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giovedì 9 ottobre 2025

Dilexi Te: cinque punti di forza, cinque punti di debolezza nella prima esortazione di Leone XIV

Come era già successo per Papa Francesco, il primo documento di Leone XIV non è un documento completamente suo, ma piuttosto un documento che gli ha lasciato in eredità il suo predecessore. Eppure, a differenza della Lumen Fidei, l’enciclica impostata da Benedetto XVI cui Francesco aveva apposto qualche tocco di stile personale, nella Dilexi Te si possono già leggere alcune caratteristiche del pontificato attuale. Non tanto nello stile, che resta tipicamente quello di Papa Francesco, quanto piuttosto nelle citazioni e nei riferimenti.

Ovviamente, è difficile dare un giudizio globale su Leone XIV da un documento che ha ereditato e che ha portato avanti nonostante tutto. È, in effetti, cosa solo degli ultimi pontificati. Sappiamo che Pio XI aveva cominciato dei documenti sul nazismo e sul fascismo, che però non furono portati a termine da Pio XII. Siamo abituati a considerare un pontificato chiuso nel momento della morte del predecessore. Ora, invece, con gli ultimi due Papi ci siamo trovati di fronte ad una sorta di pontificato permanente, che si mantiene oltre il predecessore.

 

Era facile succedesse nella transizione tra Benedetto XVI e Francesco, perché Benedetto XVI era presente e vivo, perché anche lo stesso Francesco aveva voluto che fosse parte della vita della Chiesa e non gli aveva mai negato la possibilità di parlare in pubblico, e perché il lavoro e gli scritti di Joseph Ratzinger andavano ben oltre il pontificato ed erano patrimonio di una riflessione universale.

 

Leone XIV, con una scelta che appare più di governo che di affezione personale, ha deciso di mantenere una linea di continuità con Papa Francesco. Non ha mancato di dare il proprio indirizzo alle questioni di gestione – mentre viene pubblica l’esortazione apostolica sui poveri, viene resa nota anche l’abrogazione di una norma di Papa Francesco che imponeva di fare tutti gli investimenti solo nello IOR – ma allo stesso tempo ha sempre accettato di buon grado i discorsi in cui Papa Francesco veniva citato e ricordato, e lo fa anche decidendo di andare avanti con questa esortazione, che sembra essere una sorta di spin off della Dilexit Nos, l’ultima enciclica di Papa Francesco che pure sembrava essere davvero una esortazione.

 

Cosa dunque dobbiamo comprendere dalla Dilexi Tu? Ecco cinque punti che secondo me sono interessanti, e sui quali varrebbe la pena di operare una riflessione più complessa di queste poche righe. E poi, cinque punti che mi sarebbe piaciuto vedere sviluppare, e che forse Leone XIV svilupperà nel prossimo futuro.

 

1.     L’attenzione per i padri della Chiesa e i santi. Gran parte dell’esortazione rappresenta una sorta di piccolo manuale di storia della Chiesa, e soprattutto di storia degli ordini religiosi. Degli ordini religiosi si individuano cause profonde, missione nella società, operato. Per Leone XIV, tutto serve a dimostrare che la Chiesa è sempre stata attenta ai poveri, e che anzi il magistero dei poveri è sempre stato al centro della storia della Chiesa e dell’operato delle società. È una attenzione alla storia necessaria, perché nella Chiesa tutto è continuità, tutto viene da una storia comune.

2.     La questione della Dottrina Sociale. Leone XIV fa riferimento al secolo della dottrina sociale, ed è un grande tema di cui si parla probabilmente sempre troppo poco. Recentemente, è stato l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, in un incontro con il Movimento Cristiano Lavoratori, a dire che la dottrina sociale aveva perso attrattiva e che la colpa era proprio delle associazioni cristiane. La questione della Dottrina Sociale va rimessa al centro della discussione della Chiesa. In questi ultimi anni, ci si è spesso concentrati sulle conseguenze e le cause, ma poco sulla riflessione alla radice di come affrontare quei problemi. La Dottrina Sociale è riflessione alla radice, e non riguarda solo l’accoglienza e la promozione delle categorie bibliche del “povero, l’orfano e la vedova”.

