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domenica 17 dicembre 2023

Papa Francesco compie 87 anni. È cambiato il modo di fare giornalismo vaticano?

Un decennio e un compleanno importante come gli 87 anni sono necessariamente un tempo di bilanci. E viene da chiedersi se e come il pontificato di Papa Francesco abbia cambiato il modo di fare vaticanismo, di fare comunicazione, di fare informazione e di fare informazione religiosa. Oggi, il giorno del compleanno del Papa, possiamo provare a tirare una linea.

Il pontificato di Papa Francesco ha certificato che l’informazione vaticana non è, né può essere, informazione solo cronachistica o religiosa. Non era già, né poteva essere, così.

 

La novità è che con Papa Francesco la questione è diventata ulteriormente dirimente. Se prima non guardare alla Chiesa in maniera globale poteva essere un difetto di prospettiva, ma c’erano i Papi a ricordarci che c’era bisogno di guardare alla Chiesa nella sua globalità e nella sua storia, ora avviene esattamente l’opposto: di fronte a un pontificato personalista e centrato sulla persona del Papa come quello di Francesco, è necessario fare un passo indietro, guardare ai fatti in maniera globale, includere la Chiesa nella storia del mondo e dare alla Chiesa il suo posto nella Storia.

 

Paradossalmente, è più semplice fare il giornalista se si parte da idee preconcette, perché di fatto con Papa Francesco è facile: o si ama il suo approccio, o lo si odia, o lo si approva in ogni cosa, anche quando ciò che viene deciso o fatto è critico, o lo si attacca ad ogni scelta.

 

Ancora più paradossalmente, diventa difficile slegarsi dalle polarizzazioni. Lo si può fare solo con lo studio continuo, con la conoscenza della storia, con un anticipo di simpatia dato alla fede e al cristianesimo in particolare, e con il non dare mai per scontato la dottrina e la teologia. Questo aiuta anche a districarsi anche nel gran numero di pubblicazioni che ormai portano avanti precise ideologie, specialmente in questi ultimi tempi che sembrano aver fatto della sinodalità un feticcio per, in realtà, cambiare la dottrina e la struttura della Chiesa.

 

L’informazione vaticana è chiamata, dunque, a guardare al presente con la consapevolezza del passato, a costruire il futuro nell’idea di una continuità storica con la tradizione che molti negano, a guardare le prospettive riuscendo a scindere la critica delle situazioni dall’amore per l’istituzione Chiesa. Non è facile, ma è una grande sfida.

 

Visto positivamente, si può dire dunque che il pontificato di Papa Francesco ha costretto tutti quelli che non partono da un pregiudizio ideologico ad essere giornalisti più preparati. Si è acquisita maggiore consapevolezza, anche se si è andati a soccombere su alcune battaglie di ideali, sconfitte che però, a mio avviso, sono destinate a rimanere temporanee.

 

La prima generazione di vaticanisti, sorta con il Concilio Vaticano II, era quella della curiosità, del rispetto e anche dell’istituzionalità, perché la generazione cui appartenevano i “grandi vecchi” era quella dei grandi ideali e della loro difesa.

 

La seconda generazione dei vaticanisti era quella scaturita dal Concilio, quella dei grandi movimenti e delle idee da diffondere nei media, con il grande ideale di essere presenti nel dibattito pubblico e plasmarlo. Era lo “scontro delle civiltà giornalistiche” che rimaneva sotto la cenere di un grande pontificato, quello di Giovanni Paolo II, il quale invece puntava ad assorbire ogni polarizzazione, a dare una forma unitaria e concreta alla Chiesa.

 

Poi c’è stata la terza generazione, quella che si è formata alla fine di Giovanni Paolo II e ha lavorato soprattutto sotto Benedetto XVI. È la generazione della conversione, di coloro che sono nati dentro i movimenti e si sono trovati nella società, di coloro che erano scettici riguardo Benedetto XVI e si sono trovati ad amarlo colpiti dalla forza delle idee, ma soprattutto dalla forza della fede.

 

Infine, c’è la quarta generazione, quella nata appena prima di Francesco o con Francesco. È la generazione dei nuovi media, della comunicazione veloce, dell’approfondimento difficile perché tutto va mangiato in pochi minuti, in un post veloce e in uno slogan. Incredibilmente, Francesco è vicino a questa generazione, per cui il personaggio conta più della persona. Lo è con la sua presenza pervasiva sulle pubblicazioni (non si contano, ormai, le prefazioni di Papa Francesco a libri di genere vario), con le sue interviste che nascono fuori da ogni canone istituzionale (tanto che una intervista del Papa non è più una eccezione) e che vengono fatte soprattutto a testate e per progetti incredibilmente pop (la trasmissione tv italiana Che Tempo Che fa?, o il libro di Harper Collins che costruisce una biografia con la storia del mondo vista dal Papa).

