Processo Palazzo di Londra

sabato 17 dicembre 2022

Papa Francesco, un compleanno della fine di un’epoca

Da sempre, Papa Francesco ha cercato di festeggiare il suo compleanno con i poveri, e quest’anno lo festeggia dando un riconoscimento a quanti sono poveri o si sono spesi per i poveri. E già questa scelta dice molto di quello che il Papa vuole mostrare. Perché, da sempre, Papa Francesco ha caratterizzato la comunicazione del suo pontificato così: la noncuranza per l’aspetto esteriore, la cura particolare e visibile per i poveri, i grandi gesti, ma anche la scelta, decisiva, di fare a meno di tutto ciò che è istituzionale.

A 86 anni, però, il linguaggio di Papa Francesco sembra aver preso una piega definita, un modo di essere che stabilisce una cesura con l’epoca precedente. Il Papa, di fatto, sta tagliando con l’eredità del passato, con la prudenza nei movimenti che ne ha contraddistinto i primi anni di pontificato e che lo ha portato a non mettere in atto un vero e proprio spoils systetm, con i necessari equilibri. A 86 anni, il pontificato di Papa Francesco è proiettato verso il dopo. Non solo a livello di immagine. Anche a livello di eredità.

 

In che modo si nota questa attenzione per il dopo?

 

Prima di tutto, nelle interviste, sempre più numerose, mai passate per il canale istituzionale del Dicastero per la Comunicazione, ma sempre affidate ad una scelta personale o ad una comunicazione diretta. Non che il Papa dice cose nuove, le interviste ribadiscono, con sfumature diverse, concetti già noti. Non si vede, nel pensiero del Papa, una vera e propria evoluzione. Al limite, un modo diverso di dire alcune cose, o di porsi in alcune situazioni.

 

Parlando al Dicastero della Comunicazione qualche tempo fa, Papa Francesco ha comunque fatto capire di prediligere le interviste che danno emozioni. È un Papa che vuole essere popolare, e che predilige coloro che lo rendono popolare. È poco a suo agio con una intervista preparata sui grandi temi, e alla fine sembra che non si prepari mai davvero a parlare. Così, spesso ci sono degli scivoloni, delle parole fuori posto, come quelle su ceceni e buriati nell’intervista ad America.

 

Questo, però, non sembra importare al Papa, che ha invece una visione pragmatica delle cose. È importante esserci, parlare, dire una opinione. È anche importante fare errori, mostrarsi vicini al popolo. Popolani, oltre che popolari. Un po’ come quando Juan Domingo Peron andava dai descamisados e si toglieva la camicia. Loro pensavano dicesse che era come loro, ma non era così. Peron stava dicendo che lui si stava abbassando al loro livello. Concetto molto diverso.

 

C’è un rischio di sovraesposizione per il Papa? Sì, certamente. Ma al Papa importa essere presente, perché solo così passerà il messaggio. Un messaggio ripetuto più volte, in più canali, ha più possibilità di essere ricordato. Specialmente se è un messaggio che non ha una profondità storica, non si nutre di concetti universali. Per Papa Francesco, la realtà è superiore all’idea. In questo, è di una coerenza totale.

 

Di fatto, essendo la realtà superiore all’idea, per Papa Francesco cadono tutti quei significati storici e simbolici che invece danno profondità a storie e situazioni. Durante il suo pontificato, Papa Francesco ha governato moltissimo a suon di motu propri, rescripta ex audientia Santtissimi e altri documenti che, in realtà, certificano un governo provvisorio, più che definitivo. Il suo più grande esercizio di governo, la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, ha diversi buchi e diversi aggiustamenti da fare, e appare a diversi esperti canonisti come un documento fortemente limitato.

 

Se per il Papa questo non era importante prima, lo è ancora meno adesso. Lo dimostra la leggerezza con cui ha accettato di chiamare “enciclica” un libro che raccoglie i suoi messaggi sulla situazione in Ucraina. Non si può chiamare enciclica, perché l’enciclica è un documento che ha il suo senso e il suo significato, ma per il Papa importa il messaggio che vuole far passare, non la sostanza del documento.