3.     La dialettica di Papa Francesco. È interessante notare come ci siano diverse espressioni che sono parte della particolare dialettica di Papa Francesco. Come quando l’esortazione punta il dito sull’educazione delle élite, che non può in alcun modo sostituire l’attenzione per i poveri, o come quando si prende dell’istruzione sulla Teologia della Liberazione, proprio quel passaggio in cui si notava che i “difensori dell’ortodossia” erano accusati di non prendersi cura dell’altro. In questi passaggi, e nel modo in cui vengono trattati, credo che l’esortazione perda un po’ della sua forza, perché contiene i limiti del pontificato precedente, che non vengono negati, né messi da parte.

4.     La dialettica di Benedetto XVI. Allo stesso tempo, nell’esortazione si trova uno straordinario riconoscimento del carisma di Benedetto XVI. Spesso si è scritto, detto, pensato che la teologia di Benedetto XVI fosse solo teologia disincarnata. Non è così, e lo certifica proprio la Dilexi Tu. Quando, ad esempio, nota che il modo in cui Benedetto XVI guarda alla questione sociale nell’enciclica Caritas in Veritate è prettamente politico, al punto da chiedere proprio una riforma dell’ordine mondiale. E come quando si prende, appunto, l’esempio dell’Istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede sulla Teologia della Liberazione, perché fu il cardinale Joseph Ratzinger ad affrontare la questione, e a definire con precisione le problematiche, ma anche le sfide e le opportunità, sollevate dalla teologia della Liberazione.

5.     La ricerca di una sintesi. Leone XIV fa chiaramente riferimento alla sua esperienza di missionario in Perù, al documento di Aparecida licenziato dall’episcopato latino-americano nel 2007 che è stato tra l’altro una sorta di stella polare per Papa Francesco, alla lotta necessaria alle strutture di peccato, e anche al buon lavoro dei movimenti popolari. C’è, in questo, una ricerca di sintesi tra le situazioni vissute proprio in America Latina, che hanno portato la Chiesa a reagire in un certo modo, e a sviluppare una certa teologia, e il mondo occidentale, che nel tempo ha cercato una libertas ecclesiae fatta non sul coinvolgimento politico, ma sulla volontà di essere super partes. Con Francesco, c’era stato una sorta di impianto della problematica latino-americana su un mondo che era nato e sviluppato in occidente e che risentiva di una storia lunghissima. Era scontato ci fosse anche qualche crisi di rigetto. Oggi, sembra si cerchi di mantenere l’afflato latino-americano, ma anche di includerlo in una cornice più ampia.

 

Allo stesso tempo, credo ci sia qualcosa che manchi nell’esortazione, ed è probabilmente anche frutto del problema e della necessità di lavorare su un impianto già esistente, senza volerlo tradire fino in fondo.

 

1.     Il passaggio dalla storia minuta alla visione globale. Buona parte dell’esortazione passa in rassegna tutto il lavoro fatto dalla Chiesa per i poveri, in varissimi campi che non contano solo l’indigenza, ma anche la tratta di esseri umani, le schiavitù di ieri e di oggi, la cura dei malati. Eppure, sembra mancare la visione globale, la spiegazione del perché la Chiesa fa tutto questo. La Chiesa fa tutto questo perché, nel momento in cui Gesù si incarna, dimostra che abbiamo un padre comune, e che dunque la fraternità è un fatto concreto. Gesù si fa povero tra i poveri, e questo lo spiega bene l’esortazione, ma manca secondo me la visione globale, che punta non solo ai padri della Chiesa, ma proprio alle radici della cristianità.

2.     La liturgia dei poveri. Questo porta ad un’altra questione, ancora più radicata. La tradizione della Chiesa, anche in ambito liturgico, non è mera nostalgia. Se tutto parte dalla visione radicale di Gesù Cristo e della sua incarnazione, allora gesti, parole ed opere, proprio a partire dalla liturgia, vanno a cercare di replicare quelli che sono più vicini al tempo in cui Gesù e gli apostoli avevano operato. Questo si è riverberato anche nel più antico dei linguaggi pontifici, ovvero le liturgie papali. Per fare un esempio, Giovanni XXIII andò a recuperare il succintorio, l’antico paramento liturgico che mostrava il Papa come Padre dei poveri, e che si usava in alcune celebrazioni. Ma ci sono tantissimi esempi, a partire dal diacono Lorenzo e dalla strutturazione delle diaconie papali, che mancano in questa esortazione. Personalmente, ho esplorato questi linguaggi pontifici della carità del Papa con monsignor Stefano Sanchirico, nel libro chiamato appunto La Carità del Papa, secondo di una trilogia dedicato ai linguaggi pontifici.

