Il dramma del coronavirus, e le misure eccezionali che sono state prese per arginarlo, porta con sé un pericolo strisciante, che probabilmente non è stato ancora realmente affrontato dall’informazione religiosa, e men che meno dai media vaticani: il pericolo della dittatura della tecnocrazia.
La Laudato Si di Papa Francesco affronta il tema della tecnocrazia, definendola come quella fiducia assoluta nei mezzi tecnici che porta a mettere da parte l’essere umano. La tecnocrazia, unita alla logica del profitto, porta alla cultura dello scarto, di cui Papa Francesco parla dall’inizio del Pontificato.
Questo, però, appare essere solo un aspetto del problema. La tecnocrazia ha un significato più ampio. Quando si parla di tecnocrazia, si parla di una predominanza dei mezzi tecnici su tutte le attività umane. Contano solo le funzioni tecnologiche, non quelle spirituali. Anche l’uomo stesso è considerato una macchina.
È un problema culturale, che come tutti i problemi culturali ha radici profonde. Già l’invenzione della pillola contraccettiva è stata spiegata da uno dei suoi inventori come parte di un progetto per fare del sesso solo un fatto ricreativo, e non procreativo, mentre le ricerche sulla fecondazione in vitro permettono di fare dei bambini che nascono un oggetto, desiderato, voluto, comprato.
Le persone umane possono essere considerate oggetti solo se non considerate nel loro dato umano. E il dato umano include la fede, le necessità spirituali, importanti tanto e quanto le necessità materiali.
Tutto questo non viene contemplato nei decreti dei vari governi riguardo l’emergenza coronavirus. Il decreto della Presidenza del Consiglio italiano sull’emergenza coronavirus non include ragioni di culto per la possibilità di movimenti, il che esclude formalmente anche la possibilità per i sacerdoti di accorrere a dare l’estrema unzione quando questa viene richiesta.
Non solo. Su richiesta dei vescovi italiani, una successiva nota del Ministero degli Interni ha specificato che, nel caso delle celebrazioni pasquali, il sacerdote può essere affiancato da alcuni concelebranti (i riti pasquali non si possono celebrare da soli, sono corali), e che lo spostamento può essere giustificato come uno spostamento di lavoro. In pratica, il sacerdozio è ridotto ad un lavoro, perdendone tutto il significato.
E poi, lo stesso ministero degli Interni italiano ha detto che le persone possono, sì, andare in chiesa a pregare, ma solo se queste sono sul tragitto da casa a lavoro o da lavoro a casa. Ancora una volta, è negato totalmente il bisogno spirituale delle persone.
A onor del vero, il Viminale ha poi successivamente chiarito questa parte in una successiva spiegazione nelle sezione “FAQ”, in cui viene specificato che “l’accesso ai luoghi di culto è consentito, purché si evitino assembramenti e si assicuri tra i frequentatori la distanza non inferiore a un metro. È possibile raggiungere il luogo di culto più vicino a casa, intendendo tale spostamento per quanto possibile nelle prossimità della propria abitazione. Possono essere altresì raggiunti i luoghi di culto in occasione degli spostamenti comunque consentiti, cioè quelli determinati da comprovate esigenze lavorative o da necessità, e che si trovino lungo il percorso già previsto, in modo che, in caso di controllo da parte delle forze dell'ordine, si possa esibire o rendere la prevista autodichiarazione. Resta ferma tuttavia la sospensione di tutte le cerimonie, anche religiose”.
In pratica, stando al tono della nota, è il governo a decidere la sospensione delle cerimonie religiose.
Non è un problema solo italiano. In Francia, le restrizioni sono le medesime. In Argentina, la presidenza della Conferenza Episcopale è stata in udienza dal presidente della Repubblica Fernandez per discutere proprio di questo tema. In Ungheria, invece, nei decreti del governo si specifica espressamente che si intende rispettare l’autonomia delle chiese, per questo la liturgia non è intesa come una manifestazione o un assembramento.
Se le misure anti-coronavirus vanno certamente a sospendere delle libertà costituzionali fondamentali, è anche vero che la libertà di culto è un diritto collettivo, ed è parte di quel “diritto di tutti i diritti” che è la libertà religiosa.
Presi dall’emergenza, nessuno lo ha messo in luce. Ovviamente, vanno distinti i piani. Sospendere le celebrazioni religiose è stata – ha spiegato il Cardinale Angelo Bagnasco in una intervista ad Avvenire il 4 aprile scorso – una “arrendevolezza” alla situazione concreta, “ai rischi gravi di salute e di vita”. E il Cardinale ha poi aggiunto che “la decisione di tenere aperte le chiese salvaguarda il respiro spirituale di chi entra per una visita personale, e le doverose precauzioni. In questo contesto non si tratta di arrendevolezza a qualcuno, ma di buon senso: non quello di basso costo per giustificare mediocrità o pigrizia, ma di alto profilo perché guarda il bene della collettività”.
