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mercoledì 28 ottobre 2020

Come leggere il prossimo concistoro di Papa Francesco?


Parlando del libro di Marco Mancini Usque ad sanguinis effusionem (Edizioni Tau), ho sottolineato come i concistori per la creazione di nuovi cardinali sono un modo dei Papi di comunicarsi, di raccontare il loro modello di Chiesa. 
Come allora leggere il prossimo concistoro di Papa Francesco? 

Nel mio post in inglese su MondayVatican ho dato alcune chiavi di lettura, che ripropongo qui in italiano, in via eccezionale e leggermente ampliata rispetto all’edizione inglese. È una analisi generale, che non ha la pretesa di essere esaustiva, ma cerca di dare alcune chiavi di lettura del concistoro.

Con il concistoro del prossimo 28 novembre, Papa Francesco non solo avrà in un futuro conclave la maggioranza assoluta di cardinali da lui creati, ma avrà anche dato una sorta di completamento alla riforma di mentalità che da sempre si è proposto di attuare.

Se, infatti, Papa Francesco ha sorpreso ancora nello scegliere la provenienza geografica di alcuni dei nuovi porporati, molte delle scelte sono chiaramente – come è stato già in altri concistori – un modo per “rimediare” in qualche modo ad alcune situazioni. Sono segnali di un cambio di mentalità voluto e cercato dal Papa, che attraverso i concistori parla al passato, affronta questioni mai chiuse, e dice la sua, in maniera indiretta e diretta.

Per comprendere questo concistoro, si deve guardare prima di tutto ai numeri.

Papa Francesco ha espanso il numero di cardinali elettori a 128, otto sopra il limite di 120 fissato da Paolo VI e poi confermato da Giovanni Paolo II. Sarebbero stati 130, se il Cardinale Becciu avesse avuto ancora le prerogative per entrare in conclave, e 129 se il Cardinale Donald Wuerl non avesse compiuto 80 anni il prossimo 12 novembre, uscendo così dal novero dei Cardinali elettori.

Questa scelta risponde alla volontà del Papa di allargare la base elettorale. Si pensava lo avrebbe fatto attraverso una riforma strutturale. Lo ha fatto semplicemente nominando le persone, come ha fatto con tutte le altre riforme. Non c’è una base istituzionale-legale, ma semplicemente la legittima decisione del Papa.

Di questi 128 cardinali elettori, 73 sono quelli creati da Papa Francesco, quasi il doppio rispetto a quelli creati da Benedetto XVI, che sono 39. Restano ancora 16 cardinali elettori creati da San Giovanni Paolo II. Si tratta di una maggioranza schiacciante, che potrebbe avere un suo peso in un futuro conclave.

Si parla spesso del fatto che il Papa non prediliga le sedi cardinalizie, e preferisca sorprendere nelle scelte delle sedi. Questo può essere vero, se si considera che, ad oggi, in un futuro conclave non entrerebbero né Milano, né Venezia, né Parigi, e che invece entrerebbe l’arcivescovo di Siena, Paolo Lojuidice.

Non è vero, però, nei casi di altre importanti sedi residenziali. Papa Francesco non ha aspettato molto, ad esempio, a creare cardinale il nuovo arcivescovo di Santiago del Cile, Celestino Aos, che è nella lista delle 13 nuove berrette rosse al concistoro del 28 novembre. E tra i nuovi cardinali c’è anche Wilton Gregory, il nuovo arcivescovo di Wasghington. Così come il Papa non aspettò nel 2017 a creare cardinale l’arcivescovo Juan José Omella Omella, appena nominato a Barcellona, in una decisione che sembrava essere una risposta all’assetto della Conferenza Episcopale Spagnola, che aveva preferito invece rimanere su antiche posizioni.

Questo dimostra che il Papa non segue un criterio preciso, se non quello della fiducia personale o dell’idea che vuole perseguire.

Sarà Cardinale, ad esempio, il vescovo Mario Grech, segretario generale dei vescovi. Si è detto che la scelta è dovuta anche al fatto che il vescovo Grech, a Malta, fu l’estensore delle linee guida maltesi sull’Amoris Laetitia che aprivano in qualche modo alla comunione ai divorziati risposati.

