Processo Palazzo di Londra

domenica 1 maggio 2022

Il caso del cardinale Dziwisz ricorda che la Chiesa è ancora sotto attacco

Dopo il non luogo a procedere per il Cardinale Dziwisz, storico segretario di Giovanni Paolo II e arcivescovo emerito di Cracovia, ho scritto questo commento per l'agenzia polacca KAI. pubblicato lo scorso 22 aprile. Qui il testo in italiano.

Nessuna prova che abbia coperto gli abusi, e dunque nessuna necessità di procedere con le indagini. Il “non luogo a procedere” della Santa Sede nei confronti del Cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia e storico segretario di Giovanni Paolo II, non è solo una buona notizia per il cardinale. È il segnale che si deve avere attenzione e cura, quando si formulano le accuse.

Per due anni, da quando è andato in onda in Polonia il documentario “Don Stanislao. L’altro volto del Cardinale Dziwisz” su Tvn24, il Cardinale Dziwisz è stato sotto costante attacco mediatico. Ci sono state manifestazioni sotto l’arcivescovado di Cracovia, articoli di giornale decisamente non lusinghieri, persino illazioni che queste accuse fossero conosciute fin dai tempi in cui era il segretario di Giovanni Paolo II.

Come sempre succede in questi casi, la Santa Sede ci ha voluto vedere chiaro. Nel 2021, ha inviato il Cardinale Angelo Bagnasco a valutare le accuse contro Dziwisz..

Le indagini della Santa Sede sono andate avanti, fino alla notizia del non luogo a procedere. E l’epilogo della vicenda deve fare riflettere.

Da ormai trenta anni, la piaga degli abusi su minori nella Chiesa, e delle sue eventuali coperture da parte di prelati in luoghi di responsabilità, ha preso un posto di primo piano nel dibattito pubblico sulla Chiesa cattolica.

Così, travolti dallo scandalo, sacerdoti, prelati e porporati si trovano a volte a doversi dimettere, perdendo tutta la loro credibilità. È successo al Cardinale Philippe Barbarin in Francia, accusato di coperture e poi completamente assolto da ogni accusa, il quale ha comunque lasciato la guida dell’arcidiocesi di Lione.

Ma era successo anche all’arcivescovo Philip Wilson di Adelaide, Australia. Scomparso nel 2020, Wilson era stato condannato nel 2018 a 12 mesi di arresti domiciliari per aver coperto gli abusi di un sacerdote chiamato Jim Fletcher, che era stato nella diocesi di Maitland con Wilson nel 1970. Wilson aveva presentato a Papa Francesco le dimissioni e il Papa le aveva accettate. Ma già nel dicembre 2018, il giudice Roy Ellis aveva ribaltato la sentenza perché c’erano ragionevoli dubbi che il crimine fosse stato commesso.

Sono solo due esempi tra i più recenti di una serie di casi che mostrano come, prima di attaccare la Chiesa e gli uomini di Chiesa, si dovrebbero valutare con attenzione i comportamenti individuali, e definire se davvero ci sono errori.

Il caso della gogna mediatica contro il Cardinale Dziwisiz colpisce perché sembra che a voler essere messo sotto accusa è lo stesso pontificato di Giovanni Paolo II. Il metodo, comunque, è ormai ben delineato, e trova il favore di tutti i media, consapevoli che attaccare la Chiesa sulla questione degli abusi attrae pubblico.

Quale è però la reazione che può avere la Chiesa? Fino ad ora, le Conferenze Episcopali hanno scelto la strada dei rapporti indipendenti, come il CIASE in Francia o quello commissionato dall’arcidiocesi di Monaco e Frisinga allo studio legale Westpfahl Spilker Wastl.

Sono rapporti che coprono un arco di tempo di almeno settanta anni, basati su segnalazioni e non su testimonianze approfondite, fondati su stime che però vanno lette in contesto e non assolutizzate. La Chiesa cattolica è l’unica istituzione che accetta un tipo di scrutinio del genere sulla sua pelle, senza reagire, e anzi chiedendo scusa anche quando le cose non sono chiare, e stabilendo risarcimenti per le vittime.

È un atteggiamento, però, che rischia di non essere abbastanza per evitare le gogne mediatiche. Il caso del Cardinale Dziwisz lo dimostra, considerando che le accuse sono venute mentre la Chiesa in Polonia aveva rialimentato il suo sforzo nella lotta agli abusi e aveva persino stabilito la Fondazione San Giuseppe destinata proprio a finanziare attività di protezione dei minori, con contributi di ogni diocesi polacca proporzionalmente al numero di sacerdoti.

Il Cardinale Dziwisz ha detto di augurarsi che “l'annuncio odierno della Nunziatura apostolica in Polonia contribuisca non solo a chiarire la questione, ma anche a riportare la serenità a tutti coloro che si sono sentiti offesi dalle accuse che ho incontrato”. 

Da subito, il cardinale si era detto innocente e favorevole ad una indagine di una commissione indipendente per valutare le azioni intraprese da parte della Chiesa nelle vicende toccate dal filmato. “Sarei disposto a collaborare pienamente, non si tratta di nascondere eventuali negligenze, ma di presentare scrupolosamente i fatti”, aveva detto.  

Lo stesso Dziwisz non aveva evitato il confronto, e aveva accettato una intervista fiume con Tvn24 il 20 ottobre 2020, rigettando punto per punto ogni accusa.

Una accusa era quella di aver ignorato il caso di Janusz Szymik, uomo di 48 anni che a 12 anni era stato vittima di Jan Wodniak, amico della sua famiglia, il quale afferma di aver consegnato personalmente a Dziwisz, allora titolare di Cracovia, una lettera per denunciare le oltre 500 violenze subite da Wodniak dal 1984 al 1989, nel villaggio di Międzybrodzie Bialskie (due ore a sud-est di Cracovia), senza però mai ottenere risposta. Dziwisz assicurava di non aver mai ricevuto nulla, mentre padre Tadeusz Isakowicz-Zaleski (noto fondatore di una Onlus per disabili fisici e mentali) giurava di aver consegnato la lettera all’arcivescovo nel 2012, pubblicando pure una copia sul suo blog.

Resta il dubbio che il cardinale sia finito in una sorta di “trappola” che puntava a far cadere la credibilità della Chiesa per scopi politici. Era, in fondo, un periodo pre-elettorale, parte della lunga campagna che avrebbe portato alla rielezione di Andrzej Duda come presidente. E Duda, tra i primi atti da presidente eletto, aveva fatto un pellegrinaggio a Czestochowa ed era stato in visita da Papa Francesco.

Di certo, il caso del Cardinale Dziwisz deve essere lo stimolo perché la Chiesa cattolica comprenda come affrontare questo tipo di attacchi. Non si possono negare le responsabilità, quando ci sono, ma non si può accettare di essere accusati, quando le accuse non sono consistenti. È necessario trovare un modo di essere trasparenti e fedeli all’istituzione. Anche perché, al di là del Cardinale Dziwisiz, chi risarcirà la Chiesa del danno di immagine che è stato procurato finora da questa indagine mediatica?

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