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martedì 19 marzo 2024

Nove anni di ACI Stampa e il mio modo di vedere il giornalismo cattolico

Non è ancora il fatidico traguardo dei dieci anni, ma nove anni di ACI Stampa vanno celebrati comunque, perlomeno perché ci sono delle cose da dire che hanno ancora più senso oggi. Il 19 marzo 2015, ACI Stampa cominciava le sue pubblicazioni on-line. Il mio primo articolo, cui tenevo molto, era questo resoconto di una messa del Papa emerito Benedetto XVI cui avevo potuto assistere (https://www.acistampa.com/story/98/perche-giuseppe-era-un-uomo-pratico-disse-benedetto-0098) e che poi mi sono ritrovato nel libro che ne raccoglie le omelie pronunciate immancabilmente ogni domenica a pochi intimi dal monastero Mater Ecclesiae ( di cui ho parlato qui: https://vaticanreporting.blogspot.com/2023/12/benedetto-xvi-un-anno-dopo.html).

Cominciare con Benedetto XVI, per me, era una sorta di dichiarazione poetica. Voleva dire che ero il giornalista che si era formato con Benedetto XVI, che avevo imparato a capirlo e ad apprezzarlo, e che le mie radici erano lì, e non le avrei mai rinnegate.

 

Non posso ancora davvero raccontare tutte le vicissitudini che mi hanno portato prima a lavorare nella galassia EWTN (National Catholic Register e Catholic News Agency, al tempo collegati, ma non parte dell’universo del grande network americano) e poi a partecipare alla fondazione della loro agenzia in lingua italiana, ACI Stampa.

 

Posso però dire che ACI Stampa ha rappresentato per me un posto dove poter in qualche modo definire il mio lavoro di giornalista cattolico. Una naturale continuazione del lavoro che facevo in Korazym.org, cui devo essere sempre grato per avermi aperto porte e spazi senza mai darmi realmente limiti.

 

Una agenzia come ACI Stampa è cruciale per chi, come me, decide di rimanere giornalista nell’ambito cattolico. Lo è perché si può essere cattolici senza vergognarsi di esserlo, e allo stesso tempo si può essere cattolici senza quel senso di sudditanza verso le autorità vaticane che può caratterizzare i media cattolici istituzionali o para istituzionali. L’unico limite, in questo caso, è il nostro buon senso di giornalisti.

 

Questo rende credibili, perché si può essere cattolici, eppure avere anche la possibilità di guardare alla realtà con occhio critico, di non lasciar passare alcuna contraddizione, ma anzi di poterla mettere in luce, mettendo in discussione scelte e prese di posizione.

 

Io, che pure ho mantenuto tutti i miei blog e i miei spazi personali per poter comunque essere libero di esprimere le mie opinioni al di fuori di ogni contesto editoriale, penso di aver potuto fare un certo tipo di lavoro proprio perché ACI Stampa lo permetteva.

 

Ho un lavoro sulle finanze vaticane (trovate quasi tutti i pezzi qui: https://www.acistampa.com/tag/finanze-vaticane) che mi rende molto orgoglioso. Si nota, a scorrere i pezzi dall’inizio alla fine, come sia stato capace di apprezzare i passi avanti e mettere in luce i passi indietro, e mi sono sorpreso, rileggendomi, nel leggere alcune posizioni di anni fa e di vedere come tutto sia davvero cambiato.

 

Ho tutta la serie sul processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato (gli articoli tutti qui, dall’ultimo al più recente: https://www.acistampa.com/tag/processo-palazzo-di-londra) che mi ha permesso di andare a fondo sulle ragioni e sulle modalità del processo, senza fare sconti quando le cose non apparivano completamente trasparenti.

 

Poi ci sono le serie, cui tengo molto: il reportage sulle radici cristiane di Europa attraverso i santuari (https://www.acistampa.com/tag/reportage-madonna-e-radici-cristiane-di-europa), il reportage sui Paesi Baltici in vista del viaggio del Papa (https://www.acistampa.com/tag/reportage-baltico), la preparazione dei viaggi di Papa Francesco in Bulgaria, Macedonia del Nord e Romania (https://www.acistampa.com/tag/reportage-balcani e https://www.acistampa.com/tag/reportage-romania), il lavoro sul viaggio del Papa in Mongolia (https://www.acistampa.com/tag/viaggio-del-papa-in-mongolia) e sul viaggio di Papa Francesco in Slovacchia (https://www.acistampa.com/tag/papa-francesco-in-slovacchia).

 

E poi, la serie sui santi giornalisti (https://www.acistampa.com/tag/santi-giornalisti) e quella sui media cattolici (https://www.acistampa.com/tag/media-cattolici) e tutto il lavoro sui linguaggi pontifici, che mi ha portato alla pubblicazione di un libro già uscito, un altro in arrivo e un terzo in preparazione (https://www.acistampa.com/tag/linguaggi-pontifici).

 

Infine, il lavoro sulla Chiesa oltre la Cortina di Ferro (https://www.acistampa.com/tag/reportage-cortina-di-ferro) parzialmente alla base del mio libro “Cristo speranza dell’Europa”, ma anche il lavoro su Pio XII (https://www.acistampa.com/tag/pio-xii-e-gli-ebrei) che è stato tradotto in varie lingue, senza dimenticare tutto lo studio sul Ratzinger Schuelerkreis (https://www.acistampa.com/tag/ratzinger-schuelerkreis), il circolo di ex allievi e giovani studiosi di Benedetto XVI.

