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lunedì 28 settembre 2020

Finanze vaticane, il ruolo dei media cattolici


Il caso del Cardinale Giovanni Angelo Becciu, che su richiesta del Papa ha lasciato le prerogative cardinalizie e l’incarico di prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, è un buono spunto di riflessione su quello che può essere l’informazione cattolica e su quali potrebbero essere i temi che contano davvero.

La storia delle dimissioni del Cardinale Becciu la sappiamo da lui stesso, ma senza alcuna prova. Come non abbiamo informazioni delle indagini su un presunto peculato attribuito al porporato, o perlomeno niente di ufficiale o completamente sicuro da un punto di vista informativo. Tra l’altro, non sappiamo nemmeno come funzionerà la rinuncia delle prerogative del cardinalato, non è stato reso noto nessun decreto del Decano del Sacro Collegio. C’è un buco informativo, che non può essere coperto da uno scarno comunicato di Sala Stampa della Santa Sede.

 Ed è anche per questo che, dal momento delle dimissioni, e anche appena prima, i giornali sono stati pieni di descrizioni sul cosiddetto “sistema Becciu”, sul modo in cui avrebbe favorito le società dei fratelli, e persino ricostruzioni su come il Papa sarebbe arrivato a perdere fiducia in lui.

Tutto questo proliferare di informazioni deve far riflettere. Come in ogni caso, è importante andare a  guardare le fonti di informazione. Quasi tutti i giornalisti che si stanno occupando della questione non sono vaticanisti, ma cronisti di giudiziaria. Significa che le informazioni non arrivano direttamente dal Vaticano, ma generalmente da fonti investigative. E significa anche che le informazioni non vengono trattate da specialisti del Vaticano, con tutto quel che ne consegue in termini di linguaggio e spiegazione dei fatti.

Si crea, così, un partito fatto di alcuni giornali che hanno un rapporto privilegiato con alcune procure, e che così deviano completamente l’opinione pubblica.

Il caso Becciu viene scandagliato fin nei dettagli. Ma tutti questi dettagli, probabilmente, permettono di guardare un presunto scandalo dal buco della serratura. Sono importanti per capire.

Ma – ed è questa la domanda - la comunicazione cattolica si può fermare a questi dettagli? Può semplicemente andare a scandagliare cifre e dati di un presunto scandalo?

 Io credo di no. E credo di no perché la posta in gioco non è un semplice scandalo finanziario, se ce ne è stato qualcuno. La posta in gioco è la credibilità della Santa Sede come istituzione, e la credibilità della Chiesa. Sono cose che vanno di pari passo.

In fondo tutti siamo tentati di essere giustizialisti. Se c’è qualcosa che non funziona, tendiamo a pensare che non debba funzionare niente. È un meccanismo in cui entriamo molto facilmente, ed è umano.

Eppure, come comunicatori cattolici, siamo chiamati a fare un passo in più. Dobbiamo guardare oltre le diatribe tra cardinali, le amarezze e gli attacchi personali, cercando una visione di insieme complessiva. Ed è molto difficile, perché i lettori vogliono soldi, sesso, sangue, e quello che dovremmo offrire è informazione, analisi e approfondimento. Tutta roba che si vende con grande difficoltà.

Non solo. Il comunicatore cattolico deve avere la capacità di non prendere una posizione, ma di guardare ai fatti. Personalmente, sono sempre sospettoso quando si danno giudizi netti. E credo che sia bene essere un po’ “avvocato del diavolo”, andando a guardare anche la complessità delle questioni, in ogni caso.

È vero che le dichiarazioni stesse dei protagonisti delle vicende ci portano a creare contrapposizioni, come quelle tra il Cardinale Becciu e il Cardinale Pell. Ma davvero la contrapposizione racconta quello che sta succedendo? Davvero tutto si può dividere rozzamente in buoni e cattivi?

La verità è che, nella storia delle finanze vaticane e dei loro sviluppi, difficilmente si trovano vincitori e vinti con nettezza. C’è un Vaticano nascosto, fondamentale, che ha cercato di mantenere gli equilibri tra due linee di pensiero che avevano punti di partenza legittimi e a volte esecuzioni non così buone. Una linea di pensiero voleva fare della Santa Sede una sorta di azienda, un’altra linea di pensiero voleva invece mantenere lo Stato vaticano arroccato nelle sue posizioni. Né l’uno, né l’altro estremo poteva funzionare.

Non guardare alle situazioni nella loro complessità rischia davvero di non dare un quadro della situazione. Si tratta allora di fare un passo indietro, per guardare meglio tutto l’insieme e cercare di capire la posta in gioco.

E la posta in gioco è la Santa Sede, sebbene poi si vada a colpire anche la Chiesa. Ma siamo in grado di capire quale è il valore della Santa Sede? E siamo in grado di concepire la Santa Sede come un valore per sé?

Da tempo, la Santa Sede viene ritenuta come un elemento anacronistico nel panorama internazionale, perlomeno da campagne che spingono sempre più e sempre più forte per marginalizzarne l’impatto, attaccando la religione con l’obiettivo segreto di attaccare la sovranità della Santa Sede.

Eppure, la Santa Sede è un valore. Lo è quando, in sede internazionale, difende la dignità umana di tutti e ciascuno, evitando le discriminazioni. Lo è quando può levare la sua voce in favore del povero, dell’orfano, della vedova. Quando può difendere la libertà religiosa. Quando può mediare tra le nazioni per la pace.

Certo, la Santa Sede ha bisogno di un corpo, fa investimenti con i suoi dicasteri, in vari modi, e nelle pieghe degli investimenti si possono nascondere errori di valutazione e corruzione. Ma nelle pieghe degli investimenti si nasconde anche un mondo che cerca di introdursi nella Santa Sede, di destrutturarla, di metterla a rischio per la sola volontà di poterla controllare.

Dovrebbe colpire che questi casi finanziari sono quasi sempre casi italiani. Che buona parte dei leaks arrivano dall’Italia a cronisti di giudiziaria italiana. Che buona parte delle ultime nomine in campo finanziario sono nomine di italiani.

Si tratta di farsi le domande e cercare di capire gli attori in gioco. Senza farsi prendere dalla sindrome del complotto, perché il complotto a volte è roba troppo raffinata per spiegare quello che sta accadendo. Ma senza nemmeno non comprendere che alcune cose sono parte di un disegno, di una volontà precisa.

Cosa è a rischio? L’istituzione o le finanze dell’istituzione? Questa è una domanda fondamentale per l’operatore di comunicazione cattolico.

Poi, e solo poi, vengono dettagli, numeri, indagini, ma sempre tenendo conto del quadro generale. Non si tratta di giustificare i corrotti, ma di tenere un sano atteggiamento di distacco per comprendere le situazioni, e trovare vie di analisi non partigiane e giuste.

Anche nel caso delle finanze, ci troviamo invece di fronte alle dottrine ideologiche, in cui i cosiddetti conservatori sono sostenuti da quanti la pensano come loro, anche se questi fanno errori, e lo stesso fanno i cosiddetti progressisti.

Ma la stampa cattolica dovrebbe guardare oltre. E solo così si potrebbe rendere conto che c’è un coltello puntato contro la Santa Sede, ma il cui manico è diretto da fuori la Santa Sede. Solo così potrebbe comprendere che tanti dettagli aiutano a capire come funzionano le cose, ma spesso impediscono di guardare alla realtà nella loro completezza. Solo così potrebbe fornire un quadro della situazione giusto.

Si deve spiegare perché ci sono finanze vaticane, e perché sono state amministrate in quel modo per tanto tempo. Se ci saranno illeciti, saranno descritti ed eventualmente sanzionati. Ma non è necessario, per farlo, attaccare il sistema con il segreto (ma neanche troppo) obiettivo di smantellarlo. Serve piuttosto l’onestà intellettuale di capire che non tutto in Vaticano è complotto. C’è bisogno di un nuovo sguardo.

Vale la pena di raccontare questa stagione di finanze vaticane. Vale la pena spiegare soprattutto la ragione dietro alcune scelte. Perché spesso è proprio quello che manca: la comprensione delle ragioni del passato. E così, si entra in un mondo opaco dal quale si esce con difficoltà.

Questa è la grande sfida comunicativa dei media cattolici per le finanze vaticane: raccontare quello che sono, non andare dietro alle mode del pensiero, dare alla Santa Sede una sua dignità. Ed è questo, probabilmente, quello che è mancato fino ad ora nel dibattito che ha fatto seguito alle dimissioni di Becciu.

È un tema su cui riflettere. A fondo.

 

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