Il caso del libro del Cardinale Sarah sul celibato, che includeva un contributo di Benedetto XVI,
rappresenta forse il caso scuola di
quello che è diventata la comunicazione sul Vaticano, e la comunicazione in
generale. Un caso che in fondo rispecchia uno dei trend che avevamo
previsto per il 2020: quello della polarizzazione e dell’uso
di categorie politiche per comprendere la Chiesa.
Riassumiamo i fatti. Lunedì, il giornale francese Le Figaro anticipa degli estratti di un libro
“Dal profondo dei nostri cuori”, che figura come scritto da Benedetto XVI e dal Cardinale Robert Sarah,
prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti. Il libro difende il celibato sacerdotale, ed ha un contributo
inedito che Benedetto XVI ha consegnato
al Cardinale Sarah dandogli piena libertà di utilizzarlo. L’editore ha
presentato in copertina il Cardinale
Sarah e il Papa emerito come co-autori.
Ovvia strategia di marketing, perché un contributo del Papa emerito è sempre un contributo da
valorizzare. Già Joseph Ratzinger, da teologo, muoveva milioni di copie, figuriamoci
ora che è Papa emerito e che i suoi
scritti inediti sono preziosi.
Il libro, ovviamente, crea discussione. Ma non si discute dei temi del libro. Si discute solo sull’opportunità di Benedetto XVI di
prendere una posizione, di parlare. Specialmente in questo momento. Specialmente ora che Papa Francesco sta per
pubblicare l’esortazione post-sinodale del Sinodo Speciale sulla Regione
Panamazzonica, in cui – tutti ne sono convinti – ci sarà una sostanziale
apertura sui preti sposati, almeno in determinate circostanze.
Dunque, la posizione
di Benedetto XVI è considerata e letta come una posizione politica, in
contrapposizione con Papa Francesco.
Poi, viene salvato Benedetto XVI e viene
attaccato il Cardinale Sarah, colpevole di aver strumentalizzato un testo
di Benedetto. Si arrivano persino a lanciare dubbi sul fatto che Benedetto XVI
sia realmente autore del testo (lo
scrive Gerald O’Connell su America),
citando fonti dell’entourage del Papa che sottolineano come il Papa emerito sia
troppo stanco per scrivere e anche le conversazioni non possono durare più di
15 minuti.
A quel punto, il Cardinale
Sarah si difende dalle accuse di manipolazione e pubblica le foto delle lettere
di Benedetto XVI, che lo autorizzavano alla pubblicazione dei testi. Il
giorno dopo, l’arcivescovo Georg
Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare del Papa
emerito, fa sapere che Benedetto XVI non
doveva figurare come co-autore, e che non sapeva che sarebbe stato
presentato come tale, e dunque chiede alla casa editrice di toglierne il nome
dalla copertina come co-autore. Il Cardinale
Sarah, di cui nemmeno Gaenswein ha
messo in dubbio la buona fede, comunica dunque che il libro avrà una nuova
copertina, e sarà presentato come libro
del Cardinale Sarah, con un contributo
di Benedetto XVI.
Questi i fatti per come sono noti. Non interessa qui stare a vedere chi abbia fatto cosa e perché. È piuttosto a colpire il mondo
della comunicazione che ruota intorno al Vaticano.
Prima di tutto, ci sono i “guardiani della rivoluzione”. Giornalisti e operatori dei media
che hanno deciso che quella di Papa Francesco è una rivoluzione epocale nella
Chiesa. Poco importa che, ad esempio, lo stesso Papa Francesco abbia sempre
difeso la norma del celibato sacerdotale. Sicuro, aprirà ai preti sposati.
Anzi, deve aprire ai preti sposati.
Ma il punto non è
questa interpretazione del pensiero di Papa Francesco e dei segni dei tempi.
È piuttosto nel fatto che chiunque abbia un pensiero diverso viene subito messo da parte, tacciato di oscurantismo,
chiuso in un angolo. E viene fatto velocemente, perché chi picchia subito
picchia due volte. È il principio del controllo
delle interpretazioni, che si applica quando si comunica per primi, e con
forza. Anche se poi i fatti smentiranno la prima interpretazione, sarà questa a
vincere. Non si vanno a vedere le argomentazioni, né si vanno a discutere le
argomentazioni. Si delegittimano le
persone.
Succede, e spesso, con il Papa emerito. Ogni volta – raramente tra l’altro – che Benedetto XVI ha un testo, una
dichiarazione, qualcosa di nuovo, subito viene fatto notare che il Papa emerito
aveva promesso di rimanere in silenzio, che non deve parlare, addirittura si è
arrivato a chiedere un provvedimento per il silenzio istituzionale del Papa emerito.
Sembra che, più che Benedetto
XVI, si voglia silenziare un intero pontificato. Vivere come se Benedetto
XVI non ci fosse mai stato. Come se la sua fosse solo una parentesi nella
storia della Chiesa. Una parentesi minacciosa, sembra, per le nuove sorti della
Chiesa.
Ma perché minacciosa? Perché il dibattito è così forte?
Perché la Chiesa
viene letta secondo categorie politiche. Ed è lì il problema fondamentale.
La Chiesa non è una questione di maggioranza e di opposizione, di progressisti
e di conservatori. Eppure, così viene dipinta. Basti pensare che, nello stesso
giorno in cui veniva fuori il caso del libro Ratzinger-Sarah, Presa
Diretta su Rai Tre dava un ritratto del pontificato tutto basato sul tema
della rivoluzione, di un Papa solo
contro gli oppositori che vuole cambiare la Chiesa.
