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giovedì 14 maggio 2020

Coronavirus, cinque cose che sono mancate alla comunicazione della Chiesa

L’ultima iniziativa è la lettera “"L'appello per la Chiesa e per il mondo"”, scritta dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò e firmata da diverse personalità. La lettera, sostanzialmente, mette in luce un rischio per la libertà di culto creata dalle misure anti-pandemia, rivendica l’autonomia della Chiesa, denuncia la volontà di una “odiosa tirannide tecnologica”, ma anche l’idea che un nuovo ordine mondiale stia impiantandosi grazie a questa crisi.

Questo blog è stato tra i primi a mettere in luce i rischi della deriva tecnocratica, e  anche i limiti del leggere la deriva tecnocratica semplicemente come un predominio della tecnica in termini economici. E anche il tema della libertà di culto è stato ampiamente sviscerato. Sono due dibattiti sui quali la Chiesa non è stata presente, ed ha dimostrato quasi una concessione totale alle volontà dello Stato, a discapito della religione.

Eppure, leggendo quella lettera, diventano evidenti tutti i limiti della globosfera cattolica e del modo in cui questa si percepisce.

La lettera dell’arcivescovo Viganò ha coagulato molti pensatori. Alcuni, come il Cardinale Robert Sarah, ne condividono i principi, ma preferiscono non firmare e ritirare la firma, per mantenere una certa neutralità. Altri, come il Cardinale Gehrard Ludwig Mueller, non ritirano la firma, ma poi fanno i loro distinguo. Altri ancora, come il vescovo Athanasius Schneider del Kazakhstan, firmano senza alcun tipo di riserva.

Il problema della lettera non sta nei temi, spesso condivisibili. Sta nei toni, nella cornice e nel contesto. I toni sono quelli di un mondo cattolico che sembra arroccato su se stesso e che ritiene di dover mettere in luce il tono persecutorio con cui sono portate avanti le cose.

Ma il messaggio che resta è quello che il Papa non stia facendo abbastanza, e neanche la Chiesa. E non si può fare a meno di pensare che il promotore della  lettera, l’arcivescovo Viganò, è sempre colui che in una “testimonianza” dello scorso agosto 2018 aveva provocatoriamente chiesto le “dimissioni” di Papa Francesco per non aver saputo affrontare il dramma degli abusi e per aver presuntamente mentito sul caso McCarrick.

Infatti, facendo i suoi distinguo, il Cardinale Mueller ha  voluto specificare che non condivide in alcun modo la richiesta di rinuncia al Papa, e che ha firmato anche per solidarietà all’arcivescovo Viganò, che è stato molto isolato.

Sembra essersi creato, insomma, un circolo di persone che si coagula intorno alle persone che sono state isolate o hanno subito ingiustizie, e che punta a mostrare i limiti del pontificato. E per questo i temi da loro affrontati, per quanto importanti e veri, restano sempre ammantati da un pregiudizio da cui è difficile staccarsi.

Non è che altrove stiano meglio, intendiamoci. Questo pregiudizio di cui parlo si riverbera nelle parole di molti, sempre pronti a sbandierarlo per attaccare gli altri di presunta insubordinazione. Non si discute più delle idee, o dei temi. Si fanno attacchi personali, oppure difese di ufficio, e spesso in entrambi i casi si manca di lucidità
Resta sempre, nel dibattito, qualcosa che sfugge, qualcosa che manca. Se in tempi di prosperità, questi limiti venivano comunque sovrastati dai grandi gesti, dalle grandi azioni, dai grandi esempi, ora che tutto è solo dibattito, ci si rende conto che è il tempo per un nuovo modello comunicativo.

Ecco quali sono state, secondo me, le cinque cose che sono mancate alla comunicazione della Chiesa in tempo di coronavirus.

1.     Il tema dello sviluppo umano integrale

Durante questi giorni, si è molto parlato di problemi concreti. Lo stesso Papa Francesco, durante le Messe del mattino alla Domus Sanctae Marthae, ha pregato per molte situazioni particolari: lavoratori, artisti, anziani, medici, infermieri. Ma  ci si è limitati a questo. È mancata la Chiesa nei grandi temi. Perché non si è parlato davvero del dramma degli anziani, e del modo in cui soffrono una eutanasia nascosta in molti posti del mondo? È rimasta, sul tema, una dichiarazione del Dicastero Laici, Famiglia e Vita, una recente dichiarazione della COMECE e poco altro. Perché non si è pensato a come costruire il mondo dopo il coronavirus? Anche la prospettiva di Papa Francesco delinea un mondo con una nuova costruzione economica, come dimostra anche nella sua lettera ai movimenti popolari diffusa nel giorno di Pasqua. Ma quali saranno le idee che dovranno costruire questo nuovo mondo? E in che modo si inserisce in questo nuovo mondo la prospettiva cristiana e in particolare cattolica? Sono domande aperte, che bruciano. E che però si sono perse, appiattite sulla figura carismatica del Papa o di alcuni sacerdoti e vescovi, mai così visibili come durante questa pandemia, eppure forse mai così assenti dalla costruzione del dibattito successivo.

