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venerdì 16 aprile 2021

Benedetto XVI, Notre Dame e la sua lotta per una fede non umana

Quando la cattedrale di Notre Dame a Parigi è stata avvolta dalle fiamme di un incendio, il 15 aprile 2019, diverse persone si sono ritrovate intorno alla cattedrale, nelle piazze, nelle strade, inginocchiate a pregare. Tutte a guardare quel punto di riferimento di Parigi che era preda delle fiamme, tutte a rendersi conto che dietro quella meraviglia architettonica c’era un cuore, e che quel cuore era un qualcosa di più grande che qualunque mente umana potesse concepire. Ed è a quel cuore che ha sempre guardato la teologia di Benedetto XVI.

Quasi per una ironia del destino, il Papa teologo che costruiva discorsi come le cattedrali compie gli anni il giorno dopo l’anniversario dell’incendio di Notre Dame. Benedetto XVI ha oggi 94 anni, è stato più tempo Papa emerito che Papa, e continua a vivere la sua vita di preghiera, di fede, di riflessione, in quello che è un tempo di intercessione. Non conta quanto la voce di Benedetto XVI si sia fatta flebile a causa dell’età che avanza. Conta che il suo pensiero, lucido, è ancora fermo, saldo e punto di riferimento costante. È anziano, Benedetto XVI, ma il suo pensiero resta giovane. Resta giovane perché è come il cuore della cattedrale di Notre Dame: punta dritto verso Dio.

D’altronde, Benedetto XVI lo disse, entrando nella cattedrale di Parigi durante il viaggio in Francia del 2008:Eccoci nella chiesa-madre della diocesi di Parigi, la cattedrale di Notre-Dame, che s’innalza nel cuore della città come segno vivo della presenza di Dio in mezzo agli uomini”.

Va esplorato, questo legame di Benedetto XVI con Notre Dame, perché racconta molto di chi fosse il Papa emerito, ci permette ancora di più di riconoscere quel pontificato nascosto che in pochi ricordano. Nascosto non perché fosse occultato alla vista, ma perché semplicemente così essenziale da risultare invisibile agli occhi, come direbbe Il Piccolo Principe. Essenziale perché tutto il linguaggio e il pensiero di Benedetto XVI puntavano ad una sola cosa: cercare di raccontare la fede, e la teologia che cerca di spiegare la fede e la dottrina della fede, con gli occhi di Dio. Perché per Benedetto XVI non c’era bisogno di una fede umana. C’era bisogno di una fede che riconoscesse il fatto di essere di origine divina.

Mentre, a due anni dall’incendio di Notre Dame, si magnifica il cantiere internazionale, si guarda all’opera dell’uomo in quella che sembra essere una ricostruzione laica della spiritualità medievale, fa bene ricordare quando il Cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, andò a concludere il ciclo di Conferenze di Quaresima nella Cattedrale di Notre Dame. Era il 2001.

Di cosa aveva parlato in Joseph Ratzinger? A tre anni dalla Dies Domini di Giovanni Paolo II, il Cardinale Ratzinger parla dell’importanza della domenica, perché la domenica come giorno della Resurrezione e l’Eucarestia come incontro con il Risorto formano tutt’uno. E allora ci si deve centrare sulla domenica, perché fermandosi per Dio, Dio diventa di nuovo per noi il punto di partenza e di arrivo nel tempo.

Questo non lo si comprende “quando fai esperienza della Chiesa solo attraverso riunioni o scartoffie”, e il riposo “diventa oggetto di fastidio perché o diventa oggetto della nostra azione oppure come qualcosa di imposto, di estraneo. Conosciamo la Chiesa dall’interno solo quando sperimentiamo la sua trascendenza, quando il Signore entra in lei e ne fa la sua casa e noi siamo improvvisamente fratelli e sorelle. Questo è il motivo per cui la Sacra Festa dell’Eucarestia è così importante”.

Sono parole che sono una critica al funzionalismo, alla Chiesa fatta di azioni sociali, ma poco di Parola del Vangelo vissuta.

Quello che cerca Benedetto XVI è una fede più divina, non più umana. E questo deve rispecchiarsi anche nella liturgia. Perché – disse Ratzinger a Notre Dame – “non facciamo la liturgia da soli. Non stiamo inventando qualcosa come comitati di partito o presentatori televisivi. Il Signore sta arrivando. La liturgia è cresciuta, da quando Cristo e gli apostoli, nella fede della Chiesa, noi vi entriamo, non lo facciamo. Solo così si può parlare di festa e di festa come anticipazione della futura libertà indispensabile all'uomo. Potremmo anche dire che è dovere della Chiesa offrirci di vivere questa festa. La festa è nata nel corso della storia dell'umanità come un evento religioso ed è impensabile senza la presenza del divino. È qui che trova la sua vera grandezza, dove Dio diventa veramente nostro ospite e ci invita al suo pasto”.