A parte il fatto che l’opposizione al Papa non è una novità,
e giova ricordare che anche Benedetto
XVI subì attacchi tali che portarono Andrea Tornielli e Paolo Rodari a
scrivere il libro “Attacco a Ratzinger”, la domanda è un’altra: davvero la Chiesa è un organo che deve
cambiare? Davvero la Chiesa va
considerata secondo i parametri (secolari) del cambiamento e della riforma e
non secondo i parametri della fede, della teologia, del deposito della fede?
È questo uno dei grandi
temi di Benedetto XVI, che ha sempre evitato una lettura politica delle
cose. Se si vede con occhiali politici, l’intervento di Benedetto XVI è
facilmente assimilabile ad un attacco al pontificato, specialmente con
quell’attacco di Sant’Agostino, “Non
posso tacere”.
Le cose nella Chiesa, però, vanno viste da punti di vista molto più ampi e diversi. E vanno
conosciute le persone. Il fatto che Benedetto XVI scriva, e scriva
liberamente, è la prova che è veramente il Papa emerito. È la prova che lui non
si sente più in qualche modo vincolato al ministero petrino.
Lui scrive come il
professor Ratzinger, nemmeno come il Cardinale Ratzinger. Un professore che
ha il gusto dello studio e della provocazione, e che ha la abitudine di vivere
quello che crede e credere quello che vive, perché il tema della sua ricerca è la verità. La frase di
Sant’Agostino è una di quelle care a Benedetto XVI, che è proprio di
impostazione agostiniana. Il tema del
celibato è cruciale per il teologo Ratzinger, per vari motivi.
Soprattutto perché il teologo
Ratzinger vede tornare oggi prepotentemente sulla scena quella teologia anni
Settanta e post-conciliare che aveva ridotto la Chiesa ad una funzione, la
missione ad una agenzia pastorale, la verità ad un concetto relativo. Un punto
di vista che il pontificato di Giovanni
Paolo II e quello di Benedetto XVI avevano combattuto, cercando di
riportare tutto sul tema della verità della fede e sulla questione del deposito
della fede. Basti pensare all’enciclica Veritatis Splendor di San Giovanni Paolo
II, o al primo messaggio di Benedetto XVI sulla Giornata Mondiale della
Pace, Nella verità, la pace, che portava il tema della verità anche
in un contesto secolare come quello delle relazioni diplomatiche.
Da parte sua, il teologo
Ratzinger aveva combattuto quella visione teologica fondando e lavorando alla
rivista Communio e poi, già da
Papa, pubblicando i tre volumi sul “Gesù
di Nazareth” che andavano a rileggere i Vangeli alla luce della loro verità
storica, e non delle interpretazioni storiografiche.
In un tempo in cui il dibattito torna vivo, in un tempo in
cui la questione del celibato viene rimessa in discussione, non è logico che
uno studioso non cerchi di fare il punto della situazione? Tanto è vero che Benedetto XVI aveva già lavorato a degli appunti
quando il Cardinale Sarah gli ha chiesto un contributo. Tanto è vero che,
consapevole della fatica nel poter fare un lavoro sistematico, scriveva al Cardinale Sarah di avvertire
l’insufficienza del suo lavoro.
Ma tutto questo non è stato considerato nel dibattito. Come
non è stato considerato il profilo del Cardinale
Robert Sarah, perché viene sempre interpretato in categoria politica. Come
“il grande oppositore di Papa Francesco”, per esempio. Come un “ultra
conservatore”. Ma il Cardinale Sarah non
ha mai parlato contro il Papa, né ha mai cercato favori di carriera personale.
Porta avanti i suoi temi sulla fede, lancia allarmi sulla crisi di fede, e lo
fa da anni. Lo fa per un genuino amore della Chiesa, portando avanti un
percorso netto, che prescinde dai
pontificati. I suoi testi sono lì, sotto gli occhi di tutti. Perché non leggerli, e magari commentarli?
Ecco allora che una
lettura delle vicende vaticane secondo categorie politiche non permette di
guardare alla globalità delle vicende. Una lettura basata sul “qui ed ora”
non permette di comprendere la storia.
La comunicazione
su Papa Francesco è enfatizzata, viene presentato come un
rivoluzionario, addirittura il primo ad aver combattuto la pedofilia o ad aver
mostrato parole di vicinanza per le persone omosessuali. Anche lì, basterebbe
una ricerca su internet per rendersi conto che tutto, nella Chiesa, è presente da sempre, che niente è davvero nuovo, perché
tutto viene dal Vangelo. Cambiano, forse, gli approcci personali, anche il
modo di porsi con i media, il linguaggio utilizzato. Ma la Chiesa va vista in un contesto di millenni, e il lavoro degli
uomini di Chiesa va visto in una prospettiva teologica, sulla base della loro
vocazione.
Il problema è semmai quando
gli uomini di Chiesa assumono categorie politiche, parlano per categorie
politiche, e perdono di vista il Vangelo. Sono amatissimi dai media, ma non
raccontano la Chiesa. Mentre i media, per raccontare la Chiesa, dovrebbero comprenderne
il linguaggio, non applicarne un altro pretendendo che poi la Chiesa si adegui.
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