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martedì 4 agosto 2020

Ecco perché durante la crisi del coronavirus era come stare a Berlino Est

Fino a che punto siamo disposti a perdere la nostra libertà personale? E fino a che punto ne siamo consapevoli? Sono domande che bruciano, nell’era del dopo-emergenza Covid. Perché, in fondo, il tema non è l’emergenza sanitaria, o le necessarie precauzioni. Il tema vero è che in nome di quelle precauzioni, tutti sono stati disposti, in un modo o nell’altro, a mettere da parte le loro libertà personali, senza nemmeno pensare di difenderle a livello formale. Ci si è appiattiti in un mondo senza futuro, e il cui presente non andava tanto bene.

 Sono questioni cui non si può fare a meno di pensare leggendo Berlino Est 2.0  di Federico Cenci (Eclectica edizioni). Romanzo nel più puro genere della distopia, ha il merito di mettere in luce, anche con ironia, dove ci ha portato la psicosi da lockdown. Vale a dire, ad accettare pedissequamente le scelte del governo, al punto da trasformarci in una nazione di delatori. Ad accettare la sospensione delle funzioni religiose senza nemmeno chiederci se, in fondo, quelle funzioni potevano essere comunque celebrate in tutta sicurezza. Ad accettare una comunicazione unica e irreversibile, senza nemmeno prendere in considerazione altri punti di vista.

 

Riportando tutto nel mondo di una Berlino Est dei giorni nostri, Cenci fa una denuncia precisa: siamo stati proiettati, noi, civiltà che proclama la difesa della libertà personale, in un mondo post-sovietico, dove la libertà è solo una illusione, mentre in realtà tutti siamo controllati.

 

Leggendo il libro, non si può fare a meno di notare con orrore che, in fondo, c’è poco da fare, perché tutto quello che viene raccontato è ispirato a fatti reali. Persino quando si potrebbe avere l’impressione che l’autore esageri poi si deve ammettere che no, non solo non ha esagerato, ma anzi probabilmente è stato persino più ottimista di quello che pensiamo.

 

La nostra società delle estreme libertà è, tutto sommato, una società di individui estremamente sotto controllo. Cenci parla di una tv unica, ma è incredibile come invece non ci sia bisogno di un canale di Stato unico per avere una unica interpretazione della realtà. Le narrazioni sono diventate da tempo “narrazione unica”, le agenzie giornalistiche, in fondo, battono tutte la stessa notizia dallo stesso angolo che giornali e tv continuano a riprendere allo stesso modo, senza preoccuparsi di cercare un punto di vista diverso.

 

È la schiavitù del mercato della necessità di vendere che porta tutti ad essere uguali per non essere troppo diversi e non essere così scartati. La paura di essere messi da parte, in fondo, ci rende omologati. La cosa peggiore è che siamo noi stessi a voler essere omologati.

 

Vogliamo essere omologati perché non sappiamo vivere in un collettivo, ma da soli non sappiamo nemmeno vivere. Cenci insiste molto sul fatto che la crisi – di cui resta oscura la ragione fino alla fine del libro – ha portato a uomini che hanno perso di vista la loro socialità. Ma, anche in questo caso, sappiamo che non c’è stato bisogno di costringerci in casa. Eravamo stati isolati già prima, con l’esaltazione delle nostre libertà individuali che però ha portato ad esseri umani che non cercavano relazioni nemmeno per la cosa che più necessita di una relazione: la procreazione.

 

È un paradosso, che Cenci non manca di far notare: in nome delle nostre libertà, ci siamo liberamente privati di ogni libertà. E lo abbiamo fatto con il sorriso, convinti che il “nuovo mondo” ci rendesse poi davvero liberi.

 

C’è un tema, in particolare, che mi sta molto a cuore ed è quello della sempre più pubblicizzata installazione di un chip sottocutaneo. Mi sta a cuore perché il tema è sospinto da anni da una campagna martellante. Con toni e modi diversi. Ricordo che un paio di anni fa c’era un articolo su Repubblica che spiegava quanto era bello che in Svezia ci fossero uffici dove i dipendenti accettavano fosse loro installato un chip per migliorare l’attività lavorativa. Nemmeno per un momento questa situazione veniva descritta come una privazione potenziale della libertà personale.

