Processo Palazzo di Londra

lunedì 24 agosto 2020

La Chiesa Cattolica, la crisi di oggi e la necessità di ripensare il dialogo

Dante Alighieri lo spiegava chiaramente: “I posti più caldi all’Inferno sono riservati a coloro che nei momenti di grande crisi morale mantengono la loro neutralità”. E le parole del poeta sono un monito, oggi più che mai, in un mondo che davvero è in crisi, e da molto tempo ormai.

L’ultimo grande dibattito, in Italia, riguarda la decisione del governo di permettere la somministrazione della pillola abortiva Ru486 senza ospedalizzazione. È il via libera all’aborto fai-da-te, situazione paventata e messa in luce da anni e mai così attuale. I vescovi italiani hanno risposto, anche duramente, le agenzie riportano che la decisione del governo avrebbe superato “una sorta di linea rossa” tracciata dall’episcopato italiano sul limite massimo di tollerabilità.

 

Ma è già questa narrativa a lasciar comprendere il problema di fondo. C’è, davvero, per la Chiesa Cattolica, un limite massimo di tollerabilità all’aborto? La legge sull’aborto, in Italia, è considerata un male minore, ma non significa che non sia un male. Anzi. Il problema è che, nel concedere troppo sui temi del male minore, accettando situazioni di compromesso anche su principi che dovrebbero essere inderogabili, alla fine è facile perdere il controllo delle situazioni. In fondo, quando c’è già un po’ di male, non è difficile che ce ne sia molto. E gli effetti differenti possono anche essere sentiti molto poco.

 

Il problema vero è che su questo tema del dialogo si è giocato molto, e in maniera pericolosa. Ci può essere vero dialogo quando vengono rinnegati i propri principi? Il dialogo avviene tra due interlocutori con una precisa linea, una idea forte che poi viene messa in gioco. Il dialogo in cui uno dei due interlocutori fa un passo indietro è un dialogo in cui uno dei due non si mette in gioco. Lasciando via libera agli altri.

 

C’è stata sicuramente una cattiva interpretazione dell’idea del Concilio Vaticano II di dialogare con il mondo. Lo sapeva Paolo VI, che infatti poi spese gli ultimi dieci anni di pontificato a riaffermare le verità di fede, inaugurandoli con un Credo straordinario al termine dell’Anno della Fede da lui proclamato e con una enciclica, la Humanae Vitae, che in fondo andava a spiegare che no, sui principi la Chiesa non poteva fare passi indietro.

 

E lo sapeva Giovanni Paolo II, che non per niente a Loreto, nel 1985, inaugurò quella grande stagione della Chiesa italiana presente nel dibattito pubblico, a volte per alcuni troppo presente.

 

Ma troppo presente per cosa? Troppo presente perché in grado di stimolare un dibattito? Troppo presente perché in grado di ispirare le persone e persino i politici che si proclamavano cattolici? Troppo presente perché aveva un peso?

 

Il fatto è che la Chiesa Cattolica è diventata essa stessa vittima delle campagne di disinformazione. Convinti di non essere in grado di essere presenti nel mondo, i cattolici si sono fatti convincere di essere quelli arretrati, che necessitano un aggiornamento, che la devono smettere con tutte queste menate antimoderniste. Che poi, le cosiddette menate anti-moderniste si riducono, nel campo liturgico, alla Messa tradizionale, e nel campo socio-politico ai grandi temi della vita.


Incredibile a dirsi, ma non fa paura a nessuno un cattolico che parla di occuparsi del povero, che si prende cura del migrante, che si prende cura della casa comune. Ma fa paura se un cattolico difende la vita dal concepimento fino alla morte naturale, se un cattolico arriva ad affermare che la famiglia è composta da madre e padre, che le ideologie gender sono, appunto, solo ideologie, e non rispecchiano per niente la natura della famiglia umana.

 

Un cattolico che parla di tutte queste cose fa paura perché mette in discussione le stesse basi ideologiche del mondo che è stato costruito. Un mondo in cui i poveri vanno assistiti e i migranti accolti, ma soprattutto per dare una idea di umanità alla base di una società disumana che lascia alle persone il piacere edonistico per, in realtà, tenerle controllate.