Ma c’è il piano giuridico, che può creare un precedente. Sarebbe stato importante segnalarlo in sede di decreto, quando la Conferenza Episcopale Italiana ha dialogato con il governo sulla questione, e poi lo ha fatto la Santa Sede. L’assenza del riferimento alla libertà di culto dai decreti può essere una arma a doppio taglio.
Colpisce, dunque, il silenzio della Santa Sede sul tema. E colpisce, di conseguenza, il silenzio dei media vaticani. L’informazione religiosa sta, in qualche modo, perdendo l’occasione di raccontare un aspetto fondamentale della vita della Chiesa, che è proprio parte di quella missione portata avanti nei secoli: quella di stare vicino alle persone.
Per fronteggiare l’emergenza coronavirus, Papa Francesco ha deciso di mandare in onda in diretta la sua Messa del mattino a Santa Marta, la diocesi di Roma organizza una Messa quotidiana in diretta dal Santuario del Divino Amore (tenuta quotidianamente nei primi giorni dal cardinale Angelo de Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma), e tutte le parrocchie si sono organizzate per dare il più possibile dirette delle Messe, per permettere ai fedeli di partecipare anche a distanza. Mai i vescovi sono stati così visibili.
Papa Francesco, in più, ha aggiunto i grandi gesti, a partire dall’ultima, iconica, preghiera in una piazza San Pietro completamente deserta, mentre la consacrazione di diversi Paesi ai cuori di Gesù e Maria avvenuta a Fatima lo scorso 25 marzo ha fornito un’altra risposta di fede. E risposte di fede sono state come l’affidamento a Maria dello Sri Lanka, la ri-dedicazione dell’Inghilterra come dote di Maria – già prevista prima del coronavirus.
C’è, insomma, richiesta di fede. Ma in che modo la fede può essere professata se poi non si difende il diritto a professarla, questa fede?
Sembra come se la Chiesa, presa dall’emergenza, abbia perso di vista il dibattito politico – culturale. Come se non riuscisse a comprendere che le esigenze spirituali vanno tutelate anche giuridicamente, e non solo promosse con la preghiera e l’adorazione. Queste ultime sono essenziali. Ma proprio perché sono essenziali, vanno protette.
Con l’emergenza coronavirus, Vatican News ha lanciato la rubrica “In Prima Linea”, che raccoglie varie testimonianze e presenta il lavoro della Chiesa in prima linea. E c’è, davvero, un lavoro delle organizzazioni della Chiesa tutto da valorizzare. A partire dagli ospedali cattolici, che in molti posti sono l’unico presidio sanitario possibile, specialmente in Africa, dove – secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità – il 70 per cento delle strutture sanitarie è cattolico.
Ma succede anche sempre più che gli Stati vogliano appropriarsi delle strutture religiose, ed è un primo passo per andare a sradicare il sentimento religioso. Le strutture sanitarie religiose hanno un approccio non positivista al paziente, un approccio profondamente umano. Gli ospedali nascono in ambito cristiano, e da sempre trattano l’essere umano come un unicum. L’approccio meramente scientifico, con i padiglioni che separano le specializzazioni, è venuto solo con il pensiero positivista, e ha pure fatto vedere i suoi limiti. Perché l’essere umano è un unicum che non può essere sempre diviso, ha bisogno di equilibri, ha bisogno di cure.
È qui che si insinua la tecnocrazia, che diventa un metodo di governo. Perché un uomo considerato solo dal mero dato tecnico diventa un uomo più facilmente controllabile. Un uomo di cui non viene considerata l’anima è un uomo che può esistere o non esistere.
Per tutti questi motivi, l’assenza di una difesa formale, forte della libertà di culto colpisce, e colpisce soprattutto nel mondo cattolico. Al di là della necessità di proteggersi dall’epidemia, si dovrebbe pensare che in nome della scienza, un giorno, si potrà semplicemente decidere di chiudere le chiese, e il governo lo potrà fare con un precedente giuridico non da poco. Perché nessuno, nel mondo della Chiesa, ha chiesto di applicare quel principio, o di renderlo presente nei decreti.
È un problema serissimo, di cui si vedono anche le prime aberrazioni. A Cerveteri la polizia ha interrotto una celebrazione perché i fedeli, tra l’altro mantenendo le distanze di sicurezza, si erano radunati all’esterno della chiesa. A Rocca Priora, un sacerdote che teneva una adorazione eucaristica cui partecipavano una ventina di fedeli è stato denunciato per aver violato le normative del governo. In Grecia, un sacerdote ortodosso è stato arrestato perché andava a celebrare Messa. E sono solo gli episodi che più di tutti sono entrati nei giornali.
