Processo Palazzo di Londra

mercoledì 22 aprile 2020

Parlare di fede senza il fattore Dio? È politico, troppo politico...

Nel 2010, quando scoppiò lo scandalo delle case della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli date in affitto a prezzi concorrenziali ai politici, mi fu chiesto di scrivere un pamphlet, un instant book che mettesse in luce la vicenda. In un mese, buttai giù “Propaganda Fide R.E.”, uscito per i tipi del Saggiatore.

Come succede sempre per questo tipo di libri, o come dovrebbe succedere, si comincia con una idea e poi si arriva a comprendere che quella idea rappresenta solo una parte della storia, e neppure quella più vera. Molte delle cose che ho scritto allora, non le riscriverei allo stesso modo. E molte delle cose che ho visto in un modo in quel tempo, oggi, con un po’ di esperienza in più, le vedrei diversamente.

Il punto è che poi ci si ritrova stretti tra le richieste di un editore, e la necessità di fotografare una realtà che spesso non è come ce la immaginiamo.

Fu andando a fondo in quella vicenda che mi resi conto che tante accuse di corruzione non potevano configurarsi come corruzione perché non si potevano provare. Che si poteva raccontare un ambiente, si potevano raccontare delle amicizie e delle vie privilegiate, ma che davvero non si poteva considerare il tutto come generico male, perché le sfumature sono tante.

Provai dunque a raccontare una idea, una comunanza di intenti, un modo di muoversi, stando bene attento a non accusare nessuno, e usando quasi sempre fonti aperte per spiegare quello che volevo spiegare. Molte cose cambiarono nella mia testa,  mentre scrivevo il libro. Feci molti incontri, anche di persone che avevano pagato personalmente per la loro onestà e che però erano così oneste da spiegarmi che non dovevo essere accecato dalla giustizia e dal senso di vendetta, ma dovevo comprendere l’umanità di alcune situazioni.

Alla fine, maturai anche un giudizio sull’operato di Benedetto XVI, che andava sicuramente al di là di come veniva descritto. Fu in quel momento che compresi come le vicende umane delle persone che un grande uomo si porta vicino non sono ascrivibili a quel grande uomo. Ci vuole equilibrio. Si devono guardare i fatti. Scrissi un ultimo capitolo, che spiegava la ragione delle scelte di Benedetto XVI. Con tanti fatti che sconfessavano buona parte della vulgata sul Papa emerito. Fu la parte che Benny Lai, il mio mentore, apprezzò di più.

Ma fu anche la parte che fu meno apprezzata dai (pochi) recensori. Perché il libro doveva essere un mezzo per raccontare la corruzione nella Chiesa, e quell’ultimo capitolo, in fondo, allargava lo sguardo in un modo che metteva in crisi una intera narrativa. O veniva semplicemente ignorato, o veniva criticato.

Racconto tutto questo non per una voglia di autoaffermarmi, ma perché vedendo la puntata di Report “Dio, Patria, Famiglia S.pA.” mi è venuto in mente che la mia storia può essere in fondo la storia di ogni giornalista. Solo che non avviene sempre.

La puntata di Report è la classica storia a tesi. In pratica, si dice che c’è una destra sovranista mondiale che usa Dio e la religione come strumento politico, e che si nutre di settori  tradizionalisti cattolici che considerano il Papa un grande eretico e addirittura arrivano a dire che le eresie di Papa Francesco hanno provocato la pandemia. Il Papa, da loro, è considerato il leader della sinistra mondiale.

Tutta la puntata punta a fare una descrizione quasi caricaturale dei personaggi attaccati (da Steve Bannon al Benjamin Harnwell dell’Istituto Dignitatis Humanae, dal Cardinale Raymond Leo Burke all’ex ministro Matteo Salvini, fino a Giorgia Meloni e con l’inevitabile accenno ai populismi di destra impersonati, en passant, da  Viktor Orban e da Marion Le Pen). Il giornalista non manca mai di essere ironico o provocatore nel porre le domande, e le chiose del conduttore stanno tutte a voler confermare una tesi.

E però sono molte le cose da contestare nel merito, perché si concentrano su dettagli e ne fanno una regola universale. Invece, è sempre importante comprendere lo scenario, e guardare lo scenario globale.

