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mercoledì 1 gennaio 2020

Comunicazione vaticana, cinque trend per il 2020. E cinque antidoti


La comunicazione di e sul Vaticano sta profondamente trasformandosi. Non tanto, e non solo, perché l’elezione di Papa Francesco è stata marcata dall’idea di un “cambio di narrativa”, ma anche perché sono profondamente cambiati i mezzi a disposizione.


 Non si tratta di una novità sostanziale. Già al tempo di Benedetto XVI, ci aveva pensato un blog, il “Papa Ratzinger Blog”, a fungere da rassegna stampa e commento dei vari articoli che criticavano l’operato di Benedetto XVI, ma anche a pubblicare dossier, ripercorrere le tracce di quello che era stato il pontificato. Un lavoro para istituzionale, fatto soprattutto per un amore particolare di Benedetto XVI.  Un lavoro fatto per supportare la comunicazione istituzionale, che sembrava in affanno rispetto ai tanti attacchi contro Benedetto XVI.

Con Papa Francesco, si è verificato il fenomeno inverso: forte attenzione da parte della stampa secolare, mentre sono proliferati diversi blog critici contro il Papa. Non ci sono blog monotematici pro o contro il pontificato di Papa Francesco, ma ci sono soprattutto luoghi in cui la critica sull’operato di Papa Francesco si sviluppa in maniera più sistematica.

L’era di internet non ha cambiato la sostanza del mondo. Basti ricordare che l’Humanae Vitae di Paolo VI fu soggetta di una forte campagna stampa che si fece forza anche su bozze di documento e pareri diffusi sottobanco alla stampa internazionale (oggi li chiameremmo leaks).

Di Giovanni Paolo II ricordiamo solo gli ultimi anni, quelli drammatici della malattia, in cui il mondo lo esaltava. Erano anche gli anni del post-Cortina di Ferro, quando la figura del Papa si stagliava come un gigante che aveva consentito di superare il mondo a blocchi. Eppure, non mancava il dissenso interno, che veniva portato avanti anche attraverso i media.

E infatti, nel 1990, la Congregazione della Dottrina della Fede emana una istruzione, la Donum Veritatis,  sulla “Vocazione ecclesiale del Teologo”, in cui si legge che il teologo che non si senta in linea con il magistero non deve mai far venire meno “un atteggiamento di fondo di disponibilità ad accogliere lealmente l’insegnamento del magistero”, si sforzerà di “comprendere questo insegnamento nel suo contenuto, nelle sue ragioni e nei suoi motivi”, e se “malgrado tale sforzo, le difficoltà persistono”, il teologo è chiamato a “far conoscere alle autorità magisteriali i problemi suscitati dall’insegnamento in  se stesso”, in uno “spirito evangelico, con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà”.

Ma – ammoniva l'istruzione – “in questi casi il teologo eviterà di ricorrere ai «mass-media» invece di rivolgersi all’autorità responsabile, perché non è esercitando in tal modo una pressione sull’opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità”.

Se questo veniva scritto, era perché succedeva. E un altro tema fondamentale era dato dall’influenza di “una opinione pubblica artificiosamente orientata e dei suoi conformismi”, perché  “sovente i modelli sociali diffusi dai «mass-media» tendono ad assumere un valore normativo; si diffonde in particolare il convincimento che la Chiesa non dovrebbe pronunciarsi che sui problemi ritenuti importanti dall’opinione pubblica e nel senso che a questa conviene. Il Magistero, per esempio, potrebbe intervenire nelle questioni economiche e sociali, ma dovrebbe lasciare al giudizio individuale quelle che riguardano la morale coniugale e familiare”.

In questa frase, c’è una chiave di lettura essenziale per comprendere l’oggi. Mentre si parla sempre più di discernimento sui temi che riguardano la morale coniugale e familiare (basti pensare al dibattito suscitato dall’esortazione apostolica Amoris Laetitia), il pontificato è molto apprezzato per una rinnovata enfasi data alle questioni economiche e sociali. Una enfasi, tra l’altro, che viene usata per andare a confermare dei punti di vista, mentre la Santa Sede viene strumentalmente invocata come soggetto terzo. Nasce da qui il mito del “Papa comunista” e poi tutta la contro-propaganda che vuole sfatare il mito, che in fondo serve solo a normalizzare alcune posizioni.