Ma la scelta di crearlo cardinale può anche avere radici strutturali. L’idea del Papa è quella che la Segreteria generale del Sinodo abbia un ruolo importante nella riforma della Curia. Sembrava una idea accantonata a favore di una rinnovata centralità della Segreteria di Stato vaticana. Ora, invece, la Segreteria di Stato sembra di nuovo ai margini, e perderà anche l’autonomia negli investimenti, mentre non viene rappresentata nemmeno nella commissione cardinalizia dello IOR.

Diventerà cardinale anche il vescovo Marcello Semeraro, chiamato dal Papa a guidare la Congregazione per le Cause dei Santi per succedere al Cardinale Angelo Becciu. Il Papa, insomma, non ha problemi a creare cardinali membri della Curia romana, quando questo risponde ad un suo disegno.

Certo, il Papa guarda sempre ad un criterio di rappresentatività nella scelta delle nuove berrette rosse, come se il Conclave fosse una sorta di suffragio di tutta la Chiesa nella scelta del nuovo Papa. Si leggono così molte delle scelte a sorpresa dei precedenti concistori, e quelle di adesso. Così, l’Arcivescovo di Kigali Antoine Kambanda, primo porporato nella storia del Ruanda, ma anche Jose Fuerte Advincula, Arcivescovo di Capiz (Filippine), e Cornelius Sim, Vicario Apostolico del Brunei, che segue anche l’idea di nominare sempre un cardinale da una zona in cui il cattolicesimo è una minoranza. 

A guardare bene, cade anche l’idea che il Papa preferisca guardare fuori dall’Italia. Ci sono sei cardinali italiani tra i nuovi porporati, tre di loro sono ultraottantenni. Ma la presenza di ciascuno è un messaggio preciso.

L’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, scalabriniano, è uno dei nuovi cardinali non elettori, avendo appena compiuto gli 80 anni. Per lui sembra pronto il posto di delegato del Papa al Sovrano Militare Ordine di Malta, in sostituzione del Cardinale Becciu. Tomasi fu anche colui che guidò la commissione di inchiesta sull’Ordine di Malta, quando nacquero le controversie che portarono poi alle dimissioni – si richiesta del Papa – del Gran Maestro Matthew Festing.

Poi c’è la scelta di don Enrico Feroci, per anni direttore della Caritas di Roma, che ha servito per 40 anni. È un premio ad un sacerdote sempre in prima linea, vero. Ma alcuni ci leggono – non senza malizia, ma nonostante tutto con una punta di realismo – che scegliere don Feroci è anche uno schiaffo al Cardinale Camillo Ruini, che da vicario del Papa per la diocesi di Roma non lo aveva mai voluto vescovo. Il Cardinale Ruini, ora 89enne, ha ancora un peso nel dibattito culturale italiano, e in una intervista del 6 ottobre aveva notato che la Chiesa italiana era in declino e che criticare Papa Francesco non significa essergli contro. In un clima di veleni come quello che si è diffuso ora, queste parole possono aver fatto scattare una reazione.

Il terzo non elettore è Raniero Cantalamessa, famoso predicatore della Casa Pontificia, criticato per alcuni cambi di posizione recenti, ma che viene premiato anche per il suo lunghissimo servizio.

Per questi motivi si può parlare del pontificato di Papa Francesco come di un “pontificato di riparazione”, in cui molte scelte sembrano far notare le cose del passato che a Papa Francesco non piacciono.

Per esempio, il Papa aveva creato cardinale nel concistoro del 2015 Karl-Jozef Rauber, che era stato il nunzio che si era fortemente opposto alla nomina di André-Joseph Leonard come arcivescovo di Bruxelles, e nel farlo aveva anche concesso una intervista che sembrava una propaganda anti-Benedetto XVI. Si disse che fu lui a passare ai media una serie di insinuazione riguardanti il pontificato di Benedetto XVI.

Nel 2014, Papa Francesco aveva creato cardinale l’arcivescovo Gualtiero Bassetti di Perugia, al tempo vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, rendendo così i vertici della CEI sbilanciati. Il presidente di allora era il Cardinale Angelo Bagnasco, che ha una idea di Chiesa considerata lontana da quella di Papa Francesco. Bagnasco, che è oggi presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, sta promuovendo una linea di ritorno a Cristo, con una forte focalizzazione sulla preghiera e sull’Eucarestia, prima che sul sociale. Quando il Cardinale Bagnasco scadde nel suo incarico di presidente della CEI, fu sostituito proprio dal Cardinale Bassetti.

