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lunedì 16 giugno 2025

Da Francesco a Leone XIV, dieci caratteristiche del cambio di pontificato (per il vaticanista)

È passato un mese e una settimana dall’elezione di Leone XIV. Quando cambia un pontificato, per chi fa Vaticano cambia tutto un mondo. Cambiano i punti di riferimento, cambiano le persone cui rivolgersi per le notizie, le fonti tradizionali rischiano di diventare inaffidabili, perché non sono più nella posizione di avere informazioni.

 

Quali sono, dunque, le novità di questo cambio di pontificato? E cosa ho imparato in questo ultimo mese e mezzo? Ecco dieci piccole caratteristiche, dieci dettagli su cui secondo me vale la pena di riflettere.

 

1.     Si è passati da un pontificato personale e personalista ad un pontificato più collegiale. Papa Francesco aveva creato una forma di governo tutta centrata sulla sua persona. Spesso le decisioni non venivano nemmeno comunicate ai collaboratori, e nemmeno al circuito ristretto. Ne conseguiva che tutto era imprevedibile. Leone XIV è stato un vescovo e un cardinale che ha saputo lavorare da solo. Ma vive anche nella prospettiva di un ascolto differente, e questo si nota sin dalle prime battute del pontificato. Leone XIV non è personalista. È discreto, è riservato, ma non imprevedibile.

2.     C’è meno improvvisazione. Papa Francesco amava andare a braccio nei suoi discorsi, raccontare esperienze personali, e ribadire i concetti laddove gli sembrava che la lettura non stesse facendo il suo compito. Leone XIV invece si affida molto al testo scritto. Ha scritto persino il testo che ha pronunciato dalla loggia delle benedizioni alla prima uscita da Papa. È un Papa meno estemporaneo, e più affidabile dal punto di vista dei contenuti.

3.     Questo significa che si può, si deve studiare ogni cosa che dice Leone XIV. La comunicazione di Papa Francesco era immediata, diretta, e, sebbene risentisse della sua visione del mondo, della sua storia, dell’indirizzo che voleva dare alla Chiesa, andava presa in maniera diretta. Leone XIV studia i dettagli, le sfumature dei suoi discorsi sono importanti, e tutto quello che fa rimanda, più che alla sua persona, ad una visione di Chiesa.

4.     Leone XIV è il primo Papa che non ha vissuto il Concilio Vaticano II da sacerdote, non è stato coinvolto nei dibattiti post-conciliari, non ha vissuto la stagione della Grande polarizzazione. Sacerdote dal 1982, Leone è più in figlio del grande lavoro fatto da Giovanni Paolo II per superare le polarizzazioni che non un figlio del grande “scontro di civiltà” che ha fatto seguito al Concilio Vaticano II. Sebbene abbia vissuto l’era dei cultural warriors americani, è rimasto un pastore, probabilmente anche insofferente ad una polarizzazione che non rappresentava la Chiesa. È il primo Papa di una generazione nuova.

5.     Per questo, la mia generazione di vaticanisti – la terza generazione – ha più strumenti per poter raccontare la realtà incarnata da Leone XIV. La terza generazione di vaticanisti si forma negli Anni Novanta e comincia a lavorare nei primi Duemila. Non ha vissuto gli anni del Concilio. Non è arrivata a questo lavoro a seguito di una serie di spinte e convinzioni ideologiche post-conciliari. Non ha conosciuto in maniera feroce la categorizzazione tra progressisti e conservatori. La raccontava, ma doveva impararne il linguaggio. Invece, la visione del mondo di Leone XIV è più vicina alle corde del vaticanismo odierno, che rispecchia in qualche modo il mondo cattolico in generale. Un mondo desideroso di unità, più che di divisione, pur mantenendo le molte differenze. Un mondo che ritiene ideologici alcuni dibattiti post-conciliari, pur nella loro prepotente forza.

