Cerca nel blog

martedì 24 maggio 2022

Quanto c’è bisogno di un Navarro Valls per la comunicazione vaticana?

Tre anni fa, la sala dei giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede veniva intitolata a Joaquin Navarro Valls, che di quella sala stampa era stato indimenticato direttore, e portavoce di un pontificato e soprattutto di un mondo che sembra non esserci più.

L’anniversario è particolarmente significativo, oggi, perché la situazione in Europa è quanto di più simile ci potesse essere ai tempi in cui Navarro Valls aveva preso le redini della comunicazione vaticana, rivoluzionandola per sempre. Ci troviamo, in fronte, con una guerra nel cuore dell’Europa, con un mondo di nuovo diviso in blocchi, con campagne di comunicazione che ricordano quelle dei tempi della “mutua distruzione assicurata” tra Stati Uniti e Unione Sovietica.


Viene spesso da chiedersi, in questi tempi, cosa avrebbe fatto Giovanni Paolo II in una situazione del genere, e di conseguenza come avrebbe agito il suo portavoce. Viene anche agitato lo spauracchio della Ostpolitik vaticana, che il Papa polacco avrebbe disconosciuto, prendendo invece posizione più forte contro il comunismo fino a farlo crollare. E si contrappone tutto questo ad una certa diplomazia “fluida” di Papa Francesco, basata molto sull’incontro personale, ma eventualmente meno forte nel denunciare le ingiustizie post-sovietiche.


Ci sono, però, alcune piste di riflessione che non vanno trascurate, e che dovrebbero permetterci di guardare alla realtà in maniera più distaccata, lucida, meno polarizzata. Cercherò di sviluppare qui alcuni punti che hanno come spunto lo stato dell’informazione religiosa sulla guerra in Ucraina, ma che in realtà riguardano tutta l’informazione religiosa.

 

1.     Giovanni Paolo II sosteneva i popoli, le nazioni e non gli Stati. Questo perché veniva da uno Stato sotto il controllo sovietico. Lo Stato polacco era sovietico e comunista, la nazione polacca no. Il popolo aveva diritto a formare uno Stato, ma lo Stato non aveva diritto ad opprimere un popolo. Per questa ragione, Giovanni Paolo II oggi non mancherebbe di tuonare contro l’aggressione russa. E per questa ragione, Navarro Valls oggi avrebbe tutto il potere, e il dovere, di veicolare quel messaggio, tenendo però i toni equilibrati. Perché questo faceva Navarro Valls: equilibrava i toni. Il suo lavoro era frutto di un lavoro di squadra, una triangolazione tra il Papa, la Segreteria di Stato e la Sala Stampa. Una triangolazione che nasceva dalla necessità di dare all’istituzione un peso, più che al Papa. Il Papa parlava per la Chiesa, non per se stesso.

2.     Proprio perché Giovanni Paolo II sosteneva i popoli, non avrebbe probabilmente mancato di notare il senso di colonizzazione occidentale che si può percepire nella narrativa intorno questa guerra. Dopo la caduta del Muro di Berlino, di fronte alla narrazione trionfante del mondo occidentale, Giovanni Paolo II mise in guardia dal consumismo, dalla dittatura del mondo commerciale che si affacciava ad Est con il piglio del colonizzatore. Le società rurali, legate alla famiglia, fondate sulla fede, vengono attratte dai luccichii della vita occidentale, da un nuovo modello di vita, e vengono dunque sradicate dalle loro radici. Sarebbe stato di Navarro Valls il compito di introdurre anche questa narrativa, tenendo fermo il concetto che l’aggressione doveva essere condannata, ma allo stesso tempo mettendo in luce i rischi di lungo periodo che nascevano dalla potenziale dissoluzione delle particolari società di ogni luogo.

