Processo Palazzo di Londra

domenica 15 settembre 2024

Papa Francesco, la sua comunicazione funziona?

C’è un tratto della comunicazione di Papa Francesco che si è definito in maniera incontrovertibile sin dall’inizio del pontificato: l’improvvisazione. Papa Francesco non ama i testi scritti, e, quando l’argomento gli sta a cuore, o quando semplicemente si sente di doverlo fare, varia sui testi, aggiunge aneddoti a braccio, rimarca alcune frasi chiave, coinvolge le persone che ascolta. 

Questa improvvisazione di Papa Francesco ha due caratteristiche principali. Si forma di aneddoti su persone comuni, quelle che in alcuni casi potrebbero essere paragonata – ma Dio ci perdoni da ogni mancanza di rispetto – a delle “chiacchiere da bar”, e rischia di essere imprecisa e di banalizzare i concetti. A queste caratteristiche, dopo undici anni di pontificato, se ne è aggiunta una terza: la ripetitività. Quando parla a braccio, Papa Francesco tende a ripetere concetti, storie e persino quelle che, nel gergo della comunicazione di oggi, potremmo chiamare catchphrases.

 

Così, sappiamo tutti la storia della vecchietta che “sembrava avesse studiato alla Gregoriana”, della nonna del Papa che gli fa il primo discorso ecumenico della vita descrivendo quelli dell’Esercito della Salvezza come “protestanti, ma sono gente buona”, così come tutti sanno delle famiglie che “preferiscono avere un gatto e un cagnolino, piuttosto che un figlio” – parole, queste, aggiunte a braccio persino all’interno di un discorso ufficiale al corpo diplomatico, in Indonesia, perché nessun discorso, nemmeno quelli ufficiali e curati alla virgola e affidati a traduzioni specifiche, è per Papa Francesco non soggetto a un miglioramento comunicativo.

 

E conosciamo tutti le espressioni come “cristiani da pasticceria”, oppure la misericordia per todos, todos, todos e molte altre che sono ormai entrate nell’immaginario collettivo.

 

Papa Francesco ama dunque improvvisare, ma c’è un momento in cui improvvisa sempre: quando c’è il momento di dialogo con i giovani, e i giovani sono chiamati a porgli domande. Da una parte, non c’è da dargli tutti i torti. Le domande dei giovani sembrano spesso forzate, e di certo non rispondono all’idea di un dialogo spontaneo, e il discorso preparato del Papa resta freddo rispetto alla formula che viene adottata.

 

Tuttavia, il rischio nell’improvvisazione è quello di non parlare con precisione, e dunque di creare confusione. Ed è sicuramente questo il caso del discorso ai giovani del Catholic Junior College di Singapore. Si trattava di un incontro interreligioso, e il Papa aveva ascoltato le testimonianze di giovani delle religioni più rappresentative della nazione – sikh, indù, cattolica.

 

E, a braccio, Papa Francesco aveva affermato:

 

Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso. E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare: “La mia religione è più importante della tua…”, “La mia è quella vera, la tua non è vera…”. Dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? [qualcuno risponde: “La distruzione”]. È così. Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del tuo!”. È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood? Ma per il dialogo interreligioso fra i giovani ci vuole coraggio. Perché l’età giovanile è l’età del coraggio, ma tu puoi avere questo coraggio per fare cose che non ti aiuteranno. Invece puoi avere coraggio per andare avanti e per il dialogo.

 

Si trattava di parole estemporanee, tanto che il Papa proseguiva poi con una riflessione sul bullismo. Come tali devono essere trattate. Tuttavia, ci si trova di fronte al vescovo di Roma, colui che è chiamato a confermare i fratelli nella fede, e dunque queste parole non possono colpire.

 

Se non altro perché pone tutte le religioni allo stesso livello, riduce anche la fede cattolica ad un modo come un altro per arrivare a Dio, non differente dagli altri. A questo punto, nemmeno essere cattolici sarebbe importante, e nemmeno il Battesimo, che rende figli di Dio, caratterizza davvero un credente che vuole essere salvato. E, se uno segue le parole del Papa alla lettera, ogni religione è, in fondo, una sorta di grammatica che vuole portare a Dio, ma si tratta alla fine di una grammatica che non ha importanza, che può essere abbracciata oppure non abbracciata.

 

Ora, probabilmente Papa Francesco non intendeva dire questo. Intendeva probabilmente dire che, in un dialogo, tutti sono chiamati ad essere trattati con il medesimo rispetto, e che in tutte le fedi si deve riconoscere la volontà di andare verso Dio. L’effetto delle parole del Papa, però, è dirompente, e sembra andare in contrasto con molte altre affermazioni che il Papa ha fatto durante il pontificato.

 

Per esempio, incontrando i partecipanti ad un congresso sul dialogo interreligioso il 5 maggio 2023, Papa Francesco aveva detto che – citazione da Vatican News

 

nel dialogo non bisogna dire agli altri: "La mia Chiesa è l'unica, la vera, voi siete di seconda o di quarta categoria”. E ha aggiunto: “Sono convinto che il cammino che sto seguendo è quello che Dio vuole che sia vero per me. E perciò quando parlo della mia confessione religiosa, per coerenza dico ‘No, questa è quella vera’, ma rispetto il cammino degli altri che dicono a loro volta: ‘Questa è quella vera’. E questo non è relativismo, è rispetto, rispetto, rispetto e convivenza”.

 

La domanda, ora, non è che cosa pensi davvero Papa Francesco. È piuttosto se la sua comunicazione sia davvero efficace per raccontare la fede cattolica, e se questa comunicazione sia davvero in grado di evangelizzare.