Viene da pensare a Notre Dame, alla necessità continua di ricordare che si tratta di un edificio di culto, non di un Museo come in molti vorrebbero credere. Notre Dame, la cui anima rimase anche quando la chiesa era abbandonata, trasformata in un tempio della ragione, quasi demolita. Eppure risorta, grazie a un geniale architetto, Viollet le Duc, e a un opera immortale, Notre Dame de Paris di Victor Hugo.

Notre Dame non è risorta perché è un capolavoro architettonico, ma perché la sua anima era sempre lì, intatta. Una anima che ha permesso anche di ritrovare intatte le reliquie dopo l’incendio, e persino di trovare un modo di ricostruire l’antichissimo orologio della cattedrale.

Anche la radio della diocesi di Parigi ha il nome di Notre Dame. Il Cardinale Ratzinger viene intervistato da quella radio il 6 novembre 1992, dopo essere stato a tenere una conferenza all’Accademia di Scienze Morali e Politiche. L’intervista, trasmessa il 12 novembre 1992, racconta un altro pezzo di Benedetto XVI come spesso non lo (ri)conosciamo. Già il titolo dell’articolo di riassunto è indicativo: “Una immagine non conforme”.

Scrivono i redattori: “Si dice che sia rigido, ma accetta le domande con molta delicatezza. È responsabile della dottrina della Chiesa, ma parla solo di fede. Il cardinale Ratzinger confonde chi lo incontra: l'immagine non corrisponde al personaggio”. 

Ma è la continuazione dell’articolo a colpire: “La sua funzione di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede suggerisce che egli è unicamente il guardiano della rettitudine del pensiero cattolico. Ma si definisce più come il difensore della fede dei poveri e dei deboli. ‘Solo una certa classe sociale’, dice, ‘ha accesso agli strumenti di comunicazione. Non tutti i cristiani hanno questa possibilità di farsi ascoltare: i semplici cristiani che amano la Chiesa e che vivono il Mistero non hanno accesso a questi strumenti di comunicazione. La congregazione è la voce di queste persone ‘.” 

Il ruolo di “guardiano della fede” non è un ruolo di potere o di censura. Certo, ammette Ratzinger a volte c’è una forma di censura, quando la Congregazione deve “dire, ad esempio, che un pensiero non è più una riflessione sulla fede ma una filosofia specifica, incompatibile con la fede. È davvero una forma di censura ... Ognuno può pensare liberamente ciò che vuole, ma nessuno può affermare che questo pensiero deve essere la fede della Chiesa”. 

Ma il punto centrale è che il lavoro del prefetto è un lavoro per i poveri. Non è un guardiano della dottrina, ma un difensore della fede dei semplici. Tutto questo rovescia completamente i paradigmi. Ma li rovescia perché Benedetto XVI vive in maniera rovesciata rispetto il mondo, che è poi invece il modo cattolico di vedere le cose.

In quella intervista del 1992, Ratzinger sottolinea che la Congregazione lavora anche per l’unità della Chiesa. Ma questa “si può realizzare solo intorno al contenuto di Dio, e non dato da noi”.

E ancora. il Catechismo della Chiesa Cattolica “non è un manuale morale”, perché il cristianesimo “non è un moralismo, ma un dono, un incontro un evento”, è “Dio che c parla, che prende l’iniziativa, che dà la grazia di rispondere e la luce per assumersi le nostre responsabilità”.

Ratzinger affrontava anche il problema di un altro documento della Congregazione, Su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, accolto male perché considerato un ostacolo all’ecumenismo. Una lettura “un po’ superficiale”, commentava il Cardinale Ratzinger, frutto di una incomprensione che lui faceva risalire proprio ad una visione distorta della natura della Chiesa, perché noi vediamo la Chiesa come un'associazione unicamente umana. La Chiesa è un dono di Dio, una comunione nel mistero ”.

Se non vediamo Benedetto XVI da questa prospettiva, non comprendiamo nemmeno a fondo il suo pontificato. Lo rendiamo un pontificato politico, ne pieghiamo il senso alla nostra lettura della storia. Ma il bello di Benedetto XVI è che lui non ha cercato di piegare tutto al suo modo di leggere la storia. Ha semplicemente cercato di vivere la fede.

Oggi, a 94 anni, Benedetto XVI è più vivo che mai. Il suo pensiero è sempre da scoprire perché si basa proprio su Dio, che è sorgente inesauribile. Non può essere incasellato in nessuna corrente. Resta lì, a 94 anni, e resterà sempre.

Come resterà il cuore di Notre Dame, la cattedrale di Parigi che non ha perso la sua anima. E che non la perderebbe nemmeno se fosse rasa al suolo.

Ad multos annos, Benedetto XVI

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