Processo Palazzo di Londra

venerdì 9 maggio 2025

Roma senza Papa, Roma con il Papa. Leone XIV e il ritorno dei simboli

C’è una differenza sostanziale tra Roma senza Papa e Roma con il Papa. Si sente nelle strade, c’è un umore diverso intorno alla Basilica di San Pietro. Roma è il Papa, e Roma è il Papato, e chi vive Roma non può non sentirlo. Roma è così tanto il Papato che, alla fumata bianca, ho visto persone letteralmente correre, scendere dalle valli, fiondarsi in piazza San Pietro perché nessuno, e dico nessuno, vuole perdersi l’habemus Papam.

 

La Chiesa ha nutrito tutto questo con un patrimonio di simboli e un linguaggio che ormai in pochi sanno interpretare, ma che tutti sentono e vivono, come in una sorta di stasi collettiva. Roma è come una cattedrale medievale. Una volta, le vetrate della cattedrale raccontavano la Bibbia, erano appunto la biblia pauperum, la Bibbia dei poveri, e tutti riconoscevano in quelle vetrate le storie cui si riferivano. Ed erano analfabeti. Oggi, invece, si entra nelle cattedrali senza conoscere la storia della Bibbia, senza capire l’universo di riferimento, eppure ancora si sente quel senso di sacro, quel potere rituale che ti pervade.

 

Ed è così Roma, dove ormai sembra che il Papato sia una istituzione superata dalla storia, e invece, no, è ancora lì, dopo duemila anni, con i suoi riti, con il suo linguaggio, a dire al mondo che non solo la Chiesa c’è, ma che è viva e presente, che resta come la brezza leggera riconosciuta da Elia.

 

Questo ha capito Papa Leone XIV, che non ha trascurato la potenza dei segni. Ha portato la mozzetta papale rifiutata da Papa Francesco, perché ha ricordato che quella mantellina rossa a mezza spalla non è, come molti dicevano, il segno del potere temporale dei Papi. È, piuttosto, parte del vestiario pontificio sin da quando la cristianità aveva preso le insegne dell’Impero dopo Costantino. Dall’Impero della Guerra alla Civiltà dell’Amore: è la portata simbolica di quel passaggio che si racchiude in una mozzetta.

 

Ma lo ha capito anche il mondo orfano del Papa. Senza Papa Francesco, che imponeva un universo diverso di simboli perché proveniva da una cultura in cui non esisteva questa profondità storica, i cardinali, i vescovi, i presbiteri erano tornati un passo alla volta agli antichi linguaggi, agli antichi segni, all’antico modo di vestire.

 

Dal clergyman dei Sinodi anche in presenza del Papa, perché – andiamo! – la talare è roba scomoda, alla filettata rossa di tutte le congregazioni generali, perché, cavolo, stiamo parlando della Chiesa. Dal vestire dimesso dell’annuncio della morte, arrivato attraverso un video spoglio e senza nemmeno un annuncio in piazza alla solennità della traslazione del corpo di Papa Francesco, fino alla curatissima liturgia del funerale, con anche il fuori programma – non fuori programma del mini-summit / confessione tra Trump e Zelensky.

 

Sono tornati ai vecchi linguaggi pontifici anche gli entusiasti del nuovo corso di Francesco, hanno rispolverato le croci d’oro, hanno rimesso a posto i vestiti, ricordando che dare un successore a Pietro – perché si dà un successore a Pietro, non a Francesco, e si deve ricordare – era un compito che meritava una attenzione.

 

I riti portano con sé un problema profondo: ci si deve credere. Se non ci si crede, diventano scarne ripetizioni. Raccontano che quando Talleyrand, che aveva pure dimenticato di essere vescovo, fece la Messa per la Rivoluzione, la fece perché la gente, alla fine, voleva un rito. E dovette reimparare tutto, al punto che poi nessuno credeva davvero alla Messa.

 

Quello che voglio dire è che i riti e i simboli non sono qualcosa di vuoto, e non sono sostituibili. Lo pensa chi non ha un universo simbolico di riferimento, ma sbaglia. Le cose hanno il senso che viene dato loro. E questo è il grande tema di oggi.

 

Leone XIV ha dimostrato prima di tutto di essere un Papa che conosce l’universo simbolico della Santa Sede, che non lo vuole destrutturare, che, anzi, si lega alla tradizione. Nel suo primo discorso, denso di sottotesti, ha fatto capire che no, le cose buone avviate con Papa Francesco non saranno buttate via, ma che allo stesso tempo si tornerà alle cose essenziali. A partire dalla centralità di Gesù Cristo, che si era persa un po’ non perché Francesco non avesse a cuore l’Eucarestia, ma perché Francesco assommava su di sé tutti i carismi e tutta l’attenzione.

 

Leone XIV si è staccato dalla tradizione dei Papi degli ultimi secoli con il suo nome, ma non dalla Tradizione. Non ha scelto un nome nuovo, è tornato alle radici. Leone XIV ha messo in chiaro che pace, dialogo e unità sono i suoi carismi programmatici.

 

Ma ha anche parlato della supplica della Madonna di Pompei. Senza contare che l’8 maggio non è solo il giorno della supplica, ma è anche il giorno dell’Apparizione di San Michele Arcangelo. E chi compose la preghiera a San Michele Arcangelo che un tempo veniva recitata al tempo di ogni Messa? Proprio Leone XIII, l’ultimo Papa a portare nome Leone.

 

Mi aspetto, in questo universo simbolico che si sta costruendo, che la Messa di inizio pontificato sia il 13 maggio, ricorrenza della Madonna di Fatima, perché questo chiuderebbe un cerchio, metterebbe il pontificato sotto la protezione di Maria, collegherebbe il pontificato a Giovanni Paolo II. Senza contare che poi l’universo teologico di Leone XIV è quello di Sant’Agostino, il grande amore di Benedetto XVI.

 

La Roma con il Papa è una Roma che si sveglia in maniera diversa, e che sente con forza il ritorno dei simboli. È un vuoto che si sta riempiendo. È presto per dire se Leone XIV sarà o non sarà un buon Papa, se le sue scelte funzioneranno, se le sue idee saranno condivise dal popolo di Dio.

 

Ma il ritorno dei simboli, quello sì, è centrale. È qualcosa di cui si sentiva la mancanza. E li sento già i guardiani della rivoluzione a dire che sono un nostalgico, e che tutto questo non ha proprio senso, e che guardo solo indietro. Lo facciano pure. La verità è che non c’è modo di andare avanti senza guardare indietro. Soprattutto per la Chiesa, che guarda indietro a 2000 anni fa, sempre, perché è il momento in cui tutto è stato rivelato con la venuta di Gesù Cristo. Niente può essere più detto di nuovo, tutto è stato detto. E, con la liturgia, cerchiamo sempre di andare più vicini possibili a quel momento passato, perché è lì che ha origine tutto.

 

Dopo la sede vacante, è tornato il Papa. Direi, dopo una sede vacante di procedure traballanti e non spiegate, è tornato il pontefice. Il primo ponte che dovrà costruire sarà quello tra i mondi: latinoamericano, nordamericano, Europeo; tradizionalista, moderato e progressista; liturgico, teologico, sociale. Ma non abbiamo diadi. Abbiamo terne. È necessario che questo sia un pontificato profondo. E si può rendere profondo solo con i simboli.

Nessun commento:

Posta un commento