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venerdì 14 agosto 2020

Il giornalista San Massimiliano Kolbe e il problema della verità e della stampa cattolica

Di padre Massimiliano Kolbe ricordiamo il dono della vita, il suo sacrificio ad Auschwitz per salvare un padre di famiglia, la sua morte santa come la sua vita. Ma in pochi ricordano che padre Massimiliano Kolbe fu anche un giornalista, che è patrono dei radioamatori, che riteneva la comunicazione come un mezzo fondamentale per diffondere la fede.

 Diceva padre Kolbe: “Dobbiamo inondare la terra con un diluvio di stampa cristiana e mariana, in ogni lingua, in ogni luogo, per affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata: fasciare il mondo di carta scritta con parole di vita per ridare al mondo la gioia di vivere”.

 

Un programma di vita, un programma di evangelizzazione, che partiva proprio da quella che deve essere la comunicazione della verità.

 

C’è un filo rosso tra la fede e la comunicazione della verità. Una necessità che non può essere nascosta. Se in fondo San Francesco di Sales inventò più o meno la “free press”, diffondendo la fede a Ginevra attraverso volantini che distribuiva casa per casa; se Lolo arrivò a raccontare il mistero cristiano in un articolo di giornale che è diventato parte dell’ufficio delle letture; se padre Tito Brandsma in Olanda si oppose al nazismo attraverso l’editoria cattolica; se don Giacomo Alberione pensò all’evangelizzazione di San Paolo e non trovò altro modo che farla attraverso la stampa; se è successo tutto questo, allora c’è davvero un senso nell’essere giornalisti e cattolici, nel raccontare la storia partendo da un punto di vista, che è quello cristiano.

 

È una cosa che non è stata fatta per troppo tempo. Gli stessi media cattolici spesso non si rendono conto della Chiesa che c’è, che è viva, e cedono alle descrizioni della Chiesa che nascono nel mondo secolare. Siamo troppo intrappolati all’interno di schemi narrativi che parlano dell’oscurantismo della Chiesa, del potere temporale della Chiesa, degli abusi della Chiesa, degli errori della Chiesa, e nella foga di ammetterli non siamo in grado di guardare la storia da un punto di vista diverso e più alto, che permette di dare ad ogni cosa il giusto peso.

 

La storia, in fondo, è fatta di uomini e delle loro debolezze, ma è fatta anche di grandi ideali. E uno di questi, un ideale che è fede, carne e vita, è proprio il cristianesimo. Servirebbe andare a rileggere i documenti, guardarli senza pregiudizi, per trovare la verità di una storia che è stata per troppo tempo corrotta, e che oggi resta nascosta.

 

Il giorno della festa di San Massimiliano Kolbe è però anche il giorno della speranza per i tanti giornalisti che cercano la verità.

 

Padre Kolbe aveva fondato nel 1922 un giornale mensile, “Il Cavaliere dell’Immacolata”, e il suo ultimo editoriale, firmato nel dicembre 1940, era intitolato appunto “Nessuno può cambiare la verità”.

 

Scriveva Padre Kolbe: “La verità è unica. Lo sappiamo bene, tuttavia nella vita concreta ci si comporta talvolta come se in uno stesso problema il no e il sì potessero essere entrambi la verità. Non è difficile, per esempio, sperimentare in noi stessi che a volte ci comportiamo con la convinzione, come ci dice la fede, che la divina Provvidenza ci assista, mentre in un’altra occasione ci preoccupiamo in modo esagerato, come se questa divina Provvidenza non esistesse. Pertanto, la divina Provvidenza o c’è o non c’è!” 

 

E la verità “è potente. Se qualcuno volesse smentire o affermasse che né io ho scritto, né tu hai letto, la verità non ci cambierebbe, e colui che negasse si sbaglierebbe. Anche se tali negatori fossero numerosi, la forza della verità non ne soffrirebbe affatto”.

 

“Neppure Dio – sottolineava padre Kolbe – cancella né può cancellare la verità con un miracolo, poiché Egli è proprio la verità per essenza. Quanto è grande la potenza della verità! Una potenza veramente infinita, divina!”

 

Padre Kolbe poi si indirizzava alla questione delle “verità religiose”. Ricordava che sulla terra ci sono “numerose confessioni religiose”, con l’idea che “ogni religione è buona”, ma “non si può essere d’accordo con tale idea”, perché è vero che anche chi non crede o professa una fede diversa da quella cattolica può “essere esente di colpa davanti a Dio” per la loro buona fede. Allo stesso tempo, “anche in uno stesso problema di argomento religioso, la verità può essere solamente una, e coloro che hanno delle convinzioni diverse dalla realtà delle cose, si sbagliano. Solo colui che giudica secondo la verità ha una fede vera”.

