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venerdì 24 dicembre 2021

In una lettera a Gesù Bambino, l’agenda della vita di Benedetto XVI

Il 24 dicembre 2012, pubblicavo sul mio blog in inglese Mondayvatican un articolo che rileggeva l’agenda di Benedetto XVI alla luce della sua vita famigliare. Un articolo in inglese, che mi è tornato in mente in questi giorni. Alla vigilia di Natale, Papa Francesco ha dato una intervista a La Stampa e Repubblica parlando proprio dei suoi ricordi della famiglia. Il  giorno prima, ha fatto alla Curia un discorso duro e quasi crepuscolare, con molti accenni ai mali che vive la Curia. In quel 2021, esplodeva Vatileaks, e Benedetto XVI aveva già deciso di rinunciare. Ma in quel Natale, in quel discorso di Natale, non c’era un accenno ai problemi che affliggevano la Chiesa. C’era, piuttosto, una visione di prospettiva. Letto oggi, quel discorso alla Curia può essere considerato una sorta di discorso di commiato, in cui Benedetto XVI aveva delineato le sfide del futuro. E c’era, come sempre, il tema della famiglia. Centrale per Benedetto XVI, proprio perché partiva dalla sua vita personale (ricordiamo tutti la sua visita al fratello moribondo nel giugno 2020, testimonianza di una forza che davvero comunicava la vita). Per questo, penso che valga la pena riproporre quel testo del 2012 oggi. Per comprendere, quasi dieci anni dopo, quali sono le sfide. E per ricordare che la famiglia dice sempre molto, se non tutto, di una persona. In fondo, il Natale si festeggia con la famiglia.

“Caro Bambino Gesù, presto scenderai sulla terra. Porterai gioia ai bambini. Anche a me porterai gioia”. Iniziava così una lettera a Gesù Bambino per Natale. Era il 1934, ed  è scritta da un bambino di sette anni nella caratteristica calligrafia corsiva dell’epoca chiamata Sütterlinschrift. Quel bambino era Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI.

 

Cosa desiderava il Papa ad appena sette anni? “Vorrei il Volks-Schott, un vestito per la messa verde e un Cuore di Gesù. Sarò sempre bravo. Cari saluti da Joseph Ratzinger.”  La lettera era così singolare che la sorella Maria – che ha accudito Joseph fino a quando non è morta – aveva deciso di custodirla. È stata ritrovata durante i lavori di ristrutturazione della casa di Joseph Ratzinger a Pentling, in Baviera, oggi trasformata in un Museo dedicato al Pontefice. All’inaugurazione del Museo, alla fine della scorsa estate, Georg Gaesnwein, segretario particolare del Papa, ha riferito che la scoperta della lettera “ha molto rallegrato il Papa e il suo contenuto lo ha fatto sorridere”.

  

Quello che colpisce di più della lettera, infatti, è che il piccolo Joseph non chiede giocattoli o dolci. Chiede lo Schott, ovvero uno dei primi libri di preghiere con il messale in lingua tedesca con testo a fronte in latino. All’ epoca in Germania ne esistevano due edizioni, una per adulti e una per bambini. E il piccolo Joseph proprio attraverso quel libretto inizia ad amare la liturgia sul cui ritmo era modellata la vita della famiglia. Poi, chiede un paramento per celebrare la messa. Non c’è da stupirsi, perché i fratelli Ratzinger facevano spesso il “gioco del parroco” per il quale la mamma preparava dei paramenti. “Si celebrava la messa – aveva raccontato il fratello Georg in una intervista al mensile Inside the Vatican - e avevamo delle casule fatte dalla sarta della mamma proprio per noi. E uno volta a turno eravamo il ministrante o il chierichetto.” Infine, il piccolo Joseph chiede un “ Cuore di Gesù”, ovvero una immagine del Sacro Cuore cui era molto devota tutta la famiglia.

È un aneddoto. Ma forse ci si dovrebbe ricordare di questo aneddoto quando Benedetto XVI pronuncia i suoi discorsi. In ogni difesa della famiglia che fa, c’è un riflesso della sua famiglia. Una famiglia serena, il cui ritmo era scandito dalla liturgia, e in cui si gioiva l’uno con l’altro. Una famiglia in cui era ragionevole stare, perché il meglio per la crescita di un bambino. E il Ratzinger teologo ha poi sviluppato una riflessione tutta sua sul significato della famiglia, tutto basato sulla Santa Famiglia di Nazareth, tutto portato a spiegare il senso della famiglia tradizionale. Una difesa con un fondamento teologico ben definito. Ma anche con un fondamento razionale.