Nel concistoro del 5 ottobre 2019, Papa Francesco aveva creato cardinale l’arcivescovo Michael Fitzgerald, che nel 2006 era presidente del Pontificio Consiglio del Dialogo Interreligioso. Invece di essere creato cardinale, come si aspettava, fu inviato nunzio in Egitto, secondo Sandro Magister per le posizioni di apertura riguardo alcune istituzioni musulmane.

In quel concistoro del 2019, veniva creato cardinale anche Tolentino Mendonça, Prefetto della Biblioteca Vaticana. Non era una sorpresa, mentre era una sorpresa che Papa Francesco non avesse mai creato cardinale il suo predecessore alla Biblioteca Vaticana, l’arcivescovo Jean-Louis Brugues. Papa Francesco, però, aveva avuto qualche controversia con Brugues: quando questi era segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, si oppose alla nomina di Victor Fernandez come rettore dell’Università Cattolica di Buenos Aires, una nomina che invece era appoggiata dal cardinale Bergoglio – lo racconta anche Elisabetta Piqué nella sua biografia di Papa Francesco. Non a caso, una delle prime decisioni di Papa Francesco fu quella di elevare Fernandez alla carica di arcivescovo. Oggi Fernandez è ancora uno dei consulenti più ascoltati del Papa, ed arcivescovo di La Plata.

Non solo. Il prossimo concistoro vedrà cardinale il nuovo arcivescovo di Wasghingon, l’arcivescovo Gregory. Papa Francesco, passo dopo passo, sta cambiando il profilo dei porporati americani, scegliendo sempre meno “cultural warriors” e sempre più persone considerate “costruttori di ponti”. In questo modo, si sta ribaltando l’idea che aveva avuto San Giovanni Paolo II, che pure aveva avuto il tempo di cambiare fortemente l’episcopato americano. Si sta tornando, ora, alla tendenza degli anni Ottanta del secolo scorso

C’è poi la creazione a cardinale dell’arcivescovo Lojudice di Siena, che sembrava addirittura dovesse diventare vicario della diocesi di Roma. La sua creazione è stata letta anche come uno schiaffo al cardinale de Donatis, che si ritrova così il suo vecchio ausiliare nel collegio dei cardinali, e in un momento in cui il vicario del Papa per la diocesi di Roma sta scalando consensi tra i porporati, tanto che qualcuno lo mette anche nella lista dei papabili.

Sembra chiaro, dunque, l’intento del Papa di dare un profilo preciso alla Chiesa, e di lasciare una sua eredità particolare. Da qui, anche la decisione di creare cardinale padre Mauro Gambetti, custode (già emerito) del Sacro Convento di Assisi, a segnalare come l’idea francescana – ma nel senso di Papa Francesco – debba essere centrale nella Chiesa.

E che il Papa voglia dare una impronta precisa alla Chiesa è dato dal fatto che n sette diversi concistori – uno all’anno dal 2014 – ha creato complessivamente 101 cardinali, di cui 79 elettori al momento della loro creazione.

I profili di ciascuno di loro raccontano il tipo di volto che il Papa vuole per la Chiesa. Una Chiesa delle periferie, dialogante con il mondo, e che tagli anche i collegamenti con le situazioni del passato che il Papa considera fallimentari. È un cambio della mentalità del collegio cardinalizio, più che un mero cambiamento geografico.

Anche perché, la geografia è sì cambiata, ma non troppo. Con questo concistoro i cardinali italiani diventano 48, 22 elettori e 26 non elettori. Complessivamente gli europei con diritto di voto in conclave passano da 50 a 54.

I cardinali elettori del Nord America passano da 16 a 15 poiché il Cardinale Wuerl – Arcivescovo emerito di Washington – compirà 80 anni il mese prossimo, quelli del Sud America da 13 a 14.

Gli elettori asiatici diventano 16 rispetto ai 14 finora presenti nel Sacro Collegio. I cardinali con diritto di voto in conclave africani passano infine da 16 a 17.

Sembra che tutto è pronto, ormai, per il prossimo conclave, più che per una riforma della Curia.

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