Processo Palazzo di Londra

mercoledì 28 febbraio 2024

E una porta si chiuse sul pontificato di Benedetto XVI. E non solo

Non ci poteva essere fine più simbolica per il pontificato di Benedetto XVI: quelle porte del Palazzo Apostolico di Castelgandolfo chiuse alle 20 in punto, mentre improvvisamente il Papa diventava Papa emerito e la sera era ormai scesa in una Castelgandolfo ancora scossa dall’enormità che aveva dovuto vivere.

Quelle porte si chiudevano ormai undici anni fa, ed è stato un po’ per la Chiesa cattolica come l’omicidio Kennedy o l’11 settembre per gli Stati Uniti. Tutti qui ricordano esattamente quel giorno, cosa hanno fatto, cosa hanno mangiato, dove erano. Perché le azioni non sono neutre, e i simboli hanno senso solo quando sono pieni di storia.

Se devo ripensare oggi a quel momento, undici anni fa, mi rendo conto che quell’atto simbolico sancì, in qualche modo, la fine dei simboli. Non lo potevamo sapere allora, ma lo avremmo imparato in questi undici anni. E oggi che Castelgandolfo è solo un Museo, ci rendiamo conto che è davvero cambiata un’epoca. Non è detto che sia una cosa migliore. Anzi.

 

Quando si sono chiuse quelle porte, è cominciato un percorso strano, in un senso di isteria collettiva che pochi sapevano condurre e comprendere. C’era un Papa da eleggere, ma quello di prima era ancora vivo. C’era un mondo vaticano da rinnovare, ma il mondo vecchio era ancora lì, a dire che no, non era passato di moda, era solo andato in pensione per permettere di rinnovare, ricostruire.

 

Quel rinnovamento, però, doveva essere nel segno della continuità. Benedetto XVI, che aveva il senso dei simboli, dedicò il suo ultimo incontro al clero di Roma a parlare del Concilio Vaticano II, con un discorso a braccio lungo eppure lucido, preciso, consequenziale, senza sbavature. Fu lì che definì l’idea del Concilio reale e del Concilio dei media, una brillante sintesi di tutto quello che era successo non solo al Concilio, ma ad ogni evento della Chiesa che sia stato in qualche modo mediatizzato.

 

C’era una Chiesa reale e una Chiesa dei media, un Papato reale e un Papato dei media. E c’è tuttora. Solo che, con la chiusura di quella porta, il mondo si è rovesciato. I media sono stati il primo interesse, perché c’era bisogno di un cambio di narrativa, o almeno così si diceva. Si è cercato di dare l’immagine di un pontificato spogliato, di nuovo tra la gente, pronto a rispondere con trasparenza a tutte le sollecitazioni dei media e a dare l’immagine di una Chiesa rinnovata.

 

Ma davvero la Chiesa prima non era tra la gente? I fatti dicono diversamente, eppure i fatti sono le grandi vittime di questa storia. I fatti dicono che ci sono più livelli di comprensione, e che la comprensione teologica è diversa dalla comprensione pastorale. Prima la necessità di una chiarezza teologica era sostanziale, mentre la parte pastorale era lasciata al discernimento personale. L’idea è che, se la formazione era buona e la vocazione era reale, ci sarebbe stato un discernimento adeguato.

 

Sottigliezze? Nemmeno tanto, perché poi, ad esempio, Benedetto XVI ha dato prova di essere un Papa tra la gente e per la gente. Lo testimoniavano i dati delle sue udienze generali, con partecipazioni sempre in crescita, o i momenti di tenerezza, per esempio nella visita ad una casa per anziani (si trova in questo Tg2 Dossier), nella visita alla Caritas il 14 febbraio 2010 (dove inviò una volta anche un tartufo bianco di Alba che gli era stato regalato, per dare ai poveri di Roma un pranzo da re).

 

C’è anche un Benedetto XVI dei media e un Benedetto XVI reale, ma lui era troppo modesto per poterlo dire ed era troppo consapevole di chi era per doverlo poi rinfacciare a chi lo descriveva come “il pastore tedesco” e chi ancora oggi lo considera il terribile “guardiano della fede”.

 

Perché poi dobbiamo a Benedetto XVI l’impostazione collegiale del lavoro nella Congregazione della Dottrina della Fede, che – nonostante la pubblicistica – non condannava mai senza guardare anche alle parti positive e da salvare. E infatti della Teologia della Liberazione abbiamo due istruzioni, non una sola, perché la condanna andava accompagnata da ciò che si doveva recuperare. Forse questa impostazione derivava dalla grande delusione della vita di Ratzinger, dalla tesi di abilitazione rifiutata che però Ratzinger, dopo il primo sconforto, riuscì a salvare prendendo e rielaborando, appunto, le parti non criticate dalla commissione e delineando quel lavoro su San Bonaventura che divenne poi noto.

 

Il problema è che Benedetto XVI costringeva i giornalisti a leggere, a informarsi, perché sempre guardava avanti e sempre aveva una prospettiva più ampia e una questione nuova. Costringeva le persone ad interrogarsi sulla forza e la profondità della loro fede, perché spiegava con argomenti di ragione e semplici i motivi per cui la vita con Cristo e per Cristo era l’unica bella e vera. Costringeva tutti a fare un salto di qualità, come tutti i professori che amano che gli studenti stacchino gli occhi dal foglio degli appunti, restino sorpresi e tornino a casa colpiti da quello che hanno sentito e desiderosi di svilupparlo.

 

Quella porta del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo si è allora chiusa su un mondo vaticano da comprendere nei suoi simboli e nella sua storia, un mondo vaticano che Benedetto XVI rappresentava nella sua complessità e nella sua stupenda semplicità. Come per una crisi di rigetto, ma più probabilmente per inadeguatezza, dopo la chiusura di quella porta si è deciso di fare come se il mondo precedente non ci fosse, o perlomeno che la sua esistenza prevedeva troppi lati negativi per poterla tenere davvero in considerazione.

 

Quella porta che si chiudeva ha schiuso all’idea di un nuovo Vaticano, ma lo ha fatto senza il conforto della Storia, costruendo un gigante su piedi di argilla. Tanto che oggi ricordiamo ancora la rinuncia di Benedetto XVI, ma non sappiamo cosa resterà di questa era successiva, fatta di commissioni, burocrazia, narrazione, riforme volute e a volte forzate, linguaggi abbandonati e soppiantati da nuovi linguaggi senza radici.

 

Quella porta a Castel Gandolfo non ha solo chiuso un pontificato. Ha chiuso una era. Non si sa, però, se sia cominciata davvero quella nuova.

 

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