L’arte e la cultura sono state per il cristianesimo l’equivalente delle parabole di Gesù, il modo in cui si cercava di esprimere l’infinita grandezza di Dio in simboli, gesti, linguaggi che fossero immediatamente comprensibili a chi, piuttosto, non aveva la cultura. Perché il bello e il vero sono un linguaggio universale, e sono lì a portata di mano. E perché sono stati i poveri a chiedere questo linguaggio ai loro pastori, autotassandosi per la costruzione delle grandi cattedrali in cui potevano ripercorrere le storie della Bibbia leggendo le immagini delle vetrate. Oggi li chiameremmo fumetti, ipertesti, o qualcosa del genere, al tempo erano detti biblia pauperum, ma il potere divulgativo e, oserei dire, evangelizzatore, era lo stesso.
Per comprendere il senso della Resurrezione va dunque anche svelato questo linguaggio, nemmeno tanto nascosto, che si è costruito intorno alla fede in un Dio vivente, e che si è incarnato intorno alle reliquie. Si può ripercorrere la storia d’Europa semplicemente guardando alle storie dei santuari mariani che si ritrovano ovunque, con storie differenti perché fatti di vissuti differenti, ma con lo scopo comune di cercare una mediazione in Maria per arrivare a comprendere e vivere Dio.
Ma ogni singolo edificio ha una storia che ne racconta milioni di altre: dalla cappella della Sindone che rappresenta “una salita verso la morte” alla straordinaria cattedrale di Cahors costruita per dare un degno alloggio alla Sainte Coiffe, il Sacro Copricapo che avrebbe coperto il capo di Gesù nella sepoltura.
Vale lo stesso per le opere d’arte. È rimasto impresso nella memoria l’ostensorio monumentale di Toledo che Benedetto XVI utilizzò per l’adorazione nella veglia della Giornata Mondiale della Gioventù del 2011, e questo era solo uno dei tanti ostensori monumentali che in Spagna si sono costruiti per dare dignità e forza all’adorazione del Corpo di Cristo.
E come dimenticare la Sistina, che sembra davvero segnare il confine tra il cielo e la terra e che in fondo apre questo confine solo quando i Cardinali vi entrano in Conclave e ascoltano lo Spirito Santo per dare un capo alla Chiesa?
È che il cristianesimo ha costruito arte, storia, vita e lo ha fatto non negando le tradizioni precedenti, ma semmai convertendole. Certo, non dico che nel cristianesimo non ci siano state situazioni difficili e anche anti-storiche. Ma, al di là dei dettagli e degli assestamenti degli inizi, ovunque si può notare che la civiltà cristiana ha sempre preservato il passato. Al limite lo ha convertito, come ha fatto con il Pantheon divenuto una chiesa, ma non lo ha mai rinnegato.
Questo rispetto del passato non è cosa comune. Recentemente, si è parlato della scomparsa sistematica di segni della cultura cristiana in Nagorno Karabakh, ma non serve andare troppo indietro nel tempo per vedere la distruzione di Palmira, come non si può evitare di ricordare che, in fondo, Parigi fu smembrata dopo la Rivoluzione e risistemata secondo il piano di Haussmann. Era la stessa Parigi che si voleva disfare di Notre Dame divenuta un Tempio della Ragione e poi abbandonata.
Ma – ed è qui il bello – le persone hanno compreso il valore
di un edificio pieno di Dio, ne hanno supportato la ricostruzione, hanno
apprezzato la campagna di Victor Hugo
che fece da supporto al grande progetto di restaurazione di Viollet le Duc.
Come erano i poveri che si tassavano per la costruzione delle grandi
cattedrali, così sono i semplici a volere quelle cattedrali lì, presenti, a
dare un’anima alla città. Quando Notre
Dame fu colpita dalla fiamme, fu colpito il profondo di Parigi. Lo sconcerto
generale dei francesi raccontava di un colpo al cuore. Le persone in
ginocchio, in preghiera, di fronte alle fiamme, dicevano che c’era una presenza
viva che sentivano di stare perdendo .
Mi è venuto da pensare a tutto questo quando, nella settimana di Pasqua, è giunta la notizia della morte di Gianluigi Colaucci, colui che curò il restauro del secolo della Sistina, approcciandovisi con tutta la cura e l’attenzione che viene solo dal fatto di considerare quell’opera d’arte come qualcosa di più di un’opera d’arte. C’è un senso profondo, lì, una teologia, che va al di là del semplice capolavoro.
E forse sarebbe da raccontare questo, ai cristiani, ogni giorno. Di mostrare come la loro identità si esprime anche e soprattutto attraverso l’arte. Come Dio sia presente nel bello di ogni epoca, e come questo bello vada apprezzato, valorizzato, convertito.
Invece, con gli anni, abbiamo perso il linguaggio della Biblia Pauperum, tanto che non sappiamo riconoscere nelle vetrate le storie della Bibbia che un contadino analfabeta dell’Anno Mille avrebbe riconosciuto ad occhio. Con gli anni ci si è fatti prendere dalla cancel culture che vuole la Chiesa sempre costretta a chiedere scusa, anche quando gli errori non sono della Chiesa, ma degli uomini, delle circostanze, della politica.
La tentazione di buttare tutto in politica è, in fondo, la vera ragione delle divisioni nella Chiesa, ha detto il Cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, nell’omelia della Passione del Signore. È vero, perché le lenti della politica e dell’ideologia non ci permettono di vedere con chiarezza alla storia.
Così, i cristiani rischiano di perdere autenticità proprio perché hanno perso parte della loro identità. Non ne sanno essere orgogliosi. E invece questa dell’arte è una lingua universale, straordinaria e presente, fatta di mille sfumature proprio perché incarnata nella fede in un Dio vivo. Arte non fredda, ma calda. Arte per il popolo, ma non di popolo.
Tutto questo è nato dalla Resurrezione. Un linguaggio nuovo, originatosi per raccontare e far raccontare Dio. Il mio augurio per la Pasqua è che tutti riusciamo ad esserne consapevoli. A cominciare dai comunicatori cattolici.
Buona Pasqua!
Bravo Andrea, Buona Pasqua.
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