 

Questa noncuranza del Papa riguardo le storie, le tradizioni e i linguaggi si riflette anche sulle istituzioni. Se il capo delle istituzioni non considera le istituzioni degne, come faranno le istituzioni collegate alla Santa Sede a comprendere l’importanza del loro lavoro?

 

I documenti prodotti, i messaggi, spesso appaiono più un esercizio di sttile che un frutto di vera riflessione. Il 16 dicembre è stato presentato un messaggio per la Giornata Mondiale della Pace in cui ricorreva la parola pace una volta sola, che era dedicato al COVID e che alla fine non aveva molto di universale. L’idea di ascoltare, essere Chiesa in uscita, porta giocoforza ad un messaggio che resta legato ai segni dei tempi, resta contingente e manca di un significato universale.

 

Ma di questo si potevano già comprendere le conseguenze quando Papa Francesco pubblicò l’enciclica Laudato Si, che aveva molti pregi e che seguiva anche l’idea di ecologia integrale, ma che includeva anche una parte sulla questione ecologica fatta di dati e considerazioni che potevano essere smentite dalla storia. Un qualcosa di contingente, appunto, non di universale.

 

Il terzo segno di un cambiamento di epoca è che ormai il Papa è uscito allo scoperto anche sulle nomine in Curia. Finora, ha giocato a scacchi, aspettato che le persone andassero a scadenza, sostituito quelle persone con altre persone di passaggio. Ora no. Ora il Papa prende una decisione e la porta avanti.

 

Se sarà confermata l’indiscrezione che il vescovo Heiner Wilmer sarà nominato prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, sarà solo una conferma di questa tetndenza. Wilmer non poterebbe continuità. Porterebbe, però, una serie di tesi che sono anche quelle appoggiate dal Papa. Ovvero, che l’abuso è nel DNA della Chiesa. Che ci vuole più controllo, anche da parte dei laici. Che i laici devono prendere responsabilità, avere anche la possibilità di giudicare l’operato dei sacerdoti.

 

Quanto queste idee siano populismo, o frutto di una visione pragmatica delle cose, o enttrambe, è difficile da definire per Papa Francesco. Ma di certo, una nomina del genere sarebbe di profonda rottura, e testimonierebbe che è cambiato anche il linguaggio del Papa. Prima, era ardito in alcune situazioni di domanda e risposta, prudente quando doveva prendere carta e penna e scrivere, nel segno della continuità quando si trattava di nominare qualcuno.


Ora il rischio è che si perda prudenza in ogni momento del governo. Ma, ed è qui il punto, se un governo non si affida all’istituzione, ma si definisce soprattutto sui rapporti personali; se un governo non si basa sullo studio delle situazioni, ma sull’ascolto delle persone fidate; allora diventa un governo debole, perché non ha una istituzione pronta a supportarlo.

 

A 86 anni, nonostante l’amore che riceve da tutto il mondo, Papa Francesco sembra essere lasciato solo all’interno del Vaticano proprio perché manca quel senso istituzionale che rendeva importante per tutti stare vicino al Papa e supportarlo nelle sue decisioni.

 

Non si tratta solo di informalità. È un Papato che testimonia una stile di governo, un linguaggio che si è esplicitato sin dal primo giorno di pontificato, un ammiccamento al popolo e un incontro con i potenti. È un Papato che si racconta attraverso notte prese a mano, perché è un Papato che davvero non considera l’istituzione che serve

 

Papa Francesco, a dire il vero, ha compreso alcune situazioni in passato, facendo passi indietro. Ora, non sembra più essere il tempo.

 

A 86 anni, Papa Francesco si ritrova sempre più solo al comando, perché si può essere soli anche in mezzo alle folle. Ma essere solo al comando è quello che forse voleva, per portare avanti le sue riforme e continuare questo cambiamento di epoca.

 

Dopo quest’anno, probabilmente tutto cambierà in questo pontificato. Sarà interessante vedere l’evoluzione delle cose.

 

Ad multos annos, Papa Francesco!

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