Processo Palazzo di Londra

martedì 23 marzo 2021

Il Papa e Dante. Un gioco letterario

Facciamo un gioco letterario. Prossimamente, Papa Francesco dovrebbe pubblicare una lettera apostolica su Dante Alighieri, nel 700esimo anno dalla morte. Non è un segreto: lo ha annunciato tempo fa il Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Non è una novità: hanno scritto su Dante anche Paolo VI (che ne celebrò il Settecentenario dalla nascita) e Benedetto XV, che scrisse addirittura una enciclica per il Seicentenario dalla morte, la In Praeclara Summorum.

Quello che segue è un piccolo gioco letterario. Ho voluto provare a scrivere il documento del Papa, a modo mio, nel più veloce tempo possibile (è stata scritta in 33 minuti), e basandomi solo sulle reminiscenze del Liceo (ovviamente le citazioni non sono a memoria, mi ricordavo dove trovarle), con un minimo, ma proprio minimo, editing successivo. Perché il gioco? Perché spesso si dice che i documenti dei Papi sono verbosi e difficili, ma che comunque è difficile trovare una forma diversa di comunicazione, che i Papi devono esprimersi così. Possibile. Offro comunque questa lettera apostolica al gioco. La riposterò quando sarà uscita quella di Papa Francesco, e potremo giocare a fare i paragoni. Per capire un po' come si può comunicare anche in via ufficiale. 

              Lettera Apostolica "Itinerarium Mentis in Deum"

L’itinerario della mente verso Dio è raccontato, con grande perizia, dal Sommo Poeta Dante Alighieri, di cui quest’anno ricorre il Settecentesimo anniversario della morte. La Commedia dantesca, che solo in seguito sarà chiamata Divina, racconta infatti l’itinerario di una anima quasi perduta sulla terra, che invece, attraverso un percorso tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, viene purificata nella conoscenza della grazia di Dio. Una grazia che agisce nella storia, che è presente già nel mondo pagano, e che trova totale compimento nella visione celestiale del Paradiso.

La Commedia di Dante è Divina proprio perché è una opera concepita per andare verso Dio. Ma è, soprattutto, un’opera umana. Racconta di una umanità ferita, divisa, tradita, Racconta i nostri peccati e le nostre lotte interiori. Racconta, in fondo, l’umanità che si è dipanata fino al tempo di Dante, e che continua ridisegnarsi giorno dopo giorno. Ma, soprattutto, racconta della misericordia di Dio.

Questa misericordia permette a Dante di uscire fuori dalla “selva oscura” della sua vita, di fronte alle sue belve che altro non sono che la rappresentazione dei suoi vizi, per intraprendere il suo personale itinerario verso Dio. Questa misericordia si presenta a Dante in molti modi e in molte situazioni: nelle storie che incontra e che racconta, nelle visioni celesti che arriva a meritare per aver compiuto il lungo percorso verso il cielo, nei suoi accompagnatori, prima Virgilio, poi Beatrice e quindi San Bernardo.

Questi tre accompagnatori rappresentano l’uomo, l’amore e Dio. L’uomo, perché Virgilio fu l’ispirazione di Dante nella sua attività poetica. È singolare che Virgilio, un pagano, sia scelto da Dante come guida non solo nell’Inferno, ma fino all’ascesa del Monte del Purgatorio.

A lui subentrerà Beatrice, la donna amata da Dante. Quello di Dante per Beatrice è un amore simbolico, platonico, e per questo eterno, puro, incorrotto. Solo quel tipo di amore permette di cominciare a comprendere l’amore che si respira nel Paradiso, ascendendo passo dopo passo lì dove Dio è più vicino.

Ci vuole, però, un santo per portare all’interno del mistero di Dio, e per questo Dante sceglie San Bernardo di Chiaravalle, che arriva al XXXI Canto. San Bernardo, con la sua opera di riformatore, teologo contemplativo, ma soprattutto iniziatore della teologia sistematica. Scrittore raffinato, oppositore del razionalismo di Pietro Abelardo, Bernardo di Chiaravalle aveva fondato alla sua morte 350 monasteri, che vivevano secondo la sua interpretazione, molto ascetica, della Regola benedettina. Per questo, è considerato piuttosto un uomo d’azione e un mistico.

Proprio per questo, Dante sceglie Bernardo come guida. Mistico e uomo d’azione, devotissimo di Maria che nella Commedia è definita “umile ad alta più creatura”, Bernardo non solo è il “Doctor Melliflus” per le sue qualità oratorie, ma anche colui che assomma tutte le qualità che permettono a Dante la redenzione finale, fino a giungere al termine del suo percorso nel Paradiso.

Bernardo è, in fondo, il contrappasso di Dante, che era entrato nella “selva oscura” della superbia intellettuale, che, con Bernardo, termina il processo di ascesi che lo riporta alla piena umiltà. Nessuno scrittore, nessun cantore, può aspirare a raccontare l’opera di Dio.

Paradossalmente, ascendendo verso il Paradiso, Dante supera la tentazione di Babele, che è quella di fare una torre che arrivi fino in cielo. La supera andando egli stesso verso il cielo, ma attraverso un percorso di purificazione che lo fa ritornare umano, scevro da tutte le prometeiche aspirazioni alla divinità dell’essere umano.

Dante dice molto all’uomo di oggi. Cercando con umiltà di raccontare l’uomo, Dante si trova a scrivere una opera grandiosa, di straordinario ingegno, densa di simboli che permettono di tracciare una vera e propria cosmologia dell’umanità.

Il discorso poetico di Dante è lo stesso itinerario della mente verso Dio che, in quello stesso periodo, ispira le grandi cattedrali gotiche e dà respiro al dibattito filosofico. Giova ricordare che quelle cattedrali furono costruite per volere dei poveri e dei fedeli, quasi tutti analfabeti, che non esitavano a tassarsi per chiedere edifici che sapessero cantare la Gloria di Dio anche nella plasticità delle loro torri, e per poter così cominciare quel percorso verso il Paradiso che nasce dal considerarsi infinitamente piccoli al cospetto di Dio.

Ma Dio è misericordioso, e questa misericordia è iscritta nel canto IX del Purgatorio. Tutti conoscete il simbolo della Santa Sede, composto dalle chiavi decussate, di colore argento ed oro. Il colore di quelle chiavi è spiegato proprio in quel Canto del Purgatorio.

 

             Cenere, o terra che secca si cavi,
             d'un color fora col suo vestimento;
             e di sotto da quel trasse due chiavi.
             L'una era d'oro e l'altra era d'argento;
             pria con la bianca e poscia con la gialla
             fece a la porta sì, ch'i' fu' contento.
            «Quandunque l'una d'este chiavi falla,
            che non si volga dritta per la toppa»,
            diss'elli a noi, «non s'apre questa calla.
            Più cara è l'una; ma l'altra vuol troppa
            d'arte e d'ingegno avanti che diserri,
            perch'ella è quella che 'l nodo digroppa.
            Da Pier le tegno; e dissemi ch'i' erri
             anzi ad aprir ch'a tenerla serrata,
            pur che la gente a' piedi mi s'atterri».

L’Angelo deve consentire ai pellegrini di varcare la soglia, ma prima si sofferma a descrivere le chiavi che ha ricevuto direttamente da San Pietro. Una è d’oro, l’altra è d’argento. Una è gialla, l’altra è bianca. La prima rappresenta l’autorità concessa da Cristo ai ministri della Chiesa di rimettere i peccati. La seconda, la sapienza concessa al sacerdote nell’assolvere. La prima è quella più preziosa, la seconda quella più difficile da maneggiare.

 Le due chiavi devono operare insieme. Se una delle due fallisce, e non riesce a compiere il giro nella toppa, la porta non si apre. Ma Pietro ha detto all’Angelo che è meglio sbagliare nell’aprire piuttosto che nel chiudere. È la logica del Vangelo del perdono cristiano, concesso “Settanta volte sette”, a condizione che l’uomo di fede sia sinceramente e umilmente pentito.

Era questa anche la logica dell’Anno Santo Straordinario della Divina Misericordia da me proclamato nel 2015: far conoscere a tutti la misericordia di Dio, passaggio indispensabile per poter cominciare tutti il nostro personale percorso verso Dio.

Così, come la teologia di San Bonaventura e il suo Itinerarium Mentis in Deum ispirarono il Sommo Poeta, anche noi siamo chiamati a trovare ispirazione nell’opera di Dante per compiere il nostro personale percorso.

Dobbiamo coltivare la nostra sapienza, stando lontano dalla superbia intellettuale, per non cadere nella selva oscura. Dobbiamo curare la grazia, che si manifesta nella nostra storia personale in tanti modi, per poter cercare di giungere allo sguardo di Dio. Dobbiamo prestare attenzione alle nostre guide, non trascurando le nostre aspirazioni personali, ma senza mai mettere da parte i nostri percorsi spirituali. E dobbiamo sempre ricordare che, in questo percorso, c’è lo sguardo benigno di Dio, che è rappresentato anche nel simbolo della Santa Sede.

 Rendiamo dunque onore a Dante, e facciamolo in particolare nel giorno dell’Incarnazione del Signore: è quello il giorno in cui comincia simbolicamente il grande percorso che porterà Dante fino al Paradiso. E affidiamoci, come Dante, alla Vergine Maria, aiuto dei cristiani, mediatrice che ci aiuterà sempre, infallibilmente, a contemplare il volto di Dio. 

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,
3

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
6

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
9

Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
12

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali.
15

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.
18

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.
21

Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,
24

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute.
27

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
30

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.
33

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.
36

Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!».
39

Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati;
42

indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s’invii
per creatura l’occhio tanto chiaro.
45

E io ch’al fine di tutt’ i disii
appropinquava, sì com’ io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii.
48

Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’ io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea:
51

ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera.
54

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.
57

Qual è colüi che sognando vede,
che dopo ’l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede,
60

cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.
63

Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.
66

O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,
69

e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;
72

ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.

 

Dante, Commedia, Paradiso, Canto XXXIII


Nessun commento:

Posta un commento