Quindi, il ministero degli Interni italiani risponde ai vescovi con una nota dal valore giuridicamente povero, che va a considerare il sacerdozio come un semplice lavoro, e il bisogno spirituale dei credenti come una cosa che si può fare tra casa e lavoro.
Così, vengono soddisfatti, nel decreto, tutti i bisogni materiali, ma i bisogni spirituali non vengono considerati. Non si chiudono i tabaccai, ma non si considera il fatto che i sacerdoti non vanno in chiese per lavorare.
Nel frattempo, in questa situazione di panico diffuso, gli Stati ne approfittano per portare avanti una agenda durissima. In Inghilterra, viene approvato l’aborto a domicilio. In Italia, vengono sospese le chemio perché non considerate terapia urgente, ma non gli aborti, che invece sono considerati terapia urgente. Fortunatamente, ci sono anche alcuni Stati negli Stati Uniti che sospendono gli aborti proprio perché non sono terapeutici. Sono casi, però, che rappresentano il segnale di un mondo che vuole davvero mettere da parte tutti i valori.
Di questi casi si parla pochissimo. L’attenzione è portata sulle persone, sul dramma del coronavirus, sulla necessità di parlare con le autorità. Eppure, la Santa Sede è un attore globale, che dovrebbe dire una parola su questi temi e ha i mezzi per dirla. La sovranità della Santa Sede, in fondo, è il mezzo attraverso il quale la Santa Sede difende i veri diritti umani, e lo fa per tutti.
Sembra si sia perso, in questo momento, il senso della Chiesa come istituzione. Questa istituzione non è un retaggio medievale. Il lavoro fatto a livello internazionale ha un senso per le persone, ed un senso fortissimo. La capacità di guardare al futuro, alle conseguenze che può avere un vulnus nella libertà di culto, dovrebbe portare la Santa Sede a mettere in luce questi temi.
Servirebbe una regia dalla Segreteria di Stato, una serie di interventi dietro le quinte con i vari governi attraverso i nunzi per difendere la libertà di culto, una azione coordinata dei vescovi perché mettano in luce le atrocità legali che si creano in periodo di coronavirus.
Tutto questo non esclude la giusta preghiera, la giusta devozione, il giusto affidarsi a Dio. Piuttosto, lo protegge. Ma questo non viene notato. Si è perso il “pensiero”, quella capacità straordinaria di anticipare i tempi, che da sempre ha messo la Chiesa in prima linea.
E così, ci si trova oggi in un mondo disumanizzato, in cui gli esseri umani sono considerati parte di un meccanismo e lo Stato decide anche quali sono i bisogni primari. Anche in una emergenza, la parte legale va preservata. Perché in futuro, tutto questo sarà sempre considerato un precedente. E, in fondo, una chiesa chiusa alle celebrazioni, con un sacerdote che celebra online, sarà sempre più controllabile. Perché si può sempre staccare il segnale online, si può sempre silenziare qualcuno. E online ogni messaggio può essere controllato.
Ma non si possono controllare le persone e i loro incontri, non si possono controllare le emozioni che si vivono realmente davanti al Santissimo o parlando con un sacerdote. È il problema tecnologico, affrontato in fondo anche quando si cominciò a discutere la riforma dei media vaticani, e furono tagliate fuori le onde medie dalla r radio. Che erano, poi, l’unico mezzo che nessun governo poteva bloccare, perché fuori da qualunque legislazione internazionale, e perciò libere.
La Chiesa ha creato una istituzione per avere una libertà. Ed è attraverso l’istituzione che sta con il popolo. Non c’è, in fondo, una discrasia tra l’élite e il popolo, come in molti interpretano anche il Vangelo. È un modo politico e strumentale di vedere le cose. La Chiesa, con le sue scuole, le sue opere d’arte, il suo lavoro, ha fatto sempre in modo che il popolo diventasse élite, che potesse comprendere le Scritture e a partire dalle Scritture arrivare al suo sviluppo integrale.
È una Chiesa che ha lavorato per fare del popolo parte della classe dirigente, per fare in modo che le persone potessero comprendere gli errori dei “farisei” e piuttosto creare un mondo più giusto. Un mondo dove la dimensione spirituale andava di pari passo con quella pratica, perché in fondo l’uomo è anima e corpo.
Oggi, mentre la Chiesa giustamente sta vicino al popolo, prega con il popolo, parla con le persone, mentre continua il suo lavoro di andare alle periferie, sembra si sia persa invece questa dimensione istituzionale. E così, le leggi degli Stati rischiano seriamente di andare a danneggiare il diritto alla libertà di culto, l’ultimo, minimo passaggio, perché si controlli la libertà religiosa.
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