2.     Il tema etico
Le misure anti-pandemia pongono anche una serie di problemi etici, che vanno al di là del tema della libertà di culto. Si parla di libertà personali, e si parla di un futuro in cui il progresso tecnologico eroderà sempre più le libertà personali. Negli anni Novanta, Giorgio Filibeck, del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, già delineava le prime sfide informatiche da un punto di vista legale e cercava di comprenderle dal punto di vista della Dottrina Sociale della Chiesa. Se ne sarebbe dovuto parlare prima, ovviamente, ma anche adesso era un buon momento per porre la questione. Ma dove sono stati i giuristi cattolici? E quando si è parlato davvero di libertà e sviluppo dei popoli, un tema centrale per il tempo che verrà?

3.     Il tema economico
Si è parlato, ovviamente, della crisi economica e delle difficoltà delle famiglie. E, come detto, Papa Francesco ha anche delineato il suo modello e il suo esempio scrivendo ai movimenti popolari. Ma il problema non è questo. Il problema è che l’economia che verrà sarà sempre più soggetta a stravolgimenti di questo tipo, così come la gestione delle informazioni sulla diffusione delle pandemie. L’informazione rappresenta oggi il vero asset economico globale, e questo sarebbe un tema che la Santa Sede dovrebbe affrontare. Non solo. Dovrebbe stimolare dibattiti e creare contro informazione. Una informazione non appiattita sulle attività del Papa, ma che guardi al mondo da un’ottica cristiana. Tutto questo è sembrato mancare, per molti motivi. Non parlo solo della comunicazione istituzionale vaticana, che resta una comunicazione istituzionale con tutti i limiti della comunicazione istituzionale. Parlo anche dei media cattolici, a vario titolo. Ovviamente, c’è chi ha fatto questo lavoro. Ma è sempre rimasto schiacciato nel dibattito generale. Mentre chi poteva sollevare il dibattito, perché ha un peso e una autorità, non lo ha fatto.  

4.     Il tema della vita

Non solo la questione dell’eutanasia nascosta degli anziani. Il problema riguarda anche l’accesso alle cure, la ricerca e il modo in cui portare avanti la ricerca, la qualità della vita, la considerazione di tutte le vite degne. Se ne è parlato, ma anche questo è entrato poco nel dibattito. Ed è un vero peccato.

5.     La cultura

È mancato soprattutto il contributo culturale dei cattolici. Prima, ci si rivolgeva al mondo cattolico quando si voleva avere una guida e una idea, un punto di vista differente e vero. Ora, il mondo cattolico resta ai margini, perché non ha saputo produrre cultura. I lavori culturali sono raramente originali e profetici, mentre tutto sembra ripetere una narrativa che si è fermata un po’ agli Anni Novanta. È un mondo culturale che è rimasto chiuso su se stesso, ancorato alla visione di una Chiesa trionfante, mentre è evidente che oggi, per essere rilevanti, si deve essere davvero originali. Il silenzio, poi, sulla sopravvivenza delle scuole paritarie da parte della maggioranza del mondo cattolico mi sembra indicativo del fatto che l’educazione ha perso di vista l’obiettivo di essere una priorità. E invece lo dovrebbe essere.

Le obiezioni

Conosco le obiezioni. Si dirà che io mi rifaccio a un modello di Chiesa trionfante, potente, influente, e che non è questo che dovrebbe essere la Chiesa. Ma dire questo significa essere profondamente in malafede.

Io parlo di una Chiesa che abbia qualcosa da dire e che sia ascoltata. Una Chiesa che sappia portare la fede anche nella vita, e che lo faccia seguendo un ideale preciso. Una Chiesa che abbia una idea che sia più grande della realtà, e che in nome di quell’idea sappia cambiare la realtà, un passo alla volta.

Non era una Chiesa trionfante, quella di Don Giovanni Bosco. Eppure Don Bosco aveva un ideale, e su quell’ideale ha costruito una città di Dio fatta di cose molto pratiche per i suoi ragazzi: il lavoro, l’istruzione, l’amicizia.

I santi sociali del Piemonte nascono tutti in un momento in cui la Chiesa non è trionfante, ma sa vivere nel mondo, sa farsi ascoltare.

E, in quello stesso tempo, nascono l’Osservatore Romano, Civiltà Cattolica, e tutta una serie di baluardi culturali che diventano un punto di riferimento per tutti, anche per quanti non sono cristiani. E da quei baluardi nasce una generazione che proverà davvero a cambiare le cose.

Forse è tempo di avere di nuovo quel tipo di generazione. È tempo di averla perché di nuovo la Chiesa è messa ai margini della storia. Non ha più potere temporale da tempo, ma  ora non sembra  avere più rilevanza. A questo, unisce il dibattito interno, molto autoreferenziale, fomentato da narrative che non permettono di avere uno sguardo globale. Ci sono i conservatori e i progressisti. E tutti difendono una  posizione. Entrambi sono, in qualche modo autoreferenziali.

Tutto questo diminuisce l’impatto delle idee. Eppure, serve rilevanza per essere davvero minoranza creativa. Ed è lì che la comunicazione della Chiesa ha per ora fallito.

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