San Francesco di Sales è il patrono dei giornalisti, e lo è proprio per questo sistema di comunicazione, che oggi chiameremmo di free press. Ma è stato anche quello che ha ispirato a San Giovanni Bosco il metodo dell’educazione integrale, è stato anche colui che ha attuato un nuovo modello missionario. Non si può non pensare a San Francesco di Sales, oggi, quando si pensa al lavoro dei giornalisti.
Quello che colpisce anche me, ogni volta che vado a
rileggere la sua storia, è che l’uditorio di San Francesco di Sales era davvero esiguo. Erano in pochissimi ad
ascoltarlo, e ancora meno a voler mettere in pratica la radicalità della
proposta cristiana che lui delineava in una città ormai presa dalla
predicazione protestante di Calvino.
Eppure, San Francesco
di Sales non si dà per vinto. Continua a parlare secondo verità, secondo
ciò di cui lui è convinto perché radicato nella sua fede, ma anche perché lo sa
declinare con la ragione. Aveva studiato bene, si era fatto le domande sul
mondo, si era dato le risposte. Ed era questo
probabilmente il motivo per cui era certo di quello che stava dicendo:
perché sapeva già come rispondere alle domande che gli sarebbero state poste,
sapeva già come affrontare le crisi degli altri che erano già state sue.
Rivedo, in San
Francesco di Sales, molto di quello che può essere un giornalista oggi.
Proviamo a fare un gioco di ruolo, a mettere le cose in contesto. La riforma protestante è, in fondo, la
rivoluzione dei media. Sempre più veloci, sempre più pervasivi, sempre più
dominati dalle logiche del mercato, i media oggi non hanno nemmeno il tempo di
proporre una riflessione, ma viaggiano
sulla scia di notizie preconfezionate cui adattano il commento secondo il loro
punto di vista.
Le necessità del mercato portano alla polarizzazione, alla
necessità di essere diversi a tutti i costi. I protestanti erano prima di tutto
“contro” i cattolici, si espandevano per contrasto. Ma i media di oggi sono una moltiplicazione di riforme protestanti. Sono
tanti, tantissimi e tutti ragionano prima di tutto per contrasto, per
mostrarsi differenti. È una logica cui è difficile sfuggire.
Perché il rischio di fare analisi, di non prendere la posizione del mainstream,
di non contrapporsi ma proporsi è quello di San Francesco di Sales. Ovvero,
di rimanere con pochissima audience,
perché in pochi sapranno riconoscere le parole nel rumore, e perché non
riuscire a farsi sentire o vedere, indipendentemente da quello che si dice, è
uno dei mali principali in un mondo in cui tutti urlano e cercano di farsi
vedere.
Eppure, San Francesco
di Sales insegna che c’è ancora spazio per un giornalismo diverso. Un
giornalismo capace di raccontare storie senza necessariamente poi diventare
parte in causa. Un giornalismo che
sappia fare un passo indietro. Un giornalismo, soprattutto, che non si
senta, né si atteggi, come un “quarto potere”, con l’idea di voler indirizzare
l’opinione pubblica indipendentemente dai fatti.
Perché è pieno di opinionisti, ma ci sono pochi analisti. Perché l’idea è quella o di fare cose
troppo bevi per avere una profondità, o troppo tagliate in un certo modo
per poter avere il nerbo necessario.
Lo spazio per qualcosa di diverso, però, c’è. Lo dimostra il fatto che i media puntano
sempre di più alle cosiddette long-read (letture lunghe, chissà mai perché si
usa il termine inglese anche in italiano), a moltiplicare le testate interne in
modo da avere tanti piccoli territori di specializzazione, ad offrire un
prodotto che soddisfi la curiosità e l’intelligenza del lettore, e non la
pancia.
La storia di San Francesco
di Sales dice ai giornalisti che si può essere controcorrente solo per amore
della verità, e non tanto per risultare differenti, e che sarà proprio questo
amore della verità a conquistare le persone. Certo, ci vuole tecnica, ci vuole
stile, ma ci vuole soprattutto sostanza, ed è quella che non mancava a San Francesco di Sales.
Ma la vita del santo ci dice anche un’altra cosa. Che l’audience
si deve creare, perché si devono prima di tutto educare le persone a guardare
oltre i rumori e ciò che ci viene presentato. È un modello di educazione integrale che non a caso sarà preso a
modello da San Giovanni Bosco.
Perché il problema, alla fine, non è comunicare, ma saper
ascoltare le comunicazioni. Tutto va oggi rovesciato: a un predominio della tecnica, alla tecnocrazia che si è impossessata
anche del giornalismo, si deve rispondere con un ritorno alle capacità dell’uomo.
Gli uffici stampa non devono cercare di
farsi pubblicare, devono trovare persone che comprendano di cosa si sta
parlando e facciano storie che non risentano dell’idea che si deve
comunicare per fare propaganda. I media
non devono cercare opinionisti, ma persone che sappiano dare un altro punto
di vista e sappiano fare un passo indietro anche nei confronti delle loro
fonti, perché sempre le fonti vogliono che il loro punto di vista si senta
forte e sempre c’è il rischio di fare qualcosa di sbilanciato.
Di sbilanciato, alla fine, ci può essere solo l’entusiasmo della professione, da vivere oggi con
spirito di documentarista e ricercatore e velocità di comprensione incredibile.
Ma è l’unica licenza poetica.
Il motto del giornalista, oggi, potrebbe essere quel Festina
Lente (affrettati lentamente) che fece le fortune della tipografia Manuzio.
E l’esempio di San Francesco di Sales
deve sempre ricordare che no, l’audience non è un necessario punto di partenza.
È un punto di arrivo.
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