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domenica 18 febbraio 2024

Suor Fortuna

Oggi parlo un po’ di me, e quindi mettetevi comodi per un racconto molto personale. Che poi, come diceva Pirandello, io sono uno di quelli che ci vuole per forza trovare un significato nelle storie, e quindi c’è sicuramente qualcosa di escatologico in quello che sto per dire. Chiedo scusa se non si tratta di un qualcosa di professionale, come vi potreste aspettare, ma a volte le cose da dire vengono fuori semplicemente, senza sovrastrutture.

Alla vigilia di un viaggio di lavoro che potrebbe essere importante oppure no - e per ragioni probabilmente diverse da quelle per cui ci vado perché sappiamo che la vita accade mentre noi facciamo progetti o ci facciamo strani piani mentali - mi sono trovato a (ri)pensare a Suor Fortuna e agli anni in cui si è maturata questa vocazione ad essere giornalista.

 

Per chi non mi conosce e non sa della storia del mio paese, Suor Fortuna era la suora che nel mio paese, Pontecorvo, mise su dal nulla un gruppo di giovani, lo volle interparrocchiale andando oltre ogni campanilismo, e tirò su generazioni di ragazzi, tra cui la mia, dal 1981 fino alla morte, che è avvenuta poi il 29 novembre dello scorso anno. Non stava bene da un po’, sapevamo che questo sarebbe stato un passaggio necessario, e in fondo c’era già chi stava portando avanti la sua opera. Nel 2001 era stata mandata a Genova dal suo ordine, le Suore del Monte Calvario, e questo non le aveva impedito di fare la stessa cosa anche a Genova, rimanendo però sempre in contatto con tutti noi, come se non fosse mai partita.

 

Perché Suor Fortuna era così: aveva una testardaggine buona, di quelle che ti portano a fare cose grandi, e un carisma strano, a volte invadente, che però ti convinceva a fare quello che pensava fosse giusto fare, e a farlo anche bene, con convinzione e impegno. Era una trascinatrice che alla fine, in qualche modo, apprezzava le persone riflessive, cercava di far schiudere i musoni dal guscio, e non si vergognava mai di essere eccessiva o presente, perché aveva una missione più grande.

 

Come tutte le persone con una vocazione tardiva (era stata, prima, stilista di moda), aveva un modo suo di difendere la fede in cui credeva. Non che non fosse credente prima, intendiamoci. Suor Fortuna non era una convertita. Era piuttosto un Saulo di Tarso sui generis, che magari non avrebbe partecipato alla lapidazione di Stefano e si sarebbe seduta ad ascoltare i cristiani, ma che forse non avrebbe predicato con la stessa foga se non fosse caduta da cavallo. E la sua vocazione, a quanto ricordo, nacque proprio da una “caduta da cavallo”, un ricovero in ospedale. Vado sempre a memoria su queste cose, perché lei raccontava in modo frammentario, nel senso che raccontava un pezzo di qualcosa ogni volta che le veniva in testa, però se volete ricordare la sua storia in maniera precisa basta che andate a chiedere al Gruppo Comunione e Servizio Spirito Libero, il giornalino del gruppo, nei numeri in cui qualcuno, con santa pazienza, la mise a sedere e si fece raccontare la sua storia.

 

Ora, perché sto raccontando tutto questo? Perché, in fondo, oggi mi veniva da pensare che nella vocazione di un giornalista, e di un giornalista cattolico, ci sia bisogno anche di un qualche incontro di anime. Suor Fortuna era stata una delle poche persone a conoscere la mia inquietudine, mi aveva assegnato un brano dei Maccabei da meditare perché quello le aveva “suggerito il Signore quando aveva aperto il Vangelo”, ma in realtà aveva anche la strana discrezione di sapermi prendere.

 

Lei sapeva che io cercavo di più, e cercava di darmi quel di più invitandomi agli incontri con gli universitari quando ero solo al Liceo, portandomi nei campi vocazionali dove in realtà c’erano persone molto più strutturate di me, facendomi respirare un mondo che forse mi era lontano, ma che lei sentiva per me.

 

Ovviamente, quando si è giovani si è impetuosi, e io ero anche persona di letture molto disordinate, nel senso che leggevo qualunque cosa mi capitasse a tiro e mettevo poi tutto insieme. Per questo, la mia visione della fede cattolica era quella di un ragazzo che aveva letto molto, ma che non aveva avuto ancora quella struttura di pensiero necessaria per comprendere le cose in prospettiva. Ero il giovane che pensava di dover fare nuove tutte le cose solo perché si era giovani, come lo sono tutti i giovani. Ma questo non turbava mai Suor Fortuna.

 

Ci sono discorsi che abbiamo fatto, sulla fede, sulla storia, sulla vita, che non replicherò in questa sede, perché sono nostri. Ma quello che posso dire è che Suor Fortuna mi aiutava ad interpretare ogni situazione secondo la chiave di Dio. Anche quando sembrava tutto molto assurdo, lei ci credeva, nella presenza di Dio, con una forza tale che non potevi non prenderlo in considerazione. Alla fine, questa mentalità di affidamento ti scavava dentro, e ti permetteva di superare i momenti più difficili, quando le crisi dell’intelletto diventano crisi dell’anima perché, ripeto, si è giovani in fondo, ed è un percorso che si deve fare.

