Processo Palazzo di Londra

domenica 30 luglio 2023

Nel mondo dei grandi investimenti arabi, c’è futuro per la cultura cattolica?

Probabilmente non c’è una correlazione logica, ma i colpi milionari di calciomercato provenienti dall’Arabia Saudita mi hanno portato a fare alcune riflessioni sul giornalismo, sulla comunicazione, sul modo in cui diffondiamo la cultura, e soprattutto la cultura cattolica. E credo valga la pena mettere tutto nero su bianco, perché, per quanto possano essere riflessioni banali, a volte è proprio la banalità del riflettere che manca. In fondo, nella corsa ad essere sempre originali, dimentichiamo a volte di essere logici, concreti e di avere buon senso. Che non significa smettere di sognare. Significa, piuttosto, cercare di dare una vera sostanza ai sogni. 

Cosa stanno facendo i sauditi? I sauditi hanno disponibilità economiche immense, un piano di sviluppo che punta a farli una sorta di hub culturale ed innovazione, e la necessità di farlo ora, prima che le grandi risorse derivanti dal petrolio finiscano.

 

Da che mondo è mondo, dal panem et circenses degli antichi romani, la mitologia delle persone è quella sportiva. Dunque è lo sport che aiuta a rendere attraenti, visibili, appetibili. Lo sport più popolare oggi è il calcio, e allora vale la pena investire nel calcio. Ma come fa un Paese che non ha una straordinaria cultura calcistica ma ha immense disponibilità economiche?

 

Semplice. Questo Paese crea le strutture all’avanguardia, e poi attira giocatori famosi che permettono di dare lustro al torneo, ma anche di renderlo competitivo. Non è una cosa nuova. Lo ha fatto la Cina, per breve periodo. Ma la Cina non ha funzionato a lungo perché poi il governo ha tolto le risorse, e così le ingenti disponibilità economiche sono finite su altro. Per la Cina, il calcio non era un core business di visibilità nel mondo occidentale, ma solo una possibilità di crescita come un’altra.

 

Non così per l’Arabia Saudita, che invece vuole far crescere il movimento calcistico, ma soprattutto la visibilità del suo Paese. E così, con ingaggi monstre, chiamano non solo i migliori giocatori sul viale del tramonto, ma anche quelli che sono in un momento ancora molto buono della carriera, sottraendoli ai loro club per andare a creare un campionato competitivo e appetibile a livello internazionale, cosa che può dare ai sauditi un peso nel sistema calcio non indifferente. Si è cominciato con le Coppe Italia in territorio saudita, e si arriva ora con i Cristiano Ronaldo, i Verratti e i Brozovic.

 

In pratica, l’Arabia Saudita non sta costruendo un sistema. Sta replicando un sistema, cercando i migliori, e lavorando per perpetuare quel sistema grazie alla forza di attrazione che la presenza dei migliori potrà avere sul movimento calcistico. Nel frattempo, partecipa con il suo fondo ad alcune squadre europee, come fanno i qatarioti, come fanno altri Paesi del Golfo, inserendosi sempre più nei gangli di una società occidentale che vogliono probabilmente sedurre, cercando ovviamente di massimizzare i loro interessi.

 

Ma questa operazione, alla fine, è quella che viene fatta a livello culturale e religioso. Le moschee finanziate dai sauditi, ma anche da Paesi del Golfo e dalla Turchia, spuntano come funghi in tutta Europa e nella società occidentale, i centri di cultura islamica sono ben finanziati, e lo studio dell’arabo e della cultura islamica, grazie a questa diffusione capillare, non sono più roba per pochi, ma corsi ambiti. C’è bisogno, in fondo, di comprendere chi sta finanziando così tanto e chi sta lavorando così tanto sulla cultura. Anche se poi, in fondo, l’atteggiamento è più pragmatico: si studiano le cose che si pensa portino soldi.

 

Tutto questo però porta ad una riflessione sul cosiddetto mondo occidentale, e in subordine su quello cattolico. Il mondo occidentale, in fondo, non fa cultura. I think tank europei non hanno quell’impatto culturale che si potrebbe pensare, a parte rare eccezioni, i think tank americani hanno invece chiare impostazioni di pensiero che li fanno considerare (a volte a ragione) come dei pensatoi ideologici. Messe da parte le radici dell’Europa in nome di una storia scritta dagli Illuministi come se ci fosse un netto taglio con il passato, l’occidente ha perso identità, e in questa perdita di identità ci ha rimesso la cultura. Anche le questioni filosofiche sono trattate in maniera pratica, senza una solida base non ideologica, ma spirituale, laddove spirituale si intende come “in profondità”.

 

Poi ci sarebbe un mondo cattolico che dovrebbe fare cultura, e che anzi potrebbe sopravvivere solo se l’impegno è culturale. Ma questo mondo cattolico si trova a seguire il mondo occidentale, a ripercorrerne i linguaggi, a prendere in mano le sfide che già sono preparate da altre parti, perdendo in qualche modo il senso della profezia. Non c’è cultura cattolica, oggi, perché si parla semplicemente di ciò che avviene o di ciò che è avvenuto, ma non si cerca di dare ai fatti una lettura e una prospettiva cristiana.

 

Diagnosi dura? Forse. Però, di fatto, mentre i Paesi arabi e islamici hanno compreso che il lavoro da fare deve permeare la cultura, dialogarci, persino conviverci anche quando non si è d’accordo, il mondo cattolico ha un po’ perso l’idea di fare cultura, perché ha perso il suo linguaggio (lo dicevo qualche giorno fa in una conferenza). Se non si parla la propria lingua, in fondo, non c’è nemmeno una cultura di riferimento.