 

Il lavoro di cui sono più orgoglio è però la rubrica settimanale “Diplomazia pontificia” (https://www.acistampa.com/tag/diplomazia-pontificia), che è un po’ un unicum nel panorama giornalistico, e che prova a raccontare la diplomazia del Papa in tutte le sue sfaccettature. È un lavoro certosino di studio e lettura di tutti gli interventi che riesco a reperire, con l’idea di spiegare quale sia, davvero, il senso dell’attività diplomatica della Santa Sede.

 

Il fatto è che in questi nove anni ho potuto sperimentare un linguaggio, un modo di affrontare la Santa Sede, migliorando il linguaggio, valutando i registri e variandoli a seconda delle situazioni, senza mai spaventarmi se un pezzo veniva troppo lungo o complesso, e senza mai preoccuparmi di apparire troppo “cattolico” nei punti di vista.

 

L’anniversario di ACI Stampa mi porta così a guardare indietro al lavoro svolto. Non posso parlare di linea editoriale, perché non sono il direttore né l’editore. Posso però dire cosa ho cercato di fare in questi anni.

 

1.     Ho cercato di essere prima di tutto curioso di ogni cosa, scrivendo molto ma leggendo di più, cercando di non dare mai niente per scontato. Se mi faccio una domanda, significa che il lettore se la farà, e allora preferisco spiegare, facilitato dal fatto che internet non mi dà limiti di lunghezza (e sì, è bello mettere i link, ma il link non basta, a me piace proprio spiegare, a costo di ripetermi)

2.     Ho cercato di ovviare alla lunghezza dei pezzi con il ritmo nella scrittura, provando a tenerlo sempre serrato, con periodi densi che si leggono nella mia testa come leggevo un esametro greco. So che perdo molti lettori al secondo paragrafo, ma a me interessano davvero quei pochi che arrivano alla fine spinti dalla lettura, e che poi vengono fuori dal testo con varie risposte e ancora più domande

3.     Ho cercato di non preoccuparmi mai della lunghezza, ma piuttosto di preoccuparmi della banalità, cambiando i registri a seconda di quello che volevo dire

4.     Ho ragionato per temi, più che per notizie, con l’intenzione di trovare sempre un punto di vista comune, una prospettiva in cui tutti i pezzi potessero tenersi, una visione originale che guardasse al tutto, e non al dettaglio, all’insieme e non alla polarizzazione

5.     Ho cercato storie, perché le storie minute fanno la grande Storia

6.     Ho sempre, comunque, cercato di non esagerare, consapevole che lo scoop, specialmente per chi fa giornalismo vaticano, non esiste, a meno che non si tratti di una forma un po’ pruriginosa di gossip, che non è quella che mi interessa realmente

7.     Mi sono messo in discussione, valutando anche se alcuni miei giudizi critici non fossero in realtà pregiudizi, guardando sempre ai pro e ai contro di ogni cosa, evitando di essere provocatorio nei toni e cercando di essere piuttosto provocatorio nell’esposizione dei fatti

8.     Ho fatto ricerca, e molta, scegliendo di occuparmi di quello di cui pochi si occupano, guardando al giornalismo come ad un lavoro intellettuale, prima ancora che come a un mestiere di fare notizie

9.     Ho fatto un passo indietro quando quello che stavo per scrivere non mi convinceva al cento per cento, e sembra strano considerando che io scrivo ogni volta quello che penso con un po’ di tatto e diplomazia, ma senza nasconderlo troppo

10.  Ho cercato di leggere la Santa Sede con un anticipo di simpatia, che – e sembrerà incredibile ad alcuni – ho sempre garantito anche a Papa Francesco, consapevole che se si vogliono vedere i difetti si deve partire senza pregiudizi sugli errori.

 

La mia linea guida principale è stata quella dell’umiltà epistemologica, con l’idea di non tradurla mai in una giustificazione totale di qualunque cosa si vedesse. Mi sono occupato molto di ecumenismo, Chiese Orientali, Europa, dialogo interreligioso perché credo che lì si giochi il futuro della Chiesa, e perché vedo che in realtà tutto questo viene sottovalutato.

 

Nove anni di ACI Stampa portano in dote questo mio personale decalogo, con la consapevolezza dei miei limiti, ma anche con la sicurezza delle cose che ho acquisito e di quelle che ancora posso acquisire.

 

La mia visione del futuro è quella di un giornalismo sempre più specializzato, che sappia navigare nell’overload informativo con mano sicura. Si deve studiare molto prima e durante, e si deve essere veloci e precisi nell’esecuzione. L’approfondimento deve essere cosa rapida, e questo è possibile solo se c’è una struttura forte alla base, se ci si è già “fatti la mano” a leggere quello che succede e si ha già buona competenza specifica su quello che c’è stato prima.

 

A nove anni di ACI Stampa, dopo aver lavorato comunque in molti altri progetti – e tuttora sono collaboratore di varie testate, oltre a quelle per cui lavoro principalmente – mi rendo conto che il primo, grande pregio di questo progetto è stato quello di lasciare spazi di libertà in un panorama informativo che necessitava sperimentazioni, e sulla quale abbiamo un po’ sperimentato.

 

Ora lo sguardo è verso il decimo anno, e verso il successivo salto di qualità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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