 

Quindi, “se è vero che Dio esiste, sono nell’errore i miscredenti, i quali affermano che Egli non esiste; d’altra parte, se Egli non esistesse, sarebbero nell’errore tutti coloro che professano qualsiasi religione. Inoltre, se è vero che Gesù Cristo è risorto, è vero ciò che Egli ha insegnato e che Egli è il Dio incarnato; ma se Egli non fosse risorto, tutte le confessioni cristiane non avrebbero ragione di esistere”.

Concludeva padre Kolbe: “Nessuno può cambiare qualsiasi verità, si può soltanto cercare la verità, trovarla, riconoscerla, conformare a essa la propria vita, camminare sulla strada della verità in ogni questione, soprattutto in quelle che riguardano lo scopo ultimo della vita, in rapporto a Dio, ossia ai problemi di religione”.

 

Così, come non c’è uomo che non vada alla ricerca della felicità, è vero che “una felicità che non viene edificata sulla verità non può essere duratura, come del resto la stessa menzogna. Unicamente la verità può essere ed è il fondamento incrollabile della felicità, sia per le singole persone sia per l’umanità intera”.

 

Sono parole che suonano come una speranza, ma che devono fare riflettere. Sembra ci sia una crisi nella stampa cattolica. Riviste storiche come “Vita Nuova” a Trieste chiudono, i giornali diocesani sembrano avere difficoltà a mantenere il passo, e molti giornali e riviste cattoliche perdono lettori, o hanno solo i cosiddetti lettori di partito.

Il problema, però, sta forse proprio nel linguaggio, nell’approccio.

 

A forza di adattarsi al linguaggio del mondo, hanno perso il loro linguaggio. Hanno preso i temi della politica, dell’economia, senza filtrarli attraverso un punto di vista cristiano, o facendolo in maniera ideale ed ideologica.

Manca, in fondo, il coraggio di guardarsi indietro e di mantenere la propria identità. E chi lo fa, lo fa in tono di battaglia, con l’idea di dover far valere una contrapposizione ideologica. Le armi sono quelle della polemica, mentre la verità va cercata e raccontata attraverso l’arma dell’analisi. Anche pedante, anche lunga, ma precisa e approfondita.

 

Era in fondo anche il pensiero di padre Piero Gheddo, straordinario missionario italiano cui capitò in realtà di fare il giornalista. Padre Gheddo commentò nel 2014 la chiusura della rivista Ad Gentes in maniera davvero tranchant.

 

Padre Gheddo puntava il dito contro l’errore di “di politicizzare la missione alle genti”, una “tendenza suicida” che “ha cambiato la nostra immagine nell’opinione pubblica italiana”.

 

Padre Gheddo, andando alle radici della questione,  spiegava che fino al Concilio Vaticano II “c’era la chiara affermazione della nostra identità: andare ai popoli non cristiani, dove ci mandava la Santa Sede, annunziare e testimoniare Cristo e il suo Vangelo, di cui tutti hanno bisogno”.

 

Certo – aggiungeva padre Gheddo – si parlava anche di carità, istruzione, sanità, ma questo veniva dalla vocazione missionaria, e si parlava soprattutto di vocazioni missionarie.

 

E invece - era l’accusa - “oggi noi missionari facciamo le campagne nazionali per il debito estero, contro la produzione di armi, contro i farmaci contraffatti e per l’acqua pubblica; oggi non si parla più di missione alle genti ma di mondialità e di opere sociali o ecologiche. Mi sapete dire quanti giovani e ragazze si entusiasmano e si fanno missionari dopo una manifestazione di protesta contro la produzione di armi? Nessuno”.

 

Nel 2019 ha chiuso anche “Popoli”, la rivista missionaria dei gesuiti, mentre altre riviste cattoliche hanno dovuto ridimensionarsi o ripensarsi. Il punto è che non si può competere con il mondo, ma si deve essere semplicemente quello che si è. Si deve avere il coraggio di usare un linguaggio diverso, pur guardando alle cose del mondo. Senza questo coraggio, la stampa cattolica perde tutto il suo mordente e tutta la sua ragione di esistere.

 

Sono pensieri sparsi, che meriterebbero più approfondimento. Il problema vero è che padre Kolbe aveva ragione: la verità non si può nascondere a lungo. E così, nel grande agone della comunicazione, vincerà chi, al termine della battaglia, sarà stato in grado di raccontare il vero e il bello senza adeguarsi ai linguaggi del mondo. Inondare il mondo di buona stampa si può. Ma si deve volerlo.

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