 

Ma più di tutto ha fatto, anche qui, un romanzo, “The Circle”, di Dave Eggers, che è diventato poi un film di cassetta interpretato nientepopodimeno che da Tom Hanks ed Emma Watson. Il romanzo parla di una azienda, The Circle appunto, che ha come progetto di mettere in connessione più utenti possibili, con il dichiarato obiettivo di avere una società più sicura e più sana attraverso una trasparenza totale. Nel perseguire lo scopo, in realtà The Circle esercita un controllo totale sulle persone, le manipola a proprio piacimento. Inquietante che proprio la protagonista del romanzo resti sempre più coinvolta nel meccanismo, fino a diventarne una delle promotrice. Il suo slogan più di successo è “I segreti sono bugie”.

 

In una società a trasparenza totale, ovvero a controllo totale, non ci possono essere segreti, perché tutto deve essere controllato, guidato, definito. Ed è quello che succede nella società di oggi, e che è successo in tempo di coronavirus.

 

Si può dire che la crisi sanitaria ha messo in luce una serie di problematiche che già erano presenti e vive, e sulle quali si faticava a dibattere. Tutto è diventato più evidente, e allo stesso tempo, incredibilmente, tutto è diventato più nascosto. Perché il panico ha portato le persone a non curarsi del proprio futuro, a non rendersi conto che le leggi che venivano imposte rappresentavano un pericoloso precedente in termini di libertà personale.

 

Il tema della libertà di culto, anche, era cruciale: le funzioni religiose pubbliche sono state interdette, in alcuni casi persino la polizia è andata ad irrompere delle celebrazioni per chiedere il rispetto delle normative, anche quando le normative erano formalmente rispettate.

 

Certo, a pensarci resta assordante il silenzio di molti intellettuali, così come quello della Chiesa stessa, troppo impegnata a cercare di non essere additata come “il problema” da non curarsi di essere, in molti casi, la soluzione.

 

E sì che è stata la Santa Sede la prima a mettere in luce, nei consessi internazionali, il problema della privazione di libertà dato dai chip sottocutanei; a chiedere una società più a misura d’ uomo e meno a misura di controllo sociale; a rivendicare la libertà religiosa per ogni essere umano.

 

La verità è che il romanzo di Cenci è fin troppo ottimista, perché lascia l’idea che ci sia un luogo dove si possa cominciare a costruire qualcosa di nuovo, o dove si possa semplicemente fuggire per ripartire. È che io personalmente questo luogo non lo vedo, se non nella coscienza di ciascuno. E anche qualora ci fosse una coscienza formata, ce ne vorrebbero cento, mille, diecimila per poter davvero cambiare la società, e fare un essere umano più umano e non un essere umano schiavo degli slogan e dunque manipolabile. E perché ci sia una rete, questi dovrebbero parlarsi tra loro, ed è questa la cosa più complicata in un mondo a comunicazione mediata.

 

È una riflessione da fare, che riguarda anche il nostro modo di raccontarci, il nostro modo di porre i problemi in gioco. Parliamo spesso di 1984 o La Fattoria degli Animali di Orwell, o anche di Un Mondo Nuovo di Aldous Huxley. Ma non ci rendiamo conto che stiamo vivendo, oggi, tutte quelle realtà combinate insieme, proprio mentre pensiamo di essere padroni della nostra vita.

 

C’è un pezzetto di ogni distopia del mondo nella vita di ciascuno di noi. E, da quest’anno, c’è anche un pezzetto di Berlino 2.0. Con la speranza che, in fondo, riusciamo ad avere la forza di guardare oltre per cercare di essere liberi. Cosa difficilissimo in un mondo che, in fondo, ha privatizzato l’unico esercizio supremo di libertà delle persone: la fede, da professare pubblicamente e con convinzione nella propria vita. 

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