Sappiamo che il 7-8 gennaio Leone XIV terrà il suo primo concistoro, e sarà un concistoro di discussione, non un concistoro in cui saranno creati nuovi cardinali. I temi di questa discussione, che si delineeranno in tre sessioni, sono quattro, e delineati da una lettera di Leone XIV ai cardinali datata 12 dicembre: l’approfondimento dell’esortazione Evangelii Gaudium, lo studio della costituzione apostolica Praedicate Evangelium, la sinodalità, e la questione della liturgia.
C’è un libro che credo vada letto per prepararsi a questo concistoro. Lo ha scritto un vaticanista statunitense, ma dall’animo europeo, Christopher Altieri, che ha conosciuto la realtà vaticana dall’interno avendo lavorato per anni nei media vaticani. Il libro di Altieri, da tempo in libreria, è solo in inglese e ha come titolo: Leo XIV: the New Pope and the Catholic Reform (Bloomsbury Continuum).
Il libro, scritto quasi all’indomani dell’elezione di Leone XIV, non è solo uno sguardo nel futuro del pontificato sotto il nuovo Papa. Rappresenta anche uno sguardo al passato, un affresco del pontificato di Papa Francesco, delle sue riforme incompiute e in cammino, e di quello che è rimasto. Ma è anche un necessario mettere in contesto l’azione dei Papi, perché per Altieri l’impatto del pontificato sul mondo esterno non è ininfluente. Non è nemmeno cruciale per il futuro della fede, va detto, ma di certo non è ininfluente.
Ora potrei andare avanti ad analizzare alcuni dei grandi temi raccontati nel volume. Potrei indulgere anche su alcune delle proposte che vengono fatte, a partire da quella – molto interessante, a dire la verità – di un coordinamento di comunicazione tra tutti i dicasteri, con uffici dedicati e “in rete” se così si può dire, perché tutti lavorino in comunione. A volte, viene da pensare che quello dell’autore sia più un wishful thinking per risolvere una situazione problematica che non si risolverà mai. Altre volte, ci si chiede se possano esserci applicazioni concrete alle proposte che non mettano in discussione equilibri già fragili all’interno dei dicasteri vaticani.
Tuttavia, non credo sia questo il centro del libro. Il libro ha un messaggio ancora diverso, e probabilmente più interessante. Racconta un modo di fare vaticanismo che ha radici antiche, e che però non è mai passato di moda. Anzi, è necessario.
Altieri studia, ed ha un’attenzione invidiabile al lavoro dei colleghi. Non cura solo le fonti in maniera maniacale, ma anche le letture. Cerca di raccontare la Chiesa dal punto di vista della Chiesa, ed è sicuramente un plus nel suo lavoro. Spiegare l’essere agostiniano del Papa, andando fino a comprendere la visione agostiniana del mondo, è probabilmente l’essenza di essere vaticanista.
Ma Altieri sa anche di essere un mediatore. Il suo pubblico di riferimento è un pubblico di cultura anglosassone, in buona parte di lingua inglese, che però non ha contezza non solo della terminologia, ma anche del senso delle cose vaticane. Altieri non ha mai il problema di spiegare, di utilizzare un rigo in più per chiarire un concetto, di fare da mediatore culturale utilizzando un linguaggio semplice, diretto e accattivante per il suo pubblico di riferimento. Alcune esemplificazioni sarebbero forse mal recepite in ambito europeo, ma sono necessarie dall’altra parte dell’oceano, e va detto che queste esemplificazioni sono sempre fatte con grazia, con grande rispetto della materia trattata e con la consapevolezza che il racconto è narrazione, ma non perfezione.
Inoltre, Altieri guarda al peso dei simboli. Sa che ogni cosa che succede, in Vaticano, ha un significato. Sa anche che si rischia di sovrainterpretare tutto e che, dunque, ci vuole equilibrio e molto buon senso per raccontare qualcosa senza attribuire a quella cosa un significato più grande di quello che è.
C’è anche molto pragmatismo. Perché chiunque abbia vissuto il Vaticano sa che molte delle cose che si vedono sono ben lontane dall’essere un complotto. Semplicemente, succedono.
Ma tutto questo va tenuto presente non solo mentre ci avviciniamo ad un concistoro cruciale, ma anche quando ci approcciamo alle cose della Chiesa. Altieri parla di “riforma cattolica”, ma non intende mai una riforma della dottrina e non ha comunque la superbia di pensare a una riforma spirituale che non gli spetterebbe promuovere. Parla di riforma perché racconta anche la necessità di un nuovo approccio, una necessità che si sente soprattutto tra noi che scriviamo di Vaticano.
Questo approccio è probabilmente la migliore linea guida per avvicinarsi a ciò che sarà uno spartiacque nel pontificato di Leone XIV, un passaggio necessario dall’Anno Santo voluto da Papa Francesco all’inizio reale del governo di Papa Prevost. Questo approccio è necessario per capire che oggi c’è bisogno anche di termini nuovi per comprendere questo Papa, il primo a non aver vissuto il Concilio Vaticano II da sacerdote, e dunque immune da molti dei dibattiti ideologici e ideologizzati che hanno fatto seguito al Concilio.
Al di là del fatto che il libro rappresenta uno strumento di lavoro importante, io credo che si debba prendere molto dall’approccio di Altieri, dal suo rispetto della materia, reso comunque in una prosa brillante, e anche dalla comprensione della sua fallibilità, o, per meglio dire, dalla sua umiltà. Sono qualità necessarie. E sì, qualcuno lo definisce un vaticanismo di vecchia scuola. Ma chi ha detto che il vecchio stile non sia ancora il migliore? E chi ha detto che non si possa guardare avanti mantenendo comunque le buone cose del passato?

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