 

Papa Francesco personalizza tutti i discorsi. Quando parla, quando prende una posizione, il pensiero prevalente è il suo personale. Non cita uno studio, non mostra una adesione profonda a dei principi, ma quasi sempre dà delle opinioni che si è formato sulla base di letture, incontri, situazioni pratiche. È, incredibilmente, un Papa anziano che però è vicinissimo ad una generazione che fa della comunicazione superficiale e della personalizzazione il suo linguaggio.

 

È proprio questo, però, che si deve evitare. Perché altrimenti tutto il discorso religioso si concentra sull’immagine e la presenza del Papa, sulla sua opinione, sulla sua riforma e rivoluzione. Si crea una realtà appiattita sull’oggi e sull’uomo, che non solo non è cattolica, ma non è reale.

 

Non solo. Con le sue decisioni, Papa Francesco ha costretto a riprendere in mano i concetti antichi, che ormai erano dati per scontati. Dalla “assolutezza” del suo governo fino alla collegialità, tutto si è dovuto riprendere, ristudiare, ricomprendere per aiutare anche la Chiesa in un cammino difficile voluto dal Papa che ha soluzioni pragmatiche a problemi teologici, e soluzioni ideologiche a problemi pragmatici.

 

Alla vigilia del compleanno, Papa Francesco ha visto il termine di un processo di primo grado che lo ha visto protagonista, e sarà la storia a dire se suo malgrado o volendo. Ebbene, mai nella storia dei processi vaticani era stato necessario non solo riprendere in mano il diritto, e il diritto canonico, ma andare a guardare i principi del diritto internazionale, del diritto commerciale, e andando oltre anche i principi di sovranità della Chiesa.

 

Stretti in una lotta senza quartiere contro il potere costituito che è scoppiata nella Chiesa come una malattia autoimmune, i giornalisti hanno dovuto apprendere come poter riportare i fatti con rispetto della Chiesa e della verità, andando a fondo nelle situazioni. Non sempre si è riusciti.

 

Non sono tra quelli che hanno esultato all’elezione di Papa Francesco, perché non trovo ci sia da parteggiare per un Papa o per l’altro. Non sono tra quelli che lo hanno amato. Lo ho accolto con scetticismo, e purtroppo il mio scetticismo è stato premiato in molte circostanze. Ma posso dire che alla fine questo pontificato mi ha in qualche modo reso migliore perché mi ha costretto a guardare tutto da una prospettiva più ampia e meno scontata. Mi ha costretto a dibattere, a comprendere, a mettermi nei panni dell’altro prima di contestarlo.

 

La mia è la terza generazione di vaticanisti, che però insiste in buona parte sulla quarta. Siamo un mondo di mezzo e di transizione. Abbiamo dovuto disimparare le vecchie ideologie e comprenderne nuove. Abbiamo dovuto comprendere come scrivere nei nuovi mezzi di comunicazione e come usarli senza snaturare chi siamo e chi vogliamo essere. Abbiamo dovuto mantenere una nostra personalità in un mondo che toglie personalità a tutti tranne che i personaggi.

 

Fare i conti con questo pontificato non è stato facile. Eppure, da certi punti di vista, è stato incredibilmente utile ed importante. Il giornalismo vaticano non è cambiato a causa di Papa Francesco. È però cambiato con Papa Francesco, che lo ha cavalcato, trovando in questo nuovo mondo l’approdo ideale della sua personalità complessa.

 

Durante questo pontificato abbiamo visto il proliferare di “guardiani della rivoluzione” e di “ultra tradizionalisti”, e prendere una posizione intermedia non era sicuramente popolare. Non faceva guadagnare lettori. Aggiungeva complessità alla complessità e rischiava di rendere semplice ciò che nessuno voleva semplificare. Eppure è stato necessario.

 

Se la Chiesa è chiamata a ripensarsi in un mondo che non si percepisce più come cattolico o come cristiano, il giornalista vaticano è chiamato a ripensare il suo modo di stare nel mondo, il suo sguardo sulla Chiesa, il suo modo di raccontarlo. Papa Francesco è l’ultimo personaggio di una epoca che non esisterà più dopo, chiunque sia il Papa. Non so quanto ha trasformato la mia professione. So, però, che questo pontificato poteva essere una ragione di crisi o una opportunità. E, tra le due, io scelgo sempre la seconda.

 

Ad multos annos, Papa Franciscus!

 

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