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sabato 12 ottobre 2019

Su vaticanisti, vaticanismo, vaticanologia e giornalismo


Le ultime vicende dell’Istituto delle Opere di Religione, conosciuto come “banca vaticana” sebbene non sia una banca, e la notizia di un prossimo libro scandalistico,  hanno riportato alla luce una serie di giornalisti che non si occupano di Vaticano, non conoscono il Vaticano, non fanno del Vaticano il centro dei loro interessi.



Eppure ricevono documenti (i cosiddetti ‘vatileaks’) e li pubblicano, a volte producendosi in lunghe tirate morali sull’immoralità di alcuni membri della Chiesa, più spesso senza davvero comprendere quale sia la posta in gioco. Perché, come ogni cosa, la Santa Sede, lo Stato di Città del Vaticano, la vita della Chiesa, va conosciuta per poter essere raccontata.

Si è creata una narrativa per cui i vaticanisti hanno il compito di seguire l’azione pastorale della Chiesa, mentre al resto, per esempio al tema delle finanze vaticane, ci devono pensare gli altri giornalisti.

Si tratta, in fondo, di una mistificazione. Perché anche la finanza è uno strumento che serve all’azione pastorale della Chiesa, come la diplomazia. Ci vuole uno che conosca l’azione pastorale della Chiesa per raccontare davvero il senso degli strumenti che usa. Prova ne è il fatto che l’unica storia completa della finanza vaticana è stata scritta da Benny Lai, un vaticanista, che tra l’altro era anche non credente. Ma aveva il pregio di approcciarsi con rispetto ai fatti. Di non forzarli. Di non cercare scandali lì dove non ce n’erano e di raccontare gli scandali senza darsi il tono del censore.

La verità è che la Chiesa è qualcosa che va oltre gli scandali, nonostante ci sarà sempre chi usa le strutture della Chiesa per i propri fini. Ma la presenza di queste persone non sta a significare che la struttura sia marcia. Restano coperti dal silenzio le decine di sacerdoti, monsignori, vescovi e cardinali che silenziosamente vanno alle mense dei poveri, aiutano gli anziani, prestano servizi negli ospedali e negli orfanotrofi, si mescolano a volontari di ogni genere.

Una informazione completa sui cosiddetti scandali della Chiesa dovrebbe tenere conto anche di questo. Magari sarebbe da andare a vedere anche il lavoro del Circolo San Pietro o del Dispensario di Santa Marta, impegnati per la carità del Papa ormai da secoli.

Per conoscere queste cose, e mettere tutti i pezzi in puzzle, ci vuole uno specialista, appunto, che conosca tutti i lati della storia, non solo una parte letta dal buco della serratura e con la volontà di tirar fuori scandali.

Tra l’altro, guardare dal buco della serratura porta necessariamente al giustizialismo. Ma il giustizialismo a tutti i costi allontana sempre dalla verità. Forse soddisfa la nostra vanità, perché erge qualunque piccola persona a giudice. Ma non soddisfa l’esigenza di verità. Eppure, tutti questi articoli decidono che c’è un buono e un cattivo, accusano le persone, mettono in discussione la moralità delle persone, tra l’altro senza mai fare marcia indietro se poi viene provato che le accuse non sono fondate. Prendono sempre un solo punto di vista.

È questo il grande limite del giornalismo scandalistico, che pure pensa di poter dare lezioni a tutti, di decidere a priori chi è buono e chi è cattivo. A proprio insindacabile giudizio.

Ma un buon giornalismo non è quello di chi prende dei documenti e li commenta senza conoscere davvero la storia che c’è dietro, o senza inserirli in un contesto. Il vero giornalismo non è quello dai toni urlati, ma quello che sa analizzare le cose. Quello che permette al lettore di essere informato, senza che decida cosa il lettore debba pensare.

Alla fine, la Chiesa – come in fondo tutte le cose -  la puoi raccontare solo se la conosci davvero, e se ti approcci alla Chiesa con umiltà epistemologica. Se guardi al tutto, invece che alla parte.Perché la parte può anche avere dei problemi, ma va inclusa in qualcosa di più grande.

È un tema che tocca anche la comunicazione istituzionale della Chiesa, che spesso sembra appiattirsi sull’immagine del Papa, il punto di vista del Papa, o si fa scudo di una cosiddetta “volontà papale”, prendendo solo un punto di vista, non guardando alla globalità della situazione. È vero che il Papa è la Santa Sede, ma è anche vero che le sue azioni vanno contestualizzate, e contestualizzate bene.

Così, nel reagire agli scandali, nel reagire agli attacchi, c’è il rischio di arrivare a letture della realtà che spesso sono stereotipate, o che raccontano solo una parte della storia. Nel difendersi dal cattivo giornalismo di chi non contestualizza, si rischia di raccontare solo una parte della storia a propria volta, di diventare poco credibili per questo motivo.

In parte, sta già succedendo. Di fronte allo scandalo che sta montando, Vatican News  ha pubblicato un editoriale contro la gogna mediatica che aveva però il limite di parlare di leggi che funzionano senza parlare di una possibile cattiva applicazione delle leggi; e poi, ha deciso di dare voce a solo uno degli attori in gioco, riprendendo tra l’altro la voce da un noto quotidiano nazionale, senza però guardare alla globalità delle posizioni in campo, anche all’interno della Santa Sede.  

È anche per questo limite della comunicazione istituzionale che servono giornalisti specializzati, che sappiano andare oltre agli scandali e alle letture di parte, e sappiano fare le domande giuste. Ci vogliono persone specializzate a mettere le cose in contesto.

Per ricevere documenti, pubblicarli con tono accusatorio e gridare allo scoop, basta un passacarte. Ma serve un giornalista per poter comprendere il valore di quei documenti. E serve un vaticanista per leggere i segni quando i documenti vengono dal Vaticano. Qualunque sia il tema dei documenti in questione.

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