3.     Sembra quasi paradossale, ma questa accusa di occidentalizzazione è quella che viene da molti settori del mondo russo, che per questo appoggiano la guerra di Putin. E su queste basi lo fa anche la Chiesa Ortodossa, da vedere con quali interessi particolari. Si può fare una cerniera di intenti su questi temi, isolando i poteri politici e stando invece vicini ai popoli? Si può, ma ci vuole coraggio. Non basta un Papato à la carte, ma serve piuttosto una strategia. Probabilmente Giovanni Paolo II avrebbe incluso Navarro Valls in questo tipo di strategia, facendolo partecipare alle riunioni in Segreteria di Stato. Al tempo, i viaggi del Cardinale Paul Poupard in Russia furono un grimaldello potentissimo per sgretolare il mondo intellettuale russo e, di fatto, preparare la strada per la caduta del Muro di Berlino. Il dialogo, oggi, deve guardare anche a questo fronte culturale. È qualcosa di profondamente più ampio di un banale “no” alla guerra, o una richiesta di cessate il fuoco, comunque necessario. È un guardare oltre.

4.     A chi fa notare che Giovanni Paolo II aveva messo da parte ogni tipo di Ostpolitik, va fatto notare che lo stesso Papa polacco aveva scelto Casaroli come suo segretario di Stato, e lo aveva creato cardinale. Al di là dei problemi che la politica di Casaroli aveva potuto creare, o del dibattito su di essa, si riconosceva a Casaroli una abilità diplomatica e soprattutto di aver agito per il bene della Chiesa. Giovanni Paolo II poteva operare, a Cracovia, anche grazie all’operato del Cardinale Casaroli, il quale, avendo compreso la situazione polacca, lasciava l’iniziativa ai vescovi, che avevano una loro autorevolezza. Giovanni Paolo II era un uomo libero, ma che conosceva il potere delle istituzioni. Questa istuzionalità gli permetteva di essere super partes. La sua era una real politik nel senso che era una politica realista. Non è detto che il realismo non possa essere visionario. E c’è un realismo cristiano che va coltivato. Tanto più oggi.

5.     Dove è finito, dunque, il realismo cristiano? Navarro Valls di certo non avrebbe permesso la totale polarizzazione dei mezzi di informazione sulla situazione che si sta vivendo oggi. I media vivono in un costante manicheismo della realtà che rischia di renderli meno credibili. Probabilmente si sarebbe chiamata una alleanza dei media cattolici perché si mantenessero i toni bassi, perché si mantenesse una neutralità di fondo che non significava non denunciare l’aggressore, ma semplicemente tenere fede al motto dell’Osservatore Romano: unicuique suum tribuere, dare a ciascuno il suo. Possibile oggi? Difficile, di certo.

6.     Dare a ciascuno il suo significa anche andare a verificare le narrative e spiegarle. Davvero c’è un nazismo ucraino, come sostiene Putin? C’è, come ci sono residui nazisti ovunque in Europa. Ma il nazionalismo ucraino nasce molto prima, già nel XIX secolo, ha una storia più profonda e tutta da comprendere. E la dovrebbero cominciare a raccontare per primi i media cattolici, che dovrebbero essere ansiosi non di prendere una parte, ma di raccontare la verità. Bollare le narrazioni come “ingiustificate” o assurde senza però spiegare perché non è parte del realismo cristiano. Alimenta il conflitto. Si diventa parte di una guerra nella guerra.

7.     Dare a ciascuno il suo significa anche analizzare quelle che l’aggressore ritiene essere le ragioni giuste per aver mosso l’aggressione. Non significa legittimarle. Significa spiegare alle persone cosa sta succedendo. Significa, anche, in definitiva, fare una autocritica su alcuni punti, e guardarne altri da angoli diversi. È nel prendere il punto di vista dell’altro che si comincia costruire la pace. E questo vale anche se il punto di vista dell’altro è sbagliato o orribile, come succede quando ci si trova di fronte ad una aggressione.