Prima di tutto, riguardo l’uso di Dio a scopi politici. Che Dio (il fattore religioso in generale) venga usato a scopi politici non è  una novità. Ovvio che, per parlare ad un elettorato,  si utilizzino anche argomenti religiosi, e si strumentalizzino. È già successo e sempre succederà. Succede di più con i partiti di destra semplicemente perché quelli di sinistra, anche per una mentalità socialista o vetero-comunista, semplicemente non credono in Dio o lo considerano solo una questione privata. Piuttosto, credono nel popolo. Sono tanto populisti quanto i partiti di destra. La differenza è che i partiti di destra vogliono creare una identità di popolo, per quelli di sinistra il popolo è una identità. Ma lo scopo è lo stesso: prendere voti, arrivare al  potere.

Detto questo, parlare di “destra nazionalista sovranista”  è vago quanto parlare di sinistra mondiale. Tra l’altro, è un facile esercizio di etichettamento dell’altro, che  crea nemici senza aiutare a comprendere. Nel corso di questi anni, ci sono stati diversi politici cristiani che hanno raggiunto il potere, e l’accusa è sempre stata una: sono xenofobi, sono populisti, sono nazionalisti. È successo con Orban in Ungheria, ma successe anche con Timo Soini in Finlandia.

E però c’è una verità che in pochi vogliono affrontare. Se i politici parlano di Dio, o usano Dio, non è solo per fede. È perché ci sono persone che credono in Dio, che nella loro fede si identificano e che questa fede vogliono vedere rappresentata. La fede non è un fatto privato, e non lo è per nessuno. La fede presuppone un impegno per un certo tipo di società, ed è questo impegno che un elettore che ha fede vuole intercettare. E lo fa anche sapendo che magari il politico lo sta facendo per opportunismo, ma preferendo quello a un politico che rinnega  del tutto i valori in cui credono, o che marginalizza quei valori. Certo, il discorso spesso si incentra su dettagli, e non sulla globalità dell’essere umano, come vorrebbe la Dottrina Sociale. Ma, con la totale mancanza di risposte politiche globalmente cristiane, ogni credente va dove crede ci sia una priorità.

Il fatto è che c’è un popolo di credenti che deve in qualche modo essere messo a tacere. O deve essere ridicolizzato attraverso la ridicolizzazione dei loro leader. Perlomeno, è questo che si nota dagli articoli “a tesi”.

Ovviamente, le inchieste guardano anche ai soldi: da dove vengono, dove vanno, chi finanzia. Si mette in luce il crogiuolo di fondazioni che si impegnano per questo o per quell’obiettivo, dando loro a volte maggiore importanza di quella che hanno realmente. Ma il punto è un altro: ci sono fondazioni analoghe che portano avanti idee completamente opposte, dalla famigerata “Open Society Foundation” di George Soros fino a quelle di Ford e Rockfeller che hanno finanziato politiche abortiste. Alla fine, tutti portano avanti una tesi, e tutti lo fanno facendo lobbying, usando i soldi, cercando di essere presenti in società. Perché solo alcune sono considerate cattive? Perché non si parla anche delle altre, per completezza di informazine?

E si arriva qui al tema principale. Si accusa questo nuovo movimento sedicente cristiano di essere contro il Papa. E per farlo si prendono in considerazioni le opinioni personali di pochi che hanno detto, anche pubblicamente, che la pandemia nasce anche dal peccato dell’uomo e in particolare dalle eresie del Papa.

Vero, ci sono alcuni cattolici ultra tradizionalisti che lo hanno detto. Vero, c’è anche l’idea che malattie e catastrofi naturali sono castighi divini tutti da interpretare, un tema tra l’altro che si perde dalla notte dei tempi. Ed è vero, ci sono molti credenti che sono disposti a crederci acriticamente.

Ma basta questo a definire una serie di nemici del Papa, potentemente finanziati, che si legano poi alla destra sovranista europea?

I legami che si creano sono spesso legami di opportunità, le amicizie nascono sulla  base di una comunanza di intenti che non portano necessariamente agli stessi fini.

Per dire, si parla molto dell’adesione del Cardinale Burke al Dignitatis Humanae Institute che è sotto l’influenza di Steve Bannon, il potente ex consigliere di Trump che utilizza, lui sì, un certo scontento tradizionalista per ragioni politiche. Ma il Cardinale Burke si è dimesso dal Dignitatis Humanae Instititute proprio quando ha compreso che  Bannon stava usando l’istituto per fini politici.

In particolare, Bannon starebbe finanziando un film sulla omosessualità nella Chiesa, sulla base del libro “Sodoma” di Frederic Martel. E quel libro è un altro lavoro di propaganda politica, superfinanziato, fatto di pettegolezzi alcuni nemmeno provati, pieno di imprecisioni, tutto teso a puntare il dito contro una lobby gay in Vaticano, e allo stesso modo tacendo molto, a partire da chi era interessato alla diffusione del libro stesso.