3.     La storia della Chiesa. Nell’esortazione, si parla di come anche le città, le organizzazioni, le istituzioni debbano riflettere il bello, debbano essere fatte per le persone. Ed è verissimo. A me sarebbe piaciuto che si mostrasse anche il bene operato dalla Chiesa in questo senso. Guardate Bologna, Perugia, e tutte le città che si erano sviluppate nei territori degli Stati Pontifici. Osservatene l’organizzazione, godete la loro bellezza. Era un esempio di come la Chiesa non solo avesse cura dei poveri, ma di come attraverso il bello e il vero cercasse di dare a tutti una possibilità di sviluppo.

4.     Lo sviluppo umano integrale. Il tema dello sviluppo umano integrale riguarda particolarmente la questione della Dottrina Sociale della Chiesa. A me sarebbe piaciuto che questa esortazione mostrasse anche l’impegno della Chiesa in campo diplomatico sul tema dello sviluppo umano integrale. Si citano le Nazioni Unite, e l’obiettivo di sradicare la povertà, ma non si cita il grande lavoro della Santa Sede nell’inserire le questioni dello sviluppo umano integrale in tutti i documenti.

5.     La povertà intellettuale. C’è una povertà che non viene menzionata, e che forse è cruciale, che riguarda proprio la povertà intellettuale. Questa povertà è stata sempre combattuta dalla Chiesa, che infatti ha costruito scuole – e questo lavoro di educazione viene citato – oltre agli ospedali. Ma la povertà intellettuale riguarda anche l’incapacità di guardare alla storia con lucidità, di andare oltre le ideologie, di costruire una vera civiltà dell’amore. La povertà intellettuale è quella, in sostanza, che permette ai poteri del mondo di disporre dei popoli, di costruire narrazioni di conflitto e convincere alla guerra. E forse, guardando questo, un’esortazione sui poveri poteva anche diventare un’esortazione sulla pace.

 

Non credo che la Dilexi Te rappresenti fino in fondo Leone XIV. La vedo più come un’esortazione di transizione. È un Papa che sta cominciando ora a cercare il suo linguaggio da Papa. È un processo normale. Questi sono dieci punti di discussione da cui, secondo me, vale la pena di partire.

 

Tra l’altro, l’esortazione dà un’idea di sinodalità precisa, e quella sì che si rifà alla tradizione della Chiesa, perché la Chiesa, in fondo, è sempre stata sinodale, e lo dimostrano innumerevoli opere laiche che nascono dal basso e che vengono poi istituzionalizzate, come le Pontificie Opere Missionarie. In conclusione, vale la pena, allora, citare l’intero passaggio cui mi sto riferendo, perché sarà probabilmente quello centrale da cui partire.

 

L’accelerazione delle trasformazioni tecnologiche e sociali degli ultimi due secoli, piena di tragiche contraddizioni, non è stata solo subita, ma anche affrontata e pensata dai poveri. I movimenti dei lavoratori, delle donne, dei giovani, così come la lotta contro le discriminazioni razziali hanno comportato una nuova coscienza della dignità di chi è ai margini. Anche il contributo della Dottrina Sociale della Chiesa ha in sé questa radice popolare da non dimenticare: sarebbe inimmaginabile la sua rilettura della Rivelazione cristiana entro le moderne circostanze sociali, lavorative, economiche e culturali senza i laici cristiani alle prese con le sfide del loro tempo. Al loro fianco operarono religiose e religiosi testimoni di una Chiesa in uscita dalle vie già percorse. Il cambiamento d’epoca che stiamo affrontando rende oggi ancora più necessaria la continua interazione tra battezzati e Magistero, tra cittadini ed esperti, tra popolo e istituzioni. In particolare, va nuovamente riconosciuto che la realtà si vede meglio dai margini e che i poveri sono soggetti di una specifica intelligenza, indispensabile alla Chiesa e all’umanità.

 

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