 

Si sono convinti, i cristiani, che a non concedere nulla sui principi nei dibattiti si sarebbe rimasti soli ed isolati, e comunque si era sbagliati. E così hanno dimostrato di essere inconsapevoli della loro storia. Perché mentre si crea un pensiero unico che pretende di decidere la natura di un uomo e una donna, e lo fa in nome di una libertà che ideologicamente viene poi negata, i cattolici non ricordano che, in fondo, la Chiesa non ha mai imposto alcun pensiero.

 

La narrativa comune ci ha abituato a pensare che i principi morali della Chiesa sono obblighi, e che la Chiesa vuole che tutti nel mondo vivano secondo i propri principi. Ma il punto non è quello. La Chiesa propone un suo modello di vita e, soprattutto di fede. Spiega quali sono quelli che considera peccati e quali no. Fornisce un ideale di vita. Ma nessuno è costretto ad aderire a quell’ideale di vita. Come un sacerdote non è costretto ad essere sacerdote se vuole avere una famiglia, così nessuno è costretto ad essere cattolico se non condivide alcuni valori / precetti della fede. E, tra l’altro, come cattolico non verrebbe nemmeno condannato, semmai perdonato in confessione.

 

Il punto è che il cristianesimo costruisce civiltà e propone modelli di vita. Certo, si può obiettare che questo non sia sempre stato così, che la Chiesa si è macchiata di molti misfatti. Ma tutto deve essere contestualizzato nel tempo. La Chiesa aveva uno Stato in un tempo in cui essere parte di uno Stato significava aderire anche a certi principi, e questi principi andavano fatti rispettare. Si dovrebbe, però, andare a vedere il modo in cui questi stati erano amministrati per comprendere che molte delle accuse che vengono formulate sono false.

 

Di fronte a un cristianesimo che propone, abbiamo una società che impone. È stata imposta, prima di tutto, l’idea che tutto possa essere discutibile, ma questo solo al fine di imporre delle idee. Se tutto è discutibile, perché allora non possono esserlo le leggi che favoriscono l’aborto, l’ideologia gender, la dittatura dei diritti umani di seconda e terza generazione a volte stabiliti senza un consenso universale?

 

Eppure, di fronte alla sfida del dialogo, i cattolici hanno pensato sempre più di spostarsi dall’altra parte del dibattito, di andare incontro alle posizioni degli altri, dimenticandosi la bontà delle proprie.

 

Una trappola tipica del dibattito, dopo quella che vede la Chiesa tacciata di non stare al passo dei tempi, è quella di lamentarsi che in fondo la Chiesa Cattolica dà troppa enfasi ad alcuni temi, mentre ne trascura altri. Nello specifico, che i temi della vita, e della bioetica, vanno a discapito della cura dei poveri e della costruzione di società più giuste. È una costruzione falsa, per varie ragioni, ma soprattutto perché non si possono distinguere questi temi in base alle priorità. La dottrina sociale è un unicum, e nessuno lo può discutere. Ma si deve anche essere bravi a porre enfasi su tutti i temi, continuativamente, e questo richiede un lavoro che, in fondo, il mondo cattolico non è riuscito davvero a fare.

 

Oggi, ci si trova in Francia una legge sulla bioetica che arriva persino a discutere un "diritto al bambino" che porterebbe a consentire l’utero in affitto, mentre in Australia l’arcivescovo Fisher di Sydney ha osato mettere in discussione l’eticità della ricerca su un vaccino contro il coronavirus che utilizzava come base di partenza cellule di feti abortiti. Ha detto, fatto notare, e chiesto di far notare che ci sono 67 linee di ricerca sul vaccino, e dunque perché concentrarsi su quella che dà problemi etici? Ovviamente, è stato fatto dire al vescovo che è contro il vaccino, cosa che non ha mai detto. E il vescovo ha dovuto sottolineare di nuovo la sua posizione sulle pagine di The Weekly Catholic. Senza, tra l’altro, molta speranza di poter cambiare la narrativa.

 

È una Chiesa che, se non si mette in silenzio, viene messa in silenzio perché non ha la forza di parlare. Ed è una Chiesa che, quando parla, spesso usa il linguaggio del marketing, per adeguarsi e per cercare di farsi comprendere, e proprio per questo perde la forza del suo linguaggio, dei suoi temi, di quello che ha davvero da dire.