 

Non si può fare questa domanda senza affrontare delle critiche. E questo perché, in fondo, la comunicazione del Papa è giocoforza divisa, proprio perché si gioca sull’estemporaneità, sulle contraddizioni, sulle situazioni. È una comunicazione strumentale al momento, non basata su una idea specifica.

 

Così, chi sostiene il pragmatismo estremo di Papa Francesco accusa chiunque critichi il Papa di voler semplicemente attaccare il pontificato, senza invece essere aperti alla straordinaria novità portata avanti da Papa Francesco, che non ha mai effettuato reali cambiamenti dottrinali, ma si è avvicinato al linguaggio del mondo, per farsi capire da tutti.

 

Chi invece vorrebbe dal Papa un discorso più istituzionale, strutturato, al di fuori dei necessari canoni della comunicazione, mette in luce che il Papa mette in crisi i fedeli semplici creando dei problemi nell’interpretazione della vera dottrina, e accusa gli altri se non altro di partigianeria.

 

Non si può uscire da questo tipo di dibattito, perché le posizioni sono semplicemente polarizzate e partono da punti di vista diametralmente opposti. Ma il fatto stesso che non si possa uscire da queste posizioni crea un problema.

 

Che è poi il grande e annoso problema del dibattito sull’aggiornamento della Chiesa, che ha fatto seguito al Concilio Vaticano II.

 

La questione della unicità salvifica di Gesù Cristo fu espressa da una dichiarazione della Congregazione della Dottrina della Fede, la Dominus Iesus, che serviva anche a sgombrare il campo da ogni equivoco. C’erano stati gli incontri di preghiera per la pace di Assisi che avevano creato non poche polemiche riguardo una sorta di “parificazione” di tutte le religioni, e nel Grande Giubileo del 2000 la Chiesa si apprestava a chiedere perdono per i suoi peccati, rischiando, in fondo, di mettersi da sola in crisi. E questo mentre, dopo il Concilio Vaticano II, una sorta di lettura ideologizzata dello stesso aveva portato a rileggere il cristianesimo in termini sociali piuttosto che dottrinali, a storicizzarlo piuttosto che a leggerlo con gli occhi della fede e della trasmissione di una fede che nasce prima di tutto da un incontro con Gesù Cristo – mi perdoni il lettore, sto molto semplificando un qualcosa che è in realtà molto più complesso e sfumato di così, è una sintesi.

 

Questo dibattito non si è mai spento. Addirittura, a 15 anni dalla pubblicazione, nel 2015, la pubblicazione di due scritti del teologo gesuita Dupuis, che era stato “censurato” dalla Congregazione della Dottrina della Fede proprio per il suo pensiero su una sorta di eguaglianza di tutte le religioni, aveva rinvigorito la polemica annosa (ne era stato riportato in questo articolo) sulla recezione della dichiarazione stessa.

 

Ma anche quel dibattito si era spento. E ci si è trovati di fronte ad una Chiesa forse stanca di essere sotto attacco, e desiderosa di essere più in contatto con il mondo. Diversi cardinali, dopo il conclave del 2013, dissero che si era pensato, in fondo, di volere “un cambio di narrativa” con il nuovo pontefice – lo riportava il Wall Street Journal già dopo l’elezione del Papa.

 

Ci volevano riforme, ci voleva trasparenza, ci voleva una nuova immagine della Chiesa. E, in fondo, passava in secondo piano la necessità di rispondere all’esigenza dei fedeli che si sentivano smarriti, dominati dalla dittatura del relativismo, incapaci di rispondere alle forze del mainstream che voleva una fede cattolica annacquata e, in fondo, secolarizzata.

 

Papa Francesco – che pure non ha dato seguito alla richiesta del defunto premier israeliano Shimon Peres di un “parlamento delle religioni” – cerca, alla fine, un equilibrio con il mondo. Lo testimonia l’enciclica Fratelli Tutti, i tentativi di dialogo con le altre religioni, le dichiarazioni comuni sulla pace, la diplomazia della preghiera.

 

Ma, nel cercare un equilibrio, rischia di perdere di vista il centro del discorso. Non che il Papa sia tendenzialmente eretico, ma di fatto il suo discorso non ha la Verità come centro, ma la missione. Una missione da portare avanti a tutti i costi, e questo anche concedendo qualcosa in termini di cultura, comprensione, narrazione.

 

Solo la storia dirà se qualcosa di buono è venuto da questo stile comunicativo, ma di certo è questo quello che dobbiamo studiare e tenere presente ogni volta che Papa Francesco parla. Ricordando che spesso il suo pensiero non è in quello che dice, ma in come dice quello che dice. Tenendo presente che il Papa vuole prima di tutto raggiungere il suo uditorio.

 

E mettendo in luce che, alla fine, nessun Papa può davvero cambiare ciò che la Chiesa crede da millenni. In fondo, anche l’infallibilità del Papa fu certificata dal Concilio Vaticano I non come imposizione, ma come riconoscimento di un qualcosa che si era sempre saputo, e che veniva messo in discussione dai massoni anticlericali che premevano alle porte di Roma per creare l’unità di Italia. Di fronte ad una storia che era diventata un complotto contro la verità, il Concilio Vaticano I decise di guardare e preservare la fede dei piccoli. Tuttavia non stabilì l’infallibilità di un uomo. Stabilì l’infallibilità della Chiesa, e di un uomo che quando parla a nome della Chiesa e come Vicario di Cristo, non può sbagliare. Ma, quando parla da uomo, sì.

 

 

 

 

 

 

 

 

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