8.     Dare a ciascuno il suo significa guardare in prospettiva, e non solo sul momento presente. Giovanni Paolo II avrebbe chiesto a Navarro Valls di pensare come fare, Navarro Valls avrebbe trovato il modo di creare una rete, di guardare a giornalisti di cui ci si fidava, di lasciar passare informazioni in maniera sapiente, e allo stesso tempo di accompagnare l’azione diplomatica, che è prudente perché la diplomazia è prudente per sue caratteristiche, non urla, non fa passi in avanti, crea solo le condizioni a tutti di vivere.

9.     Dare a ciascuno il suo significa non mancare di andare a guardare la natura anche religiosa dei conflitti. Ho visto poche analisi sullo scisma ortodosso che era avvenuto in Ucraina, e su quello che sta succedendo comunque nel mondo dell’ortodossia. Ho visto poco spiegato il ruolo del Patriarcato di Mosca nell’anticipare, con le sue azioni, quello che avrebbe fatto Mosca in geopolitica. Eppure, raccontare quelle storie sarebbe fondamentale. Giovanni Paolo II, che aveva vissuto la diaspora delle Chiese bizantine che avevano rifiutato di entrare nell’ortodossia, avrebbe probabilmente chiesto di trovare un modo di mettere in luce i problemi. E Navarro Valls lo avrebbe trovato.

 

Queste considerazioni le porto con me da due mesi, da quando non riesco a trovare un punto di vista bilanciato sulla guerra, pur riconoscendo le ragioni di molti e pur rendendomi conto dove invece il ragionamento non funziona. Ogni informazione è usata per confermare le proprie idee, diventa una arma in una battaglia dell’informazione, ed una arma profondamente potente.

Ho pensato spesso ai media cattolici in Europa, specialmente quelli al di là di quella che una volta era la Cortina di Ferro. E ho pensato molto ai vescovi europei, quelli più interessati da questo dibattito. E ho pensato allo stesso modo alla comunicazione, a come farla, a come renderla forte, integrata, buona, piena di realismo cristiano.


Oggi come oggi serve un patto dell’informazione e serve nuova linfa nel mondo della comunicazione religiosa. Si deve fare prima di tutto a livello europeo, guardando nuovi mezzi, nuove idee, nuovi network, perché è in Europa che si sta giocando la partita del nuovo mondo.

L’Europa è stata per secoli fonte di dottrina (filosofica, teologica, morale) e ora è diventata campo di sperimentazione per chi vuole creare una nuova dottrina. È l’eredità delle guerre mondiali, dei genocidi nati dai nazionalismi, dal consumismo che diventa colonizzatore, dei genocidi palesi e nascosti.


Se l’Europa è sempre stata al centro, è dall’Europa che si deve ripartire. Il punto è che non sono più i tempi di Giovanni Paolo II e di Navarro Valls. Non è più il tempo di una guerra culturale. È un tempo in cui poche cose non sono pubbliche, e poche cose non sono dibattute in pubblico. E dunque, per essere efficaci, si deve costruire una nuova civiltà, si deve ripartire dal basso, crescendo in silenzio come una foresta.


Il tempo di Navarro Valls era il tempo in cui ci si doveva far sentire. Questo è il tempo in cui, nella molteplicità dei rumori, non potendo parlare più forte degli altri, è meglio rimanere silenziosi e lavorare per il futuro.


Navarro Valls saprebbe farlo, perché non aveva un approccio tecnico alla comunicazione istituzionale. Aveva un approccio di cuore. E così, anche una nuova informazione religiosa, a partire dall’Europa, deve partire dal cuore.

L’anniversario della Sala Navarro Valls ci dice, in fondo, che dobbiamo necessariamente rimanere cristiani nel nostro approccio al mondo. Lo abbiamo davvero fatto, fino ad oggi? E saremo in grado di farlo, in futuro?

Nessun commento:

Posta un commento