Un fondamento che il Papa ha messo anche al centro del discorso di auguri di Natale alla Curia romana, che è poi il bilancio della vita della Chiesa durante un anno intero. Come di consueto, il Papa è volato alto. Nessun accenno a Vatileaks, nessun accenno ai problemi interni della Chiesa: in fondo, sono poca cosa, normale miseria umana, per quanto possa scandalizzare che succeda anche nella Chiesa. Benedetto XVI ha invece messo sul tavolo tre temi che hanno segnato davvero la vita della Chiesa e che saranno l’ agenda futura dei prossimo decenni: famiglia, dialogo, nuova evangelizzazione.

Il discorso del Papa alla Curia prende proprio le mosse dalla famiglia. E lo fa appoggiandosi alle argomentazioni del Rabbino Capo di Francia Gilles Bernheim. Bernheim ha inviato al presidente francese François Hollande una documentazione di 25 pagine, spiegando tutti i motivi del suo no ai  “matrimoni per tutti”. Sottolinea il Papa: prima la crisi della famiglia era dovuta ad una malintesa libertà; oggi è in crisi l’idea stessa dell’uomo.

E la crisi dell’idea dell’uomo ha un nome preciso: gender. Un nome neutro e allo stesso tempo letale, come buona parte del nuovo “dizionario” promosso nei documenti delle Nazioni Unite e costantemente denunciato dagli officiali della Santa Sede in sede internazionale.

Il concetto di gender è quello dell’essere umano che vuole manipolare se stesso. “ Egli-  dice il Papa con un riferimento alla filosofia dell’idealismo tedesco-  è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura”.

Se non esiste dualità, se l’essere umano perde la sua identità, non esiste nemmeno più la famiglia allora. “ Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé – dice il Papa, riprendendo i concetti di Bernheim - si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo”.

Difendere l’uomo è la missione della Chiesa, che fa dell’umanesimo integrale la sua agenda internazionale. Ed è su questa agenda che si fonda il dialogo con gli Stati, con la società e con le religioni. La Chiesa – spiega il papa – ha dalla sua la memoria, perché “la cultura dell’umano, di cui essa si fa garante, è nata e si è sviluppata dall’incontro tra la rivelazione di Dio e l’esistenza umana.

La Chiesa rappresenta la memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio, che ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure. Ma come una persona senza memoria ha perso la propria identità, così anche un’umanità senza memoria perderebbe la propria identità.”   La Chiesa non dà ricette, ma ricerca risposte “che maggiormente corrispondono alla giusta misura dell’ essere umano”.

Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, Benedetto XVI sostiene che il dialogo non si fa su basi teologiche, ma pratiche e culturali. Altrimenti si perde la propria identità. E come si pratica il dialogo? “Il dialogo – dice Benedetto XVI - non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: ciò è corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, però, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità.”

La verità – sostiene il Papa – è Cristo stesso “così, ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull’unità della verità.”  È anche uno dei temi fondamentali del suo primo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, significativamente intitolato Nella verità, la pace. “ L’essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo – sostiene Benedetto XVI - ci rende liberi e al tempo stesso sicuri. Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo apertamente e senza paura. Sicuri, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità.”

Che significa allora l’annuncio? Benedetto ripropone la lettura della pagina evangelica nella quale il Andrea e Simone seguono Gesù. Sono uomini in ricerca, ecco perché “ toccati dall’annuncio la loro ricerca diventa concreta.” E il Papa spiega che “ la parola dell’annuncio diventa efficace là dove nell’uomo esiste la disponibilità docile per la vicinanza di Dio.” Ecco allora l’augurio del Papa, l’agenda per i prossimi decenni: “Questo andare con Lui conduce al luogo dove Gesù abita, nella comunità della Chiesa, che è il suo Corpo. Significa entrare nella comunione itinerante dei catecumeni, che è una comunione di approfondimento e, insieme, di vita, in cui il camminare con Gesù ci fa diventare vedenti.”

È in fondo la stessa agenda del piccolo Ratzinger. Che per il Natale di tanti anni fa chiedeva uno Schott, un libro delle liturgie, per mettersi in armonia con Gesù, cominciando il lungo cammino di una vita che lo avrebbe portato a diventare Papa.

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