Dal 2 al 5 luglio ho partecipato al 12esimo Workshop Europeo di Studi Internazionali a Cracovia, e in particolare ho relazionato al laboratorio “Portare le religioni nelle relazioni internazionali: dai fatti alle teorie”.
Il gruppo di panelists era particolarmente interessante. Eravamo due cattolici, di cui uno proveniente da Taiwan. C’era una maggioranza di professori provenienti dal mondo musulmano, e due buddisti. Insomma, i punti di vista erano vari, e per niente scontati.
È stato un momento particolarmente interessante. Ho appena scritto un libro, che è in via di pubblicazione (ma non così presto come dice il claim) in cui esploro l’idea di un ordine mondiale senza Dio. Ero partito dall’idea che Dio fosse stato marginalizzato dal mondo internazionale, e mi sono ritrovato a fare i conti con il fatto che in realtà guardavo al mondo solo con gli occhi di un occidentale, perché la nozione di Dio è ben presente in altri ordini mondiali che definiscono le relazioni internazionali.
Quello che notavo in generale all’incontro era che c’era, in effetti, un grande interesse per la religione nel mondo internazionale proprio nel mondo non occidentale, che fosse il cosiddetto “Sud Globale” o il mondo dei Paesi musulmani, e che in effetti c’era una preponderanza di ricerche su questi temi e sui temi della diplomazia internazionale nata proprio in Paesi musulmani.
Il paper che ho sottoposto e sul quale ho relazionato era intitolato: “Guerra in Ucraina: il ruolo della religione e della Santa Sede”. Ho provato, in qualche modo, a raccontare sia il fattore religioso presente in Ucraina e il ruolo che ha avuto nel conflitto, non tacendo nemmeno sul ruolo che ha avuto il Patriarcato di Mosca nel diffondere il concetto di Russky Mir (la grande Russia) sia il ruolo che la Santa Sede ha avuto e avrà nel conflitto
Ho scritto il paper come se stessi scrivendo un articolo di giornale, ovviamente con le citazioni scientifiche del caso, ma non tralasciando i dettagli. Ma poi mi rendevo conto che mancava qualcosa, e allora quando ho esposto il paper ho tralasciato il testo scritto per concentrarmi su alcune questioni preliminari, a partire proprio dal senso della diplomazia della Santa Sede, dalla sua storia, dal suo significato e dal modo in cui lavora.
Nessuno, nell’ambiente in cui mi muovo generalmente, pensa che la diplomazia della Santa Sede possa destare interesse. In generale, si pensa o che sia una cosa per specialisti, o che sia una cosa che ormai non ha più senso di conoscere, perché il mondo è completamente secolarizzato.
Tuttavia, ogni volta che mi trovo in questo argomento, mi rendo conto che invece c’è un interesse vero e specifico non solo per la diplomazia della Santa Sede, ma per il senso che ha il lavoro della Santa Sede nel mondo. C’è un mondo che non ha a che fare con il cristianesimo, e che a volte non ha a che fare con alcuna confessione religiosa, che però vuole capire cosa pensa la Chiesa, vuole dare un senso alle relazioni internazionali guardando anche ad altri e approfonditi punti di vista.
Davvero la nozione di Dio è scomparsa dal mondo occidentale? E davvero la diplomazia pontificia è ormai tema di scarso interesse nel mondo? Facciamo alcune considerazioni.
1. Le reazioni generali al paper sono state di curiosità. La richiesta è stata quella di approfondire più temi, piuttosto che mettere in luce tutti i temi possibili. Io avevo proceduto, nel paper, in maniera giornalistica, accennando a molti dettagli, cercando di dare un quadro generale della situazione. Dal punto di vista accademico, quello può essere solo l’inizio di un percorso molto più ampio. Ma si tratta di un percorso cercato e voluto dalle discipline accademiche, non è un percorso destinato ad essere solo una nicchia.
2. Se si parla di diplomazia della Santa Sede solo come una diplomazia tout court, mettendo da parte il senso della diplomazia pontificia stessa, allora l’interesse è meno alto. La diplomazia pontificia funziona solo se si considera davvero il suo senso spirituale e religioso, perché lì risiede la sua peculiarità. La Santa Sede non ha interessi economici e geopolitici, e se perde la nozione religiosa diventa una delle tante Ong che popolano le Nazioni Unite. Ma non è questo il senso della sua diplomazia.
3. Se c’è un mondo occidentale che ha tagliato fuori la nozione di Dio e marginalizzato le religioni, c’è un Sud globale che invece guarda alle religioni come parte del suo sistema di riferimento, e inoltre c’è un gruppo di persone che sono senza riferimenti religiosi ma sono molto aperti ad accogliere una risposta di senso. Non ha fallito la fede, ha fallito la religione, perché la religiosità è ben presente. Ma la religione c’è, ha ancora un senso di collegare, e va solo spiegata.
4. C’è un mondo non cristiano che sta lavorando molto sulla cultura, cercando di portare la religione al centro della vita sociale, politica, culturale, investendo anche su programmi sostanziali di riscrittura della storia, in un processo che è iniziato come una decolonizzazione e sembra essere diventato oggi una risignificazione. Il mondo cristiano, e cattolico in particolare, è pronto alla sfida della cultura? Questa è una grande domanda che viene fuori dal mio dialogo nei giorni a Cracovia.
5. La diplomazia pontificia ha ancora un senso nel mondo laddove questa viene raccontata per quello che è nella storia e per quello che significa per le persone. Il lavoro della diplomazia pontificia – al di là del ruolo dei nunzi anche nella selezione dei possibili vescovi – è un lavoro peculiare, che spesso non ha risultati immediati, ma che crea processi che maturano nel tempo. Ma questa diplomazia viene spiegata davvero per quella che è o anche nel mondo cristiano è prevalsa la visione secolare della diplomazia pontificia? La “cristianità”, se così si può chiamare, guarda alla diplomazia del Papa come ad un esercizio di potere o riesce a vedere il grande ideale dietro questa diplomazia pontificia, la grande visione che arriva fino al Vangelo, e che passa attraverso il dialogo tra le fedi?
Per quello che ho notato, c’è bisogno di diplomazia pontificia e c’è bisogno di raccontarla nel senso vero del termine, storicizzandola, contestualizzandola, mettendola in una cornice storica, teologica e filosofica che manca. Il giornalismo può fare molto nell’introdurre ai temi, l’accademia dovrà poi spacchettare i temi, lavorando su ricerche varie. C’è un progetto in questo senso cui sto lavorando, che presto renderò noto.
Intanto, come comunicatore, cerco di raccontare la diplomazia pontificia – e ogni settimana c’è una rubrica su ACI Stampa che raccoglie tutto quello che riesce a raccogliere (https://www.acistampa.com/tag/diplomazia-pontificia) – cercando di andare oltre il giornalismo dei fatti nudi e crudi, sempre dando un profilo di analisi e di storia che non può mancare quando si parla di Santa Sede.
È un lavoro che ritengo necessario. Forse di nicchia, ma necessario. E il forum di Cracovia me lo ha confermato.
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