 

Io ho poi avuto la fortuna di avere un grande parroco, don Luigi Casatelli, che mi ha cresciuto allo stesso modo, ma con un piglio più razionale, più logico, ed era il tipo di equilibrio che mi serviva. Ma di questo parlerò magari un’altra volta.

 

Il fatto è che alla fine mi sono reso conto oggi che da Suor Fortuna ho imparato un certo impeto nell’affrontare e guardare alle cose di Chiesa.

 

Io sapevo da sempre che avrei voluto fare il giornalista, perché la mia vita è stata praticamente sempre un leggere e scrivere e poche altre cose, nemmeno fatte troppo bene se non nascevano dal leggere e lo scrivere (ho imparato la tecnica del tennistavolo o ping pong leggendo un libro, per dire, e così ho fatto con molte cose che faccio con la chitarra – perché ho bisogno di capire le cose razionalmente, prima di farle). Ma non sapevo, né avrei mai immaginato, che sarei stato un giornalista che si occupava di Vaticano, e men che meno che poi avrei fatto la scelta di campo di stare nel giornalismo cattolico (e persino di seguire tutte le fasi del giornalista cattolico, come avevo raccontato qui).

 

A pensarci adesso, però, questo approdo a fare Vaticano, a pensare Vaticano, a scrivere quello che scrivo nasce e si forma proprio da quegli interminabili pomeriggi con Suor Fortuna. Da quel senso di sicurezza che sentivo in quella suora di fronte ad ogni contestazione alla Chiesa e alla sua dottrina, e ad ogni contestazione a Dio. Non c’erano dubbi, per lei, perché lei aveva tutte le risposte, le aveva meditate, le viveva sulla sua pelle. Non c’erano dubbi perché sentiva il rischio della perdita della fede, ed era il rischio più grande.

 

Ho realizzato forse solo oggi che il suo impeto non era ingenuità, ma era piuttosto la paura che di fronte a un dubbio insormontabile lei ci avrebbe perso per Dio. E magari no, non ho condiviso tutti i suoi modi di fare, ma in qualche modo ho capito quella necessità di andare alla radice di tutte le cose, e prima di tutto di andare alla radice della propria fede e ripartire da lì, nel mezzo di tutte le cose brutte.

 

Mi chiedono spesso se il mio essere cattolico venga messo in discussione dalle cose che vengo a sapere, e io rispondo sempre che no, gli scandali o presunti tali accrescono la mia fede, perché se la Chiesa è lì nonostante duemila anni di scandali e varia umanità ci deve essere un senso più grande. Oggi mi rendo conto che devo a suor Fortuna questa fiducia incrollabile che tutto andrà per il meglio, perché in fondo tutto ha un senso. E mi rendo conto che, in qualche modo, sono stato traghettato in questo lavoro senza nemmeno sapere perché, e ci sono stato traghettato nonostante tutti i miei limiti che sento molto presenti.

 

Così, ho pensato che non è un caso che suor Fortuna sia andata via da Pontecorvo l’anno che anche io sono partito per cominciare una nuova vita a Roma, e che non è nemmeno un caso che sia morta mentre ero con i vescovi d’Europa a lavorare su alcune questioni. Sono stato male per non essere al funerale, ho fatto una riunione importante con il funerale in sottofondo davanti al computer e le cuffie, ma oggi mi sono reso conto che, in fondo, era giusto così, perché suor Fortuna era andata sapendo che io avrei continuato il percorso. Un percorso che né io né lei sapevamo, ma che in fondo sta andando avanti un po’ da solo. Suor Fortuna, in fondo, non ha dimenticato nessuno dei suoi figli, anche quelli che sono stati più distanti.

 

Ho scritto tanto di tutti, in questi anni, ma non ho scritto mai di Suor Fortuna. E oggi, a Messa, ho sentito che dovevo farlo, che era importante e che era importante farlo oggi. Non so perché fosse importante farlo oggi, ma prima o poi lo scopriremo.

2 commenti:

  1. Grazie per questo bellissimo ricordo. Mi è stato condiviso da un membro della Comunità Oasi Mariana Betania in Alvito, della quale faccio parte. L'ho conosciuta anch'io e incontrata quasi all'inizio del suo arrivo a Pontecorvo e comunque quando aveva già avviato il gruppo di giovani e famiglie a Pontecorvo. La ricordo con quella sua forte e inarrestabile carica di umanità, entusiasmo e capacità di trascinare facendo del tutto pur di avvicinare a Gesù.
    Se non ricordo male, proprio all'inizio del nostro cammino comunitario - siamo all'inizio degli anni 90 - con un piccolo gruppo è venuta anche a trovarci all'Oasi che era appena iniziata.
    Sapevo delle sue iniziative e dei campeggi con giovani e famiglie ma i contatti si erano poi persi. Avevo saputo che era stata trasferita e che era a Genova. Non avevo però saputo della sua morte. Grazie per la sua testimonianza che ha ravvivato in me vari ricordi. La ricorderò nella santa Messa e chiederò al Signore di permetterle di continuare a tenere uno sguardo di protezione su Pontecorvo, su coloro che l'hanno conosciuta e hanno partecipato alle sue numerose attività e sui giovani di oggi che pure hanno tanto bisogno. don Alberto

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  2. Bellissima storia di questa serva di Dio che ha formato nella fede tanti giovani ,lo vorrei tanto per i miei figli , che sia nella Gloria di Dio ! 🌺🌹🕊️🌈🙏🏻💖🔥🌿💐

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