6.     Leone XIV è un Papa pacato, riflessivo, che non esita a considerare l’importanza dei gesti. Papa Francesco aveva un universo di valori sudamericano, e questo lo portava a trascurare – a volte persino a disprezzare – alcuni “linguaggi” che l’istituzione della Chiesa in occidente, e il Papato in particolare, impiegavano per raccontarsi. Leone XIV invece utilizza tutti quei linguaggi. Dovremo riabituarci a conoscere i linguaggi pontifici, a comprendere i simboli nella loro storicità, perché Leone XIV dimostra di volerli usare. Anche la liturgia è più curata, e i dettagli saranno importanti per comprendere ogni cosa – a partire dal fatto che Leone XIV ha deciso di riprendere a imporre personalmente il pallio ai nuovi arcivescovi metropoliti.

7.     Raccontare Leone XIV significa anche raccontare una Chiesa che ha bisogno di essere riparata, e questo vuol dire anche non tacere le tensioni che hanno permeato il precedente pontificato. Non si tratta, però, di esagerare le tensioni, ma piuttosto porle in prospettiva. Papa Francesco, in qualche modo, sfidava i giornalisti, raccontava tutto in un “qui ed ora” che a volte diventava problematico. Ma non si può risolvere la Chiesa con il “qui ed ora”. Tutto va messo in contesto.

8.     Cambia il rapporto con le fonti perché cambia il rapporto del Papa con i collaboratori. Papa Francesco spesso saltava i collaboratori, e le decisioni erano conosciute da una cerchia ristretta di persone, quando erano conosciute. In generale, il vaticanista aveva bisogno di impiegare tutte le sue conoscenze e le sue deduzioni, spesso affidandosi a pettegolezzi per comprendere davvero cosa volesse il Papa. Tutti, però, sentivano di interpretare il Papa. Con Leone XIV, nessuno ancora sente di poter raccontare il Papa, di poterlo interpretare, di poter parlare al suo posto. Le fonti difficilmente daranno notizie riservate. Il Papa difficilmente chiamerà qualcuno per spiegare il suo punto di vista o annunciare in anteprima una decisione.

9.     Si deve sperare che si torni, però, al modo antico di diffondere le notizie. In un Papato super-comunicativo, quello che è mancato negli ultimi anni è stata la comunicazione. Molto veniva annunciato, poco spiegato. Si è cominciato con i rapporti finanziari, sempre pubblicati di pomeriggio e senza conferenza stampa. Si è continuato in vari altri piccoli dettagli. Si è arrivati alla sede vacante, quando molte decisioni non perfettamente in linea con le norme non sono state spiegate – perché il Cardinale Parolin, non più segretario di Stato, ha accolto i capi di Stato al funerale del Papa? Perché il sigillo del pontificato è stato rotto all’ultimo giorno di riunione pre-conclave e per di più da una donna? – e questo ha permesso di generare equivoci. I giornalisti sono anche responsabili di questo, perché c’è una ricerca di scoop a volte incontrollata. Ma non sono i soli responsabili, perché tutto andrebbe spiegato, perlomeno se non si vuole che ci siano fraintendimenti. Per ora, la comunicazione sta ancora prendendo le misure del nuovo Papa.

10.  Tutto sommato, però, si deve notare che il passaggio di pontificato dice al vaticanista che qualunque confronto tra Papi rischia di non dire tutta la verità. Abbiamo i “guardiani della rivoluzione” di Papa Francesco che cercano di sviluppare una totale continuità tra Leone e Francesco, in maniera pretestuosa. Ci sono quanti cercano di sviluppare una discontinuità tra Leone e Francesco, sottolineando le differenze. Ma in entrambi i casi, non si sta considerando un Papato particolarmente originale: americano, ma non nordamericano; conciliare, ma non necessariamente del concilio; dirimente, ma non divisivo. Un Papato originale, che nasce originale anche perché siamo di fronte ad una generazione nuova.

 

E noi, di fronte a questo cambio generazionale, saremo in grado di cambiare anche il linguaggio, il modo di approcciarci al Vaticano? Saremo in grado di fare un giornalismo vaticano meno personalista e più approfondito? È questa, oggi, la grande sfida.

 

 

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