Inaccettabile per il Cardinale Burke, il quale, seppure critico di Papa Francesco, non ha mai puntato ad essere nemico del Papato. Perché, incredibile a dirsi, c’è un mondo che può anche considerare che il Papa faccia un sacco di errori, ma lo considera dal punto di vista personale, non mettendo mai in discussione il Papato.

Sono distinzioni troppo sottili, per chi deve portare avanti una tesi. Papa Francesco è sotto attacco come lo era stato Benedetto XVI prima di lui, Giovanni Paolo II prima ancora, e Paolo VI ancora prima. È sotto attacco come tutti i Papi. È sotto attacco in maniera visibile come lo sono stati tutti i Papi nella nuova era mediatica.

Certo, Papa Francesco ha un suo approccio molto pragmatico alle questioni e un modo di fare difficile da inquadrare nei normali schemi occidentali. Ma non c’è nemmeno l’interesse, per gli operatori dei  media, a guardare allo scenario globale, a comprendere le vere ragioni del Papa.

Succedono cose discutibili nel pontificato di Papa Francesco? Sì, succedono, come sono successe anche nei pontificati precedenti, ed è  anche bene farle notare. Ma farle notare non significa essere nemici del Papa. E il fatto che ci sia chi arrivi ad usare toni apocalittici non fa di tutti quelli che la pensano in un certo modo dei nemici del Papa.

Il problema, alla fine, resta sempre in due fattori.

Il primo è la narrativa: è più facile parlare creando nemici, e dividendo in una linea buoni o cattivi, e decidendo a priori chi siano i buoni e chi siano i cattivi.

Il secondo è che anche della fede si parla in modo politico. Ma il linguaggio politico è usato da tutti, sia dalla  “Sinistra Mondiale” che dalla “Destra sovranista”, categorie che si equivalgono a quelle di tradizionalisti e progressisti e che fanno sorridere solo a nominarle, tanta è la loro vaghezza.

Resta, sullo sfondo, un pontificato che dovremmo cercare di capire, e che invece continuiamo a leggere con categorie politiche. Restano, sullo sfondo, le domande vere.

Perché le persone continuano a credere in alcuni valori, nonostante  la straordinaria campagna contro questi valori portata avanti da tutti i media? Perché di Papa Francesco piace solo il messaggio pragmatico e politico, mentre le dimensioni di fede vengono strumentalizzate esse stesse? Non dobbiamo illuderci, ma anche la straordinaria preghiera urbi et orbi del 27 marzo in una piazza San Pietro vuota viene esaltata proprio perché espressione di una fede che, in fondo, resta chiusa in casa, e nel personale. Una fede che non va a cambiare la cultura e la società. È  davvero questo quello che si vuole?  

Alla fine, Report ha perso di vista il fattore Dio. O, meglio, lo ha volutamente ignorato. Come fanno tutti. Come viene fatto sempre. Ma senza quel fattore non si comprendono le sfumature, né si capisce come alcune esagerazioni siano, appunto, solo esagerazioni.  Non è dai dettagli che si comprende il mondo. È quando si riesce a guardare tutto dall’alto.

Forse è il tempo di chiedere una informazione più onesta. È onesto non nascondere il proprio punto di vista. Ma ci vogliono meno tesi, più fatti ed analisi. E magari, dato che internet  dà la possibilità, sarebbe bene mettere online i video integrali delle interviste, e non solo i pezzi tagliati secondo la tesi. Sarebbe onesto mandare in onda il pezzo tagliato secondo le esigenze di script e fornire come documentazione, pubblica e consultabile, tutto il girato. Vale per Report, ma potrebbe valere per tutti i mezzi di comunicazione.

E forse è tempo davvero di mettersi a guardare la Chiesa con umiltà epistemologica e senza malizia. Ci sono, è  vero, commistioni e situazioni borderline. Ma c’è anche una Chiesa viva che si raduna intorno all’Eucarestia, e che da questa Eucarestia vuole creare una nuova civiltà. Sono queste le intenzioni primarie dell’essere cristiano.

In fondo, Cristo ha detto di “Dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è Dio”.

I report giornalistici dovrebbero cominciare a fare questa distinzione. Mentre gli uomini di Chiesa dovrebbero a volte ricordare di “essere nel mondo, ma non del mondo”. Perché spesso gli errori sono frutto di superficialità, più che di malafede, e le esagerazioni verbali frutto di preoccupazione più che di cattiveria. Chi frequenta il Vaticano e gli ambienti di Chiesa, lo sa. Altrimenti, c’è il pregiudizio e la lettura politica. Ma non c’è la realtà.


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