Queste le premesse generali. Cerchiamo di comprendere, piuttosto, i cinque trend della comunicazione vaticana del futuro, che toccano anche la comunicazione di e sul Vaticano. Diciamo, in questo anno che viene, perché una previsione sul decennio sembra molto azzardata, considerando la velocità in cui cambia il panorama dell’informazione.

Trend 1. Comunicazione sul Vaticano sempre più polarizzata

Lo scorso anno è stato caratterizzato dal dibattito che ha fatto seguito alla “testimonianza” dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, la questione degli abusi in Cile e nella Chiesa cattolica in generale, e poi il recente cosiddetto “scandalo finanziario”, con la sospensione di cinque officiali vaticani e una decisa virata di Papa Francesco sul tema delle riforme. In più, c’è stata la questione del Sinodo dell’Amazzonia, con tutto il dibattito che ne è conseguito, in particolare sui rituali amazzonici e la cosiddetta pachamama.

In tutti questi casi, ci si è divisi in due fazioni molto precise, con linee molto critiche o molto difensive del Pontificato. È una tendenza che continuerà a crescere. Per vari motivi.

Un motivo – forse il principale-  è che ogni notizia viene amplificata a dismisura dai moltissimi media e canali, e dunque ogni dibattito viene amplificato. Questa amplificazione crea un “rumore” nell’informazione, nel quale è difficile orientarsi. Anche il lettore / utente non ha gli strumenti, né la pazienza per comprendere le sfumature, specie se sono caratterizzate da tanto rumore. Dunque, preferisce andare su media o organismi dove c’è una direzione precisa.

In pratica, il lettore decide quale è la sua opinione e va lì dove la sua opinione è rafforzata. Ed è su questo che contano i media che, per stare sul mercato, tendono ad enfatizzare ulteriormente la dialettica “amico – nemico”.

Trend 2. I commenti saranno sempre più delle analisi

Buona parte degli articoli di giornale sono in realtà commenti. Si divide il panorama dell’informazione tra notizie secche e notizie commentate, con le seconde ad avere una prevalenza sulle prime. Il fenomeno delle firme è proliferato con la diffusione di internet e dei blog (e infatti, i media più importanti hanno dei blog per le loro firme più note) e dunque conta più chi scrive l’articolo che l’articolo stesso e il medium dove l’articolo è pubblicato. Il medium, tra l’altro, conta più dell’articolo stesso, perché è il medium che già dà una indicazione di linea. Per fare un esempio, non leggo Repubblica se non voglio trovare alcune argomentazioni tipiche del mondo democratico di sinistra, non leggo il New York Times se non mi sento rappresentato dal liberalismo americano, non leggo la Suddeutsche Zeitung se non voglio essere rassicurato su una linea conservatrice rimasta intatta nei secoli dei secoli.

Questo fenomeno andrà a crescere. E lo farà anche e soprattutto per il mondo vaticano, considerando che è sempre più difficile trovare specialisti nel settore. Lo specialista, dunque, diventa una sorta di vate per il lettore, e può permettersi di indicare al rettore la “sacra via” dell’interpretazione, che il lettore prenderà acriticamente.

Anche questo è un fenomeno che riguarda il mercato. I media hanno bisogno di click e di passaggi sulla pubblicità, perché il traballante mondo dell’informazione diventa sempre più difficilmente sostenibile dal punto di vista economico. Così, la scorciatoia è quella di includere commenti, sempre più forti e sempre più schierati. Perché così la gente cliccherà. Ed è un dato con cui fare i conti.

Trend 3. La comunicazione vaticana sempre più centrata sui gesti del Papa

Si assiste ad una comunicazione vaticana sempre più centrata sulla figura del Pontefice regnante. Papa Francesco, nel suo discorso di auguri alla Curia, ha sottolineato la necessità di una convergenza multimediale. La questione da comprendere è se questa convergenza multimediale vada a favore o a discapito della Chiesa.

