In quelle parole, però, c’era una critica generale, che non si può spiegare in 4 minuti di video settimanale, ma che si può meglio argomentare in un articolo più lungo. Il punto è questo: nessuno sembra aver ricordato questo anniversario, come se ne dimenticano moltissimi, e perdendo il senso di ricordare gli anniversari si perde l’idea fondamentale di andare alle radici della nostra storia cristiana. Nella lettera di Pietro, si dice che siamo chiamati a “dare ragione della nostra speranza”. Dare ragione della nostra speranza significa anche conoscere la nostra storia, e non metterla da parte.
Centocinquanta anni fa, in una Roma appena invasa, mentre il Concilio Vaticano I si avviava ad essere sospeso a tempo indeterminato e formalmente concluso solo appena prima dell’apertura del Concilio Vaticano II, Pio IX continuava la sua opera di difesa della Chiesa. Noi, oggi, vediamo tutto distante, trascolorato. Eppure, dimenticare il clima di tensione che c’era al tempo è il primo passo per non comprendere alcune azioni della Chiesa.
Pio IX non esitò a chiamare quelle operazioni “un complotto contro la verità”. Ed effettivamente, tutta la storia della Chiesa, di quello che era stato fatto, era stato manipolato. Certo, c’erano stati episodi di corruzione, cattivo governo, errori nel definire delle situazioni, persino pene di morte. Ma era rimasto intatto il senso della Chiesa, il suo voler essere punto di riferimento per i cattolici di tutto il mondo.
È facile, oggi, andare a rileggere la storia con gli occhiali di oggi. Facile attaccare, per esempio, Pio IX per la storia della conversione dell’ebreo Edgardo Mortara. Più difficile comprendere che, per il sovrano pontefice, la conversione di un’anima era così importante da mettere a rischio l’intero suo regno. Oggi, non si direbbe più così, ma si deve pensare al modo di allora, comprendere quello che succedeva allora per avere una visione precisa delle cose.
Non è un caso che Pio X, di fronte ai moti di pensiero che sovvertono la storia della Chiesa, metta in campo una straordinaria lotta al modernismo. E va letta con la prospettiva di quei tempi anche la decisione di mettere all’indice Rosmini, poi prontamente rivalutato. Anzi, a vedere la storia, Rosmini era ben valutato anche in vita, perché Pio IX, nonostante due testi di Rosmini fossero all’indice, volle che lui fosse parte della commissione che lavorava al testo per definire il dogma dell’Immacolata Concezione. Il punto, in fondo, era persino diverso: al tempo quelle idee diventavano difficili da gestire di fronte a chi manipolava la verità, e la scelta era sempre primariamente quella di salvare le anime.
C’è poi la storia spirituale della Chiesa. Quella che non raccontiamo mai. Quella che conta davvero. In questa storia spirituale si è inserita la decisione di Pio IX di proclamare San Giuseppe Patrono della Chiesa. Era non solo un modo di fare voce ad una devozione popolare che era dello stesso Papa, e che si era straordinariamente diffusa nel corso dei secoli. Era, piuttosto, un modo di dare alla Chiesa una protezione sicura, una fede certa cui guardare. Non a caso, viene proclamato patrono della Chiesa l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione, dogma proclamato da Pio IX l’8 dicembre 1854. Perché fu Giuseppe a prendersi cura della famiglia di Nazareth. E c’era bisogno di San Giuseppe per prendersi cura della Chiesa.
La cosa interessante è che San Giuseppe fu proclamato patrono attraverso un decreto della Congregazione dei Riti, per sfuggire alla censura dello Stato Italiano che controllava ogni documento papale. Può sembrare assurdo, ma era così. Non c’era una alleanza tra trono ed altare. Il trono voleva prendere le competenze dell’altare, per tutto controllare.
Probabilmente, noi tutto questo lo abbiamo dimenticato. Lo dimentichiamo ogni volta che parliamo della libertà religiosa, fino a considerare accettabile che i governi decidano le restrizioni delle celebrazioni. Lo dovrebbe fare la Chiesa, in accordo con il governo. Il governo lo dovrebbe chiedere. E tutto questo perché la libertà conquistata va difesa, ad ogni costo. Sarebbe un tema forte di discussione, oggi, in tempo di pandemia e di restrizioni governative al culto, eppure è poco considerato.
Il problema, ancora più grande, è che oggi dimentichiamo anche i tempi più recenti. È il centenario della nascita di Giovanni Paolo II, e, a parte una bella iniziativa su ACI Stampa, di fatto in pochissimi hanno ricordato il Papa polacco, che pure è già santo. Non solo. L’idea generale è stata quella di voler mettere da parte quel pontificato, anche da parte degli uomini di Chiesa. Una era chiusa, insomma, mentre escono fuori rapporti come quello McCarrick che sembrano voler mettere in crisi la storia stessa del pontificato.
Eppure, l’era di Giovanni Paolo II ha avuto luogo appena l’altro ieri. E sono solo poco più di trenta anni che è caduto il Muro di Berlino, e con esso i regimi sovietici che imponevano alle religioni la sottomissione, e che mettevano in discussione ogni verità di fede per creare, piuttosto, religioni nazionali da poter controllare, o Stati atei le cui popolazioni ricevevano qualche piacere edonistico, ma di certo non la speranza che deriva dalla fede.
Anche le azioni Giovanni Paolo II (come quelle di tutti i Papi) vanno lette in quel contesto, perché ogni decisione non era una decisione ideologica: veniva da un percorso di fede, maturato in un particolare tempo, che richiedeva un certo tipo di soluzioni.
Certo, il problema si pone quando le soluzioni non sono più universali, ma più che altro pensate per situazioni particolari che poi sono rese universali. Sta lì la grandezza della Chiesa cattolica: invece di puntare a situazioni particolari, punta allo spirituale, alla fede che non cambia, e da lì parte per dare un punto di riferimento che va oltre le situazioni contingenti, oltre i corvi dei Vatileaks o le decisioni sbagliate, oltre gli imbrogli e la corruzione di ciascuno.
Ignorare tutto questo significa ignorare la Chiesa, non comprenderne davvero le fondamenta, che rappresentano molto di più di quello che accade qui ed ora. Il qui ed ora, tra l’altro, oggi è estremamente dilatato. Si vive in un immenso presente, dove niente è successo prima e niente succederà dopo.
Tutto questo porta a dimenticarsi della storia, a non comprenderne le ragioni, e dunque ad essere preda di qualunque narrativa. È questa la più grande tentazione delle persone di Chiesa oggi. Dal mito della schiavitù mai condannata a quello di una Chiesa da inquisizione, fino appunto alla dimenticanza sui 150 anni di San Giuseppe Patrono della Chiesa, gli stessi cattolici oggi dimenticano che la Chiesa non è stata una istituzione secolare, anche quando aveva uno Stato, ma che ha sempre avuto uno scopo diverso.
Siamo, da oggi, nell’Anno di San Giuseppe Patrono della Chiesa, eppure questa stessa notizia ha avuto pochissimo risalto. Ed è anche qui il senso della mia partecipazione all’iniziativa Cultura in pillole, che inizia oggi. Per raccontare quel Vaticano nascosto di cui pochi conoscono. Ma, soprattutto, per cercare di fornire anche un’altra prospettiva, per guardare la Chiesa da un punto di vista diverso. Più cattolico, sicuramente. Ma soprattutto un punto di vista che cerca di mettere insieme le coordinate della storia, dando corpo al passato e guardando al futuro mentre si legge il presente, senza appiattirsi nel qui ed ora.
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