Per come la vedo io, il problema non è trovare nuovi linguaggi per la Chiesa. Serve piuttosto che la Chiesa conosca i suoi linguaggi. Che è cosa diversa. 


Anche perché c’è un mondo che fa le sue stesse battaglie, ed esiste. In Italia, basta citare semplicemente l’esperienza dell’ultimo Family Day (tra l’altro, non appoggiato formalmente dalla CEI) e le proteste contro il decreto anti-omofobia Zan-Scalfarotto, che hanno radunato moltissime persone. Ma ovunque, nel mondo, c’è una mobilitazione da non sottovalutare, che coinvolge persone diversissime unite da valori comuni.

 

Tutto questo, sembra sfuggire ai mezzi di comunicazione cattolici. O, meglio, non sfugge a quanti ne vogliono fare una bandiera ideologica, ma viene messo da parte da quanti non vogliono farne una barriera ideologica. Perché il vero problema è che i mezzi di comunicazione cattolici sono divisi, frammentati in polemiche su dettagli, e spesso incapaci di federarsi, di prendere il buono da ciascuno e portare avanti le battaglie congiuntamente.

 

Si fanno tante piccole battaglie, che sono anche lodevoli, e poi ci si concentra su critiche incrociate. Si fanno pochissime analisi, ma si preferisce il tono della polemica. Nella polemica, si sa, vince chi sa urlare più forte. E il mondo cattolico non ha davvero questa potenza di fuoco.

 

Ma ha la potenza di fuoco dei principi, della verità, dei grandi temi ed è questo che è sempre più venuto a mancare. Si è confusa l’idea del dialogo con la concessione su alcuni temi. Persino l’espressione “principi non negoziabili” è stata messa in discussione, come se la vita e l’umanità potessero essere in qualche modo negoziate.

 

La crisi del coronavirus ha messo in luce tutte queste problematiche. Ovunque, le decisioni dei governi hanno limitato la libertà religiosa, e in molti casi le religioni hanno avuto poco o nulla da dire, e quasi mai si sono appellate ai principi, necessari perché una legge provvisoria non si trasformi in arbitrio.

 

Ovunque, ad essere penalizzate sono state le scuole, e quasi sempre a fare le spese in tutto il sistema sono le scuole cattoliche. Non succede solo in Italia.

 

È diventato evidente, insomma, che, appena la situazione si è fatta critica, tutto un sistema di pensiero è stato messo in discussione. E solo allora la Chiesa ha riavviato un dibattito, ha protestato, si è fatta sentire. È successo timidamente in Italia, ma anche in Francia, in Australia, negli Stati Uniti.

 

In questa situazione, è facile che le religioni vengano sfruttate per fini politici. E questo succede sia in maniera “positiva” sia in maniera “negativa”, sia da parte dei populismi che da parte dei partiti.

 

Non è solo il fallimento delle religioni, abbandonate in nome di un fideismo generico che non fa male a nessuno. È il trionfo dello Stato etico, che vuole decidere ogni aspetto dei suoi cittadini, anche il pensiero – uno Stato etico cui si contrapponeva proprio il pensiero religioso, e in particolare, in Europa, il pensiero dei cattolici.

 

La verità è che sono rimasti molti attivisti ma pochi analisti, e che gli analisti vengono sempre meno ascoltati. Già nel 1968, Paolo VI sottolineava nella Populorum Progressio che “il mondo soffre per mancanza di pensiero”. È una denuncia estremamente attuale.

 

E così, la mancanza di pensiero porta a mettere in discussione la propria fede in nome del dialogo che però non è paritario, perché uno dei due si è messo volutamente da parte, in posizione di ascolto e recezione, e non di proposizione. Da Chiesa che propone a Chiesa che riceve: è stato questo il passaggio.

 

Ma servono intellettuali, analisti, che diano nerbo agli attivisti e sappiano costruire una nuova civiltà. Perché a questa civiltà, in questo momento, ci si può solo opporre. Non ci sono gli intellettuali per fare altroMa anche l’opposizione è cosa dura. Allora, nel dubbio di scomparire, si resta neutri nel dibattito. Questo, però, è un tempo di crisi. E Dante aveva davvero ragione.

 

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