La comunicazione vaticana ha un brand, ed è il Papa. Papa Francesco è un Papa particolarmente utile alla comunicazione (mi si passi il termine utile) perché lavora sui gesti e sulle frasi ad effetto. Così, anche le scelte, giuste o sbagliate che siano, vengono portate avanti con gesti e frasi ad effetto che personalizzano ogni cosa, accentrano, e giocoforza creano simpatie o antipatie. Ma funzionano proprio perché creano simpatie e antipatie.

Il dubbio che viene è se portare avanti questo modello di comunicazione vada a favore della Chiesa. Dopo gli anni di San Giovanni Paolo II, e particolarmente gli ultimi caratterizzati da un totale accentramento sulla figura del Santo Padre, ci sono voluti quasi otto anni per tornare al senso del messaggio piuttosto che al personaggio. E si è passati di mezzo ad un Papa, Benedetto XVI, che ci teneva alle parole più che alle immagini, che ha basato tutte le sue catechesi sulla profondità, considerando ovvio che quando si è profondi è difficile essere visti in superficie.

Eppure, il trend è lì, e sembra inarrestabile. Si punterà ad una comunicazione efficace, piuttosto che ad una comunicazione concreta. Ad una comunicazione che passi sui media secolari anche quando si tratta di fare accordi con i media secolari o quando si tratta di riprenderli, come è successo.

Due esempi: l’intervista al segretario generale delle Nazioni Unite, fatta da Vatican News in collaborazione con La Stampa; e l’intervista del Sole 24 Ore al presidente dello IOR De Franssu, ripresa in tutte le lingue dai media vaticani. Se deve essere comunicazione istituzionale, deve passare dall’istituzione.

Sembra come se la Santa Sede voglia sempre più essere ancella dei poteri secolari, in una sorta di patto, piuttosto che andare a produrre contenuti. Perché, in fondo, non ha potuto Vatican News intervistare direttamente De Franssu o fare un approfondimento mostrando tutti i punti di vista in campo? E perché l’intervista a Guterres doveva essere fatta in collaborazione con La Stampa quando il segretario generale delle Nazioni Unite non solo andava a visitare il Papa, ma si prevedeva anche un video messaggio da parte dei due leader filmato dai media vaticani?

Tutto nasce da un “peccato originale” di fondo: la comunicazione vaticana centrata sul leader ha anche in sé l’idea di collaborare il più possibile con tutti perché l’immagine del leader sia diffusa. Si dirà che si tratta di costruire ponti. La domanda è se questo trend non vada a detrimento della comunicazione vaticana stessa, e in particolare a detrimento della stessa Santa Sede.  

Trend 4. Il sempre maggiore impatto dei blog sui media tradizionali

Come detto, il formato del blog è ormai parte del sistema di informazione. E, seguendo il trend della polarizzazione e dei commenti più importanti delle notizie (vedi sopra), i blog hanno un impatto sempre maggiore. Sta finendo il tempo delle testate giornalistiche, comincia il tempo dei media liberi. Sta finendo quel tempo proprio perché le testate giornalistiche hanno rinunciato a quel lavoro di sintesi e di analisi che ne faceva gli intermediari tra la notizia e il lettore.

Le notizie, oggi, non hanno bisogno di intermediari. Viaggiano e basta. Chiunque può dare una notizia. Non tutti sono giornalisti. Il giornalista è dunque chiamato ad analizzare la notizia, a spiegarla. Il vecchio modello anglosassone prevedrebbe che il giornalista non avesse una opinione, ma cercasse esperti. Anche quello è un modello fallimentare. Gli esperti hanno una opinione, la stessa scelta degli esperti racconta qualcosa. A quel punto, è meglio che il giornalista sia preparato, abbia una visione del mondo e una specializzazione.

