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mercoledì 19 febbraio 2020

Le reazioni a Querida Amazonia mostrano tre problemi nel dibattito sulla Chiesa

A una settimana dalla pubblicazione dell’esortazione post-Sinodale Querida Amazonia, i commenti che sono comparsi possono dividersi in tre categorie: i delusi, gli esultanti, quelli che cercano di mediare tra le parti.


I delusi appartengono ad un fronte intellettuale progressista, che vuole una Chiesa de-clericalizzata, in mano ai laici, senza strutture di potere. Una Chiesa, in fondo, inesistente in società, quasi insignificante, a volte ridotta ad una agenzia di promozione sociale. Ma – è questo il dato interessante – paradossalmente clericalizzata, così clericalizzata che uno dei cavalli di battaglia di questo movimento è quella dell’ordinazione dei preti sposati. Vale a dire: invece di un rinnovato protagonismo dei laici nella Chiesa, si punta ad avere questo protagonismo con l’ordinazione di uomini sposati, laici appunto. Un modo di raggiungere uno status.

Gli entusiasti sono quanti sono invece contenti che non ci sia stata una svolta dottrinale. Tutti pensavano che Papa Francesco avrebbe aperto alla possibilità dei viri probati o delle donne diacono, perché questa era una delle proposte avanzate nei documenti finali del Sinodo. La verità è che a Papa Francesco non interessava particolarmente il tema dei viri probati, quanto quello dell’Amazzonia come espressione di un continente, l’America Latina, che deve prendersi il suo posto nel mondo. E in effetti lo stesso Papa Francesco ha lamentato le pressioni per l’ordinazione dei sacerdoti sposati in una delle ultime visite ad limina ricevute dai vescovi stattunitensi.

Poi ci sono quelli che cercano di mediare da entrambe le parti, e rappresentano la comunicazione “para istituzionale” o “istituzionale” di Papa Francesco. L’editoriale di Vatican News che accompagnava l’esortazione sottolineava che “Papa Francesco testimonia uno sguardo che eccede le diatribe dialettiche che hanno finito per rappresentare il Sinodo quasi come un referendum sulla possibilità di ordinare sacerdoti uomini sposati”.

Ma poi aggiungeva che si trattava di una “questione discussa da lungo tempo e che potrà esserlo ancora in futuro, perché ‘la perfetta e perpetua continenza’ non è ‘certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio’, come ha affermato il Concilio Ecumenico Vