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venerdì 24 gennaio 2020

Auguri a noi, giornalisti! Ma quale è la nostra vocazione?


San Francesco di Sales è patrono dei giornalisti perché lui, vescovo di Ginevra, combatteva la riforma protestante con la cultura, spiegata in modo semplice ed efficace, in opuscoli lasciati ai fedeli perché comprendessero cosa volesse davvero dire essere cattolici.


Ricordare questo, oggi, nella sua festa, che è anche la festa dei giornalisti e dunque la giornata mondiale delle comunicazioni sociali, è un monito. 

Oggi, il dibattito sul giornalismo va sempre più sulla questione tecnica, o sulla necessità di arrivare a un pubblico reale partendo dai social.

Ma il punto, secondo me, non è assolutamente questo. Come il punto non riguarda il tema delle fake news, che – tra l’altro – sono sempre esistite. Anche le narrazioni di cui parla Papa Francesco nel suo messaggio sulle comunicazioni sociali di quest’anno (tema: “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria”) sono, se prese dal verso sbagliato, solo una mera questione di tecnica.

Vero è che le storie vere restano sempre, e questo il Papa lo sottolinea giustamente. Ma l’idea dell’uomo narratore ci tiene sempre lontani dal tema della verità, che è cruciale e che pure  viene sempre più messo da parte in favore della tecnica. È il solito tema:  essere sofisti o filosofi?

Per quanto riguarda il giornalismo, c’è da fare, a mio avviso, un dibattito diverso che riguarda la natura stessa dell’essere giornalisti.

Il mondo di oggi è così, più digitale che analogico. Le notizie corrono, arrivano veloci. Il giornalista non può essere più solo quello che dà le notizie, e non può semplicemente dare le notizie senza dare un contesto. Un giornalista, oggi, è chiamato a studiare, più di prima. A non accontentarsi di raccontare un fatto, ma a cercare di spiegarlo. A non prendere una posizione ideologica, ma a tirarsi fuori dall’ideologia. A non fare campagne di opinione, ma a raccontare le cose.

Il giornalista non è solo un filtro tra la notizia e il lettore. Il giornalista è colui che dà al lettore una visione del mondo, e cerca di spiegarne le ragioni. In modo semplice, chiaro, ma senza banalizzare nulla.

Essere giornalisti, oggi, riguarda la cultura e la storia, molto più di prima, e nonostante si pensi che sia importante molto meno di prima. Non basta un link in un articolo a rimandare il lettore ad un’altra pagina, per approfondire. Il lettore deve già trovare l’approfondimento, deve sapere che sta leggendo un lavoro curato, non frettoloso, sebbene pubblicato con velocità.

Non c’è più il tempo di riflettere davvero, ma si è chiamati a riflettere velocemente e in profondità. È una abilità nuova, tutta da sviluppare. Ma necessaria.
Perché ci vogliono storie ed analisi. E perché ci sono troppi commenti e poche analisi. Troppe interpretazioni e poca ricerca della verità, che reca in sé anche l’onestà di ammettere i propri limiti.

Ed è questo il grande limite del giornalismo di oggi.

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