Per un giornalista, oggi, serve essere veloce, approfondito, esperto sui temi i ncui scrive. Tre caratteristiche difficili da trovare in tutti, e tra l’altro costose. Si cercano le scorciatoie, e tutti si occupano di qualunque cosa pur di portare a casa un prodotto che crei qualche profitto.

Questo favorisce in qualche modo il proliferare dei blog. I blog danno opinioni veloci, sono a volte usa e getta, a volte hanno alta qualità, altre volte meno, ma in fondo vanno a sostituire il ruolo che avevano una volta i giornali di opinione. L’ascesa del blog ha un po’ a che fare con l’ascesa del populismo.

Tutti pensano di avere soluzioni politiche, così come tutti possono essere giornalisti. È la democrazia della cultura, che va ormai per la maggiore e che riguarda un po’ tutti i campi. E viene da pensare a quello che scrisse Isaac Asimov, su Newsweek, nel 1980. Parliamo di 40 anni fa, eppure è un tema sempre attuale.

Scriveva Asimov:

“C'è un culto dell'ignoranza negli Stati Uniti, e c'è sempre stato. Una vena di anti-intellettualismo si è insinuata nei gangli vitali della nostra politica e cultura, alimentata dalla falsa nozione che democrazia significhi "la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza".

Ecco, sembra che anche i media si siano arresi a questo punto di vista. Perché è un punto di vista in cui comunque si riconoscono tutti. Il trend sarà quello di media sempre più urlati, quasi come blog, e di blog approfonditi, ma fatti di commenti, e non di analisi.

Trend numero 5 La de-istituzionalizzazione

Si va sempre più verso una de-istituzionalizzazione. È un processo inesorabile, che ha riguardato prima di tutto la cultura, e che ora sta riguardando le istituzioni in generale e anche i media.

Sempre in Newsweek, Asimov scriveva:

Abbiamo anche una nuova parola d'ordine per indicare chi ammiri la competenza, la conoscenza, l'apprendimento e l'abilità, o che voglia diffonderli. Persone di quel tipo sono chiamate ‘elitisti’. Questa è una delle più divertenti parole d'ordine mai inventate, perché quelli che non sono membri dell'élite intellettuale non sanno cosa sia un "elitista" né sanno come pronunciare tale parola. Appena qualcuno grida "elitista!" diventa immediatamente chiaro che lui o lei è un elitista mascherato, che si sente in colpa per essere andato a scuola”.

È il tema di tutti i populismi, che viene ripreso anche dai media. Ed è un tema molto forte anche in Papa Francesco. Papa Francesco non è un Papa contro la dottrina, come molti vogliono credere. È piuttosto un Papa anti-istituzionale.

Il tema dell’elitismo di Papa Francesco era ben presente nel botta e risposta con gli studenti all’Università di Roma Tre il 17 febbraio 2017, quando ha puntato il dito contro le “università di élite, che sono generalmente le cosiddette università ideologiche”, che “insegnano questa linea soltanto di pensiero, questa linea ideologica e ti preparano per fare un agente di questa ideologia”. Parole che, in fondo, riprendevano una critica comune al mondo universitario, ma che di fatto non stanno a descrivere la realtà delle università di élite, università dove l’istruzione è superiore.

Nel discorso finale al Sinodo sull’Amazzonia, il 26 ottobre 2019, Papa Francesco ha poi sottolineato che “non siamo un gruppo di cristiani di élite”.

Sono temi ben presenti nel dibattito, non solo da parte di Papa Francesco, e che identificano le élite, appunto, in senso classista, come se ci fosse una classe di cittadini che si sente superiore. Se questo è il ragionamento, allora anche le istituzioni sono da considerare una élite pericolosa, sganciata dalla realtà, e dunque da bypassare.

Questa mancanza di istituzionalità è un tema comune, che andrà a pervadere tutti i media. Già i blog stanno avendo sempre più peso (vedi punto 4), a poco a poco non ci sarà più alcun peso istituzionale.