 

Mancano, nel mondo cattolico, quanti possano fare ciò che fanno i sauditi nel calcio. Cioè, mancano quelli che possano investire, che possano destinare milioni a progetti culturali, sostenendoli, e allo stesso tempo abbiano una visione di lungo periodo che investa la comunicazione, la cultura, la società. Era il progetto cristiano degli inizi, che poi si è perso nei tempi in cui il cristianesimo era diventato forte e presente nella società. Ed è il progetto che stanno portando avanti oggi i sauditi, ma che portò avanti prima ancora la Massoneria, quando di fatto ricreò la narrativa del mondo con la costruzione di una rivoluzione – in fondo, la presa della Bastiglia avviene il 14 luglio, giorno in cui tradizionalmente in Francia si ricordava la presa di Gerusalemme da parte di Goffredo di Buglione.

 

Oggi, il mondo cattolico non solo si trova ad inseguire, ma si trova costretto a contrastare una narrativa. Lo fa con poche risorse, con un mondo culturale parcellizzato, e con pochissime risorse. Quando ci sono le risorse, gli imprenditori cattolici le danno a progetti molto pratici, perché è nel pragmatismo che si individua il futuro.

 

Il punto è che non è esattamente così. Anche l’intelligenza artificiale risponde basandosi sui dati, e allora la necessità è avere a disposizione dati corretti, precisi, lontani da ogni bias. Per fare questo, serve che queste informazioni siano scritte e diffuse, in maniera capillare e certosima. Va, in qualche modo, evangelizzata anche l’intelligenza artificiale.

 

Certo, non è un compito semplice, e ci vuole tempo e investimenti. La differenza con il calcio saudita però viene da un dettaglio non da poco. Se i sauditi devono importare un sistema, pagandolo oro, un imprenditore che volesse investire nella cultura cattolica non avrebbe da importare niente, ma da valorizzare le risorse a disposizione. Avrebbe bisogno di qualcuno in grado di farlo, e non di un enorme dispendio di risorse, che pure sarebbe necessario.

 

Quello che io vedo mancare, nel mondo cattolico, è proprio questa mancanza di prospettiva. Si organizzano convegni dove partecipano sempre le stesse persone, ci si conosce tra le varie associazioni che si occupano di diversi temi, succede persino che a volte si collabori, ma poi alla fine tutto si dissolve. Per superare questa dissoluzione, serve una guida, e deve essere una guida non governativa (in questo si differisce dall’Arabia Saudita) ma in grado di lavorare per ricreare la cultura cattolica, diffonderla, finanziare i grandi progetti e le grandi idee.

 

Vero che di grandi idee è difficile trovarne, e ancora più vero che tutto questo discorso potrebbe anche portare a clamorosi errori. Ma, se non si comincerà a pensare di fare qualcosa di nuovo, vero, profondo, a lungo termine e ben finanziato, allora ci si troverà in una situazione difficilissima, in cui la cultura cattolica non solo sarà minoritaria, ma sarà persino catacombale.

 

Mentre scrivo tutto questo, penso se ci sono stati imprenditori o benefattori cattolici che abbiano pensato a tutto questo. Forse sì. Ma chi ho conosciuto ha finanziato progetti, volendo vedere il lato pratico dei risultati, o prodotti già conosciuti, che magari amavano, senza però cercare di comprendere cosa serve di nuovo. C’è bisogno di redistribuire ricchezze, ma per farlo non servono norme simil-socialiste, ma piuttosto si deve creare un nuovo segmento di investimento.

 

La cultura cattolica, in fondo, e tutta l’informazione religiosa non sono, oggi, nella posizione di dover aggredire il mercato. Piuttosto, lo devono creare. Potrebbe essere una grande sfida, ma le conseguenze sono imprevedibili. In fondo, anche l’Arabia Saudita sa che le conseguenze di questa compravendita di stelle per il loro campionato potrebbero essere imprevedibili. Però corre il rischio. E il mondo cattolico, alla fine, sembra non volerlo correre. Si rifugia sempre nelle solite letture. Guarda sempre ai fatti dalla stessa prospettiva.

 

È una dinamica probabilmente suicida. Ma, perché sia spezzata, serve davvero un investitore munifico, profetico e folle, come solo un filantropo cristiano può essere. Altrimenti, non ci vorrà molto che i sauditi non solo compreranno noi, ma anche la nostra storia. E una volta riscritta la storia, tornare indietro alla verità dei fatti è sempre molto complicato.

 

La cultura cattolica sarà, dunque, assorbita come i campioni di calcio, e considerata magari una vecchia gloria che serve per dare lustro ad una situazione generale, ma non deve scendere troppo in campo? Oppure sarà in grado di costruire la sua squadra, rischiando, pur di cambiare le carte in tavola e fare un nuovo tipo di gioco, con il proprio linguaggio?

 

È questa la domanda di fondo, secondo me. Ed è a questo che siamo chiamati a rispondere

(nella foto: la Biblioteca dei benedettini a Catania)



1 commento:

  1. I Re cattolici,gli Stati cattolici,le Università cattoliche,le organizzazioni cattoliche,gli scienziati cattolici,i partiti e gli statisti cattolici si vergognano della bandiera cui appartengono essendosi arresi alla modernità o sono privi di una accurata direzione di orchestra?La subalternità pare ormai condizione irrinunciabile….

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