Processo Palazzo di Londra

lunedì 8 giugno 2020

Papa Francesco, quando la continuità è paradossalmente descritta come una rottura


Lo scorso 31 maggio, Papa Francesco ha promulgato una legge sugli appalti in Vaticano. La legge stabilisce procedure per l’assegnazione di contratti da parte della Santa Sede e dello Stato di Città del Vaticano, centralizzando le procedure e armonizzando le richieste di spesa. Ed è stata salutata come una delle iniziative di Papa Francesco nel contrastare la corruzione in Vaticano.

Non solo. Altre letture hanno sostenuto che questa legge rappresentava la vendetta del Cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia che aveva dovuto congedarsi dal dicastero per tornare in Australia a difendersi da accuse di abusi da cui è poi risultato innocente.

Il Cardinale Pell aveva messo in moto varie  riforme dell’economia vaticana. Alcune di queste riforme erano state successivamente aggiustate, adattate alla realtà del Vaticano che è uno Stato particolare, ma pur sempre uno Stato. Il Cardinale Pell aveva un approccio più aziendale. I suoi sostenitori hanno però sempre sottolineato che gli aggiustamenti della Santa Sede erano in realtà resistenze all’opera riformatrice del Cardinale Pell.

Così, la legge sugli appalti, che rappresenta appunto una centralizzazione degli investimenti perché questi siano meglio sotto controllo, è facilmente letta come una riproposizione dell’idea del Cardinale Pell.

In questa narrativa, però, vale tutto e il contrario di tutto. Papa Francesco è stato anche colui che non ha voluto chiudere l’Istituto per le Opere di Religione, nonostante tutti pensassero che lo avrebbe fatto. Anche questa scelta fu interpretata come la vittoria di alcuni a discapito di altri.

La necessità di leggere ogni gesto del Papa come rottura con il passato è forse l’elemento più dannoso per questo pontificato. Nel caso della legge sugli appalti, non si tratta di vendetta, né di una straordinaria rottura con il passato. La storia, come sempre, è più ampia.

Nel 2016, la Santa Sede ha firmato la Convenzione di Merida, che è lo strumento multilaterale delle Nazioni Unite contro la corruzione. La convenzione chiedeva agli Stati aderenti anche di dotarsi di una disciplina degli appalti pubblici, per combattere la corruzione.

Nel 2019, la Santa Sede ha fatto il primo passo, revisionando lo statuto dell’Ufficio del Revisore Generale e rendendolo in pratica l’Autorità Anti Corruzione. Con questa legge, la Santa Sede completa il percorso di adesione alla Convenzione di Merida.

Si può obiettare che la Santa Sede ha aderito alla Convenzione durante il pontificato di Papa Francesco. Vero. Ma è anche vero che i percorsi di adesione sono lunghi, partono da lontano, e sono parte di una strategia a più lungo raggio, che non riguardano direttamente il pontefice, ma l’impegno internazionale della Santa Sede.

Si ha così l’impressione che centrare tutto sulla figura del Papa vada a tutto discapito del lavoro fatto dalla Santa Sede, e che definire tutto in termini di rottura serva solo a descrivere una Chiesa sempre indietro con i tempi.

Se tutto, però, è rottura, e tutto è nuovo, è praticamente impossibile per chiunque portare avanti un percorso, una idea a lungo periodo. La Chiesa, però, si fonda soprattutto di idee a lungo periodo. Soprattutto, si fonda sulla rivelazione di Gesù Cristo, un annuncio che è rimasto immutato nei secoli, sebbene declinato secondo le diverse forme delle culture e dei tempi.

Con il pontificato di Papa Francesco, ci si è trovati sempre più di fronte alla necessità di mostrare delle decisioni in continuità come rotture. Un po’ lo richiede il mondo dei media, sempre in cerca di un titolo che sia accattivante. Un po’ è stato quasi accettato sin dall’inizio. Papa Francesco ha avuto subito un “anticipo di simpatia” dalla stampa secolare, che è poi una prospettiva da cui tutto viene filtrato.

Si arriva al punto che anche alcune critiche al Papa e alle decisioni del Papa vengono subito etichettate come attacchi al Papa. Ma anche gli attacchi al Papa non sono una novità. Gli attacchi a Benedetto XVI sono stati raccontati in vari modi, Giovanni Paolo II di certo non ha ricevuto ottima pubblicità fino agli Anni Novanta, Paolo VI ha terminato il pontificato da eterno incompreso, Giovanni XXIII non veniva spesso compreso, e gli attacchi contro Pio XII continuano ancora oggi.

Eppure, c’è – in questa situazione attuale – una idea ancora diversa, una difesa quasi impermeabile a qualunque possibilità di critica. Non si può notare la continuità del Papa se non per dare forza ad una certa narrativa che si fa anche interprete del punto di vista universale da cui guardare Papa Francesco.

A metà giugno, sarà presentato il rapporto dell’Autorità di Informazione Finanziaria, il primo da quando Papa Francesco ha decapitato la dirigenza. Al momento, però, non ci sono processi, né capi di accusa, e il non rinnovo degli incarichi dà l’idea di una punizione per un fatto non commesso. Ma come sarà il rapporto? Si porrà in continuità con il lavoro svolto precedentemente, o sarà salutato come una rivoluzione che in realtà non può avvenire?  

Si attende anche la famosa riforma della Curia, e Papa Francesco il prossimo luglio potrebbe dare una svolta definitiva: è durante le vacanze che il Papa muove le pedine e tira le somme dell’attività fatta durante l’anno. Come sarà questa riforma? Sarà un vero cambiamento o sarà solo uno smantellamento delle vecchie strutture per far posto a nuove strutture?

In fondo, tutto il lavoro riformatore del pontificato di Papa Francesco è stata una spinta verso qualcosa di nuovo, spesso perché non si conosceva o non si apprezzava quello che c’era già. In alcuni casi, le cose si sono aggiustate. In altri no. Di fatto, però, sono state poche le analisi che hanno guardato ai dettagli.

E i dettagli, spesso, sono quelli di una sostanziale continuità. Come succede con la riforma della legge sugli appalti, che lascia comunque una certa autonomia a Segreteria di Stato e governatorato. Niente di rivoluzionario, dunque, solo accorgimenti per rispettare i criteri internazionali.
Ma tutto il pontificato di Papa Francesco è stato così: una continua ricerca del nuovo, che però non ha permesso di comprendere quanto il Papa abbia continuato un lavoro già svolto in molti casi. E molti di questi casi erano i casi migliori.

(l'originale dell'articolo, in lingua inglese, è stato pubblicato su MondayVatican.

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