque anni di ACI Stampa,  si è cercato di dare una nuova prospettiva al racconto del Vaticano. Io posso parlare per me, prima di tutto, perché per parlare della filosofia del giornale ci sono persone più qualificate di me.

Cinque anni di ACI Stampa hanno rappresentato, per me, la ricerca di un salto di qualità. Proiettato in un mondo con più possibilità, anche economiche, ho cercato di sviluppare il più possibile un punto di vista internazionale. L’attenzione alle Chiese locali, con continui contatti specialmente nei luoghi dei viaggi papali, è diventata una costante. Noi siamo cattolici romani, e crediamo moltissimo nella Santa Sede come centro e motore di tutto. Ma guardare alle storie delle Chiese particolari, metterle in prospettiva, è diventato anche un esercizio essenziale per dare un contesto a tutto. I reportage prima e durante i viaggi papali, e in particolare quelli sul Baltico, sui Balcani e sulla Romania, sono state tra le cose che ho amato di più fare, e mi hanno portato una serie di incontri e di amicizie che sono cosa preziosa oggi.

Questo lavoro è stato portato avanti insieme a quello sulla diplomazia pontificia, che è diventato di sempre maggiore interesse, tanto che mi è stata affidata una rubrica settimanale sul tema. Lì, ho cercato di raccontare il lavoro dei cattolici nelle istituzioni internazionali, oltre a quello della Santa Sede nel contesto internazionale. E per farlo ho cercato di calarmi anche nell’altro punto di vista, quello delle istituzioni che attaccano la Chiesa, o che non ne condividono il punto di vista, per andare a vedere anche quali sono i meccanismi contro cui la Santa Sede deve combattere, e se sa combattervi o meno.

Ho sviluppato peculiari interessi sul tema del dialogo ecumenico, anche spinto da una vocazione incredibile e sconosciuta a guardare ad Est per ritornare alle origini, scoperta seguendo il Papa in Turchia, in Armenia, in Georgia e poi sviluppatasi definitivamente nel Baltico e in Romania, e nel seguire la situazione in Ucraina con una certa costanza.

Quindi, il racconto della finanza vaticana e della riforma della Curia, roba molto da specialisti che mi piace trattare alla maniera degli specialisti.

Infine, la necessità di raccontare la storia e le storie dietro ogni storia, con una vocazione al dossier che credo mi appartenga. Mi piace che tutto sia spiegato. Preferisco un articolo lungo ad uno breve, in cui ci siano tutti i passaggi spiegati senza sottintesi. Punto a qualcosa che resti, non a qualcosa che si legga velocemente. Non c’è articolo, per me, che possa essere solo una notizia. Tutto deve avere un contesto, tutto deve avere almeno due righe, se non di più, di background. Se me lo chiedo io, se lo chiede anche il lettore, e dunque al lettore va data una risposta.

La grande esperienza di ACI Stampa è che questo mi è permesso, anzi viene incoraggiato. È anche la bellezza di stare, da cattolico, in un posto cattolico. Perché non è necessario essere cattolici per parlare di Vaticano. Ma c’è bisogno di essere cattolici per capire la Chiesa, per riuscire a spiegare quello in cui si crede.

Il bello di ACI Stampa è che l’identità non viene nascosta. Ma non viene nemmeno esaltata. Siamo semplicemente giornalisti, e cerchiamo di lavorare per avere quella umiltà epistemologica che ci permette di guardare alle cose da un’altra prospettiva.

Per questo, inserire questo percorso nell’esperienza di ACI Stampa ha un certo significato. E raccontare questo percorso era un buon modo per celebrare questi cinque anni.

Ad multos annos, ACI Stampa

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