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martedì 2 dicembre 2025

Dopo il primo viaggio di Leone XIV. La comunicazione religiosa e il suo futuro

Il primo viaggio di Leone XIV è finito, e subito viene da chiedersi cosa sarà dell’informazione religiosa oggi. Abituati a Papa Francesco, alla sua mediaticità ed estemporaneità che in qualche modo garantivano titoli facili e controversie gratuite, il pontificato di Leone XIV sembra aver portato il racconto vaticano su un binario più normale, regolare e allo stesso tempo difficile.

Il viaggio in Turchia e Libano era denso di significati, e tutti valevano un approfondimento o un articolo. Dal percorso ecumenico dell’unità delle Chiese fino al grido di pace risuonato più volte in Libano. Dal tema della mediazione per la pace, che porta con sé anche una analisi sul possibile ruolo della Turchia, a quello del dialogo interreligioso, simboleggiato anche dalla visita – una prima assoluta per i Papi – alla tomba di San Charbel, il santo maronita che è venerato anche dai musulmani.

 

Tutto di questo viaggio meritava un approfondimento, tutto meritava una storia, tutto meritava una analisi. Eppure, sembra che il viaggio di Leone XIV non abbia raggiunto il cuore di chi si occupa di comunicazione, e di conseguenza non sia “arrivato” anche sui media. Si è raccontato di questo viaggio, il primo del nuovo pontificato, partecipato da un numero incredibile di giornalisti come non se ne vedeva da tempo, eppure sembra che il racconto su tutto quello che è successo si sia trascinato stanco, con qualche picco quando qualcuno decideva che qualcosa potesse essere interessante.

 

Vale anche per i media che si occupano principalmente di informazione religiosa, quelli che comunque alla fine leggono e riassumono tutti i discorsi dei Papi. Il viaggio rimaneva un racconto istituzionale, preciso, chirurgico, ma per questo a volte mancava di cuore.

 

Non ho dati scientifici sul tema, e sarebbe interessante fare una ricerca sulla copertura del viaggio. Magari la ricerca quantitativa mi smentirà, mostrando un numero di articoli particolarmente superiori a quello che io penso, ma sono sicuro che la ricerca qualitativa mostrerà piuttosto una informazione religiosa che sembra aver perso di mordente.

 

Il problema, però, sta probabilmente in una questione diversa. Papa Francesco aveva rappresentato una tradizione. Se Benedetto XVI era un Papa della vecchia epoca, ma la nuova non era ancora cominciata – come ebbe lui stesso a dire a Peter Seewald – così Papa Francesco era un Papa di un’epoca nuova, proveniente dal Nuovo Mondo ma radicato nel Vecchio. Radicato, ovvero, in un modello di comunicazione che privilegiava la personalità piuttosto che il fatto o il concetto. Radicato nell’idea di una persona carismatica al comando. Radicato nell’idea che il carisma potesse bastare a superare i concetti.

 

L’idea dell’hombre solitario y final è perfetta per i media, perché le narrazioni si costruiscono per contrapposizioni. Era facile parlare di Papa Francesco e la Curia, per esempio, in un meccanismo oppositivo che funzionava e che rispondeva anche al sentimento delle persone. Il Papa che parlava a braccio, che si liberava dei simboli per stare in mezzo alla gente, che non esitava a dire in pubblico quello che molti avrebbero detto in conversazioni private pur essendo il Papa, era sicuramente un Papa in cui tutti si riconoscevano. Ma era anche un Papa che sovrastava la Chiesa con la sua personalità, anzi la destrutturava, mentre la Santa Sede si trovava ad essere anche essa marginalizzata.

 

Mediaticamente parlando, un successo. Istituzionalmente parlando, un problema. Dal punto di vista del giornalismo religioso, poi, una questione da affrontare. Cosa fare? Raccontare l’istituzione oppure raccontare il Papa? Oppure raccontare entrambi?

 

Io credo che il problema fosse in tutte queste domande, perché anche queste sono domande del Vecchio Mondo, mentre ci troviamo in un mondo nuovo. Un mondo in cui tutti possono scrivere un articolo, in cui l’intelligenza artificiale lo replica benissimo, e allora conta davvero il fattore umano. Ma il fattore umano non si può ridurre ad elementi di cultura pop, perché altrimenti non ha niente di diverso da quello che fa una chat bot a cui chiedi di scrivere la sinossi di un romanzo.

 

Oggi, il target dell’informazione religiosa è diverso. Non sono più coloro che vogliono ascoltare le parole del Papa, o che vogliono vedere nel Papa una ispirazione. Per quello ci sono già le dirette su youtube, istituzionali e non, e una schiera innumerevole di blogger, oltre che di agenzie on line, che lo fanno già. Il target dell’informazione religiosa è rappresentato piuttosto da coloro che vogliono capire davvero il Papa e la Chiesa. Da coloro che cercano di avere un salto di qualità informativo, e lo cercano attraverso dei mediatori di fiducia.

 

Il futuro dell’informazione religiosa non sta nella notizia, ma nell’approfondimento. Un approfondimento che si nutre di notizie, ma che deve avere un flusso originale, diverso, vissuto creativamente, perché solo in quel modo un racconto perde la sua stanchezza e la sua bidimensionalità per diventare quadridimensionale.

 

Di Benedetto XVI si diceva che costringeva a leggere i discorsi tutti interi, e io personalmente ho sempre detto che costruiva discorsi come cattedrali. Si imparava, con Benedetto XVI, a leggere, comprendere e raccontare, cercando di essere all’altezza di quello che si leggeva. Ho provato ad applicare lo stesso approccio a Papa Francesco, nonostante il suo discorso si prestasse anche ad una interpretazione più semplice ed esemplificata, proprio perché ho sempre saputo che la Chiesa non è solo la via semplice. E credo che si debba applicare la stessa modalità a Leone XIV, cercando di andare oltre i discorsi, e di comprendere gli scenari.

 

L’informazione religiosa, oggi, deve essere una informazione di profondità. Nell’overload informativo, l’informazione religiosa è chiamata ad essere qualcosa di diverso. Ma il target non è un pubblico generico. È un pubblico specializzato, altamente specializzato, che cerca qualcosa di specifico e che vuole essere fidelizzato su quel qualcosa.

 

Si tratta di una nicchia. Ma è questo probabilmente il futuro. Nicchie specializzate. E gli editori dovranno probabilmente comprenderlo e investire oggi su un qualcosa di nuovo, prima di essere costretti a investire quando è troppo tardi per cambiare.

 

Io credo che l’informazione religiosa abbia un futuro, proprio in quanto informazione specializzata. Ma deve essere trattata da informazione specializzata. Senza approssimazione, con grande rispetto, e con la consapevolezza che non può essere una informazione democratica. È, e sarà sempre, una informazione di élite. Non significa che sia un male. Significa che siamo chiamati a rivedere i criteri di quello che facciamo. E allora, forse, anche i viaggi papali, per quanto poco entusiasmanti, diventeranno davvero interessanti. Dipende da noi, più che dal Papa o dalla Chiesa.

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