Colpisce che i media entrino in questo dibattito da un punto di vista di élite visto proprio nel senso della lotta di classe. Sono i media che decidono chi sono coloro che influenzeranno il sistema, i media che decidono le nuove élite populiste. Resta difficile pensare una Greta Thunberg senza una diffusione capillare del suo messaggio sui media, così come una Diletta Leotta (e mi si perdoni il paragone) senza andare a vedere come tutti vadano a riprendere ogni cosa che fa.

La comunicazione vaticana non sarà da meno. Ci sarà sempre più l’idea di una Chiesa fatta per la gente, una Chiesa popolare, una Chiesa più umana e meno divina perché così le persone potranno riconoscervisi. Non è un caso che le accuse alla Chiesa del passato erano quelle di essere rinchiusa nelle corti, di essere sganciate dalla gente, di essere “aristocratiche” nel senso peggiore del termine.

Accuse false, se si va a vedere la storia. Accuse mosse da tutte le rivoluzioni democratiche dell’ultimo secolo a quanti sono al potere con il semplice scopo di andare a rimpiazzare le élite con altre élite. Ma accuse che continuano ad essere considerate e diffuse.

Gli antidoti

Ci sono degli antidoti a questi trends?

Ci sono, ma ci vuole molto coraggio. Mi riferirò solo alla comunicazione vaticana e sul Vaticano, che è quella di cui mi occupo.

Antidoto numero 1: la cultura come servizio

C’è, prima di tutto, bisogno di un giornalismo che non punti alla singola notizia, ma all’analisi, allo studio, all’approfondimento. Un giornalismo di nuovo tipo, ma che mantenga il senso della professione. Tutti possono scrivere una notizia, ma non tutti sono giornalisti. Tutti possono parlare di Vaticano, ma non tutti sono vaticanisti. E si deve essere consapevoli che non si tratta di formare una élite nel senso classista del termine. È che essere élite, avere un certo tipo di cultura, è quello che è richiesto ai giornalisti per svolgere la professione. Perché il giornalista deve essere il mediatore tra la notizia e le persone e deve dare alle persone strumenti di analisi. La cultura è un servizio, non uno strumento di potere.

Antidoto numero 2: meno commenti, più analisi

Il punto è che si devono dare tutti gli strumenti possibili per farsi una opinione, senza però necessariamente dover commentare quello che è successo. È un discrimine difficile, ma il vero obiettivo oggi è l’analisi. L’analisi è democratica perché parte da un punto di vista e lo ammette, ma poi lo argomenta e tiene in considerazione tutti gli altri punti di vista. Ragiona secondo il paradigma popperiano delle “Congetture e falsificazioni”: cerca tutto ciò che non conferma una tesi, piuttosto che tutto ciò che lo conferma, e poi ovviamente dà una sintesi. È la via lunga, ma dà profitto.

Antidoto numero 3: evitare la personalizzazione

In un mondo sempre più populista, la personalizzazione delle azioni e l’accentramento del focus sui leader è un tema principale. Tutto si basa sull’immagine pubblica, e più questa immagine rispecchia quella dell’uomo comune, più la gente vi si riconosce. Più la gente vi si riconosce, più cerca quelle informazioni. È il principio di Juan Domingo Peron, che va con i descamisados, e – togliendosi la camicia – non mostra di essere uguale a loro, ma di farsi uguale a loro, rimanendo però il loro leader.

Come evitare questa logica? Relativizzando l’immagine del leader, contestualizzando ogni cosa storicamente, evitando l’agiografia che a volte rischia di tradursi in corto circuiti comunicativi particolari. Come quando si è paragonato il gesto di Papa Francesco di inginocchiarsi davanti ai leader del Sud Sudan a quello di Paolo VI davanti a Melitone: sono due cose diverse, con due contesti diversi e due significati diversi. Non si possono comparare. Il rischio è quello di non fare un buon servizio alla verità. Meglio, invece, raccontare le ragioni del gesto, identificandone pro e contro.

Antidoto numero 4: separare le istituzioni dalle persone

È facile identificare una istituzione come “marcia” perché le persone che la compongono sono corrotte o hanno compiuto atti illegali. Più difficile distinguere l’istituzione dalle persone, evitando di gettare, come si dice, il bambino con l’acqua sporca. Questa stagione della Chiesa ha visto la stessa istituzione messa sotto attacco per via degli scandali della pedofilia o per i presunti errori finanziari.

Ma l’istituzione è una cosa che va separata dalle persone, così come lo sono le procedure. Queste ultime, sono sempre perfettibile. Una falla nelle procedure, però, non giustifica un giudizio negativo sulla intera istituzione. Si deve guardare una istituzione nella sua storicità. L’istituzione è servizio, e questo vale soprattutto per la Chiesa. Il problema è quando l’istituzione non viene considerata come servizio. Ma è un problema delle persone, e come tale deve essere raccontato.

Purtroppo, è la stessa istituzione che a volte subisce il fascino degli attacchi contro di essa, con una forma di “Sindrome di Stoccolma”. Ma questo porta l’istituzione a uccidere se stessa, a prendere provvedimenti che vanno oltre le necessità e che addirittura non vanno a rispondere alle necessità, ma minano la stessa istituzione dall’interno. Un esempio è quello dell’abolizione del segreto pontificio sulle questioni di abuso. Davvero l’abolizione del segreto pontificio era necessaria? Senza entrare nei dettagli tecnici, l’ultima decisione dà l’idea che il segreto pontificio fosse un principio per la copertura dei casi di abuso, mentre in realtà era semplicemente un principio organizzativo, per garantire indipendenza e correttezza delle decisioni. Nessuno lo ha spiegato. Nemmeno dalla comunicazione istituzionale della Santa Sede.

Antidoto numero 5: festina lente

Uno dei motti preferiti da Italo Calvino era “Festina Lente”, il motto delle tipografie Manuzio. Vale a dire: affrettati lentamente. C’è bisogno di andare oltre la necessità di pubblicare subito, per pubblicare subito e bene. Ci vuole maggiore approfondimento in tutti gli articoli, che non possono più essere solo notizie, ma devono fornire un background. Solo se riuscirà a fare questo, il giornalista (e in particolare il giornalista che si occupa di Vaticano) sarà in grado di proiettarsi verso un nuovo tipo di giornalismo.

Per ora, ci sono o le notizie veloci o le notizie date con toni enfatici, mentre manca appunto la capacità di fermarsi, guardare alle situazioni e poi dare un punto di vista. Ci vuole grande umiltà epistemologica per questo. E non è facile.

2 commenti:

  1. Da quello che si percepisce in questo inizio anno sembra che la polarizzazione sia destinata ad aumentare , sia nei riguardi della comunicazione in sè - ormai ridotta all'analisi dei gesti/discorsi estemporanei del papa - sia come chiave di lettura all'interno di "fazioni" pro o contro sempre più definite. L'utilizzo del blog in modalità di commento anzichè di analisi rifletterebbe secondo i critici la necessità di bucare la 'cortina di ferro' posta intorno al pontificato. Ovviamente è una facoltà riservata a poche firme importanti che evidentemente possono essere tollerate (come nei regimi direbbero i maligni) anche se gli stessi ne pagano le conseguenze (es. Valli trasferito di peso allo sport che si arma di santa pazienza e continua con altri mezzi la sua testimonianza personale) Si tratta però di esempi molto limitati se riferiti allo strumento utilizzato. Anni fa il blog era invece molto popolare perchè tutto il contesto era aperto alla discussione e determinate tematiche potevano essere trattate anche dai non addetti ai lavori. Anche quando la polarizzazione diventava dominante non era raro trovare nel blog una vera e propria rassegna parallela come nel caso citato di Raffaella. Era appunto questa consonanza singolare - ma non casuale - tra papato e semplici fedeli che rendeva possibile tutto questo. Cosa ancor più singolare se si pensa che la maggior parte delle iniziative culturali cadevano nella sostanziale indifferenza dell'episcopato o finivano per tradursi in iniziative di senso opposto. Basti pensare al 'Cortile dei Gentili' nato per avvicinare i non credenti e divenuto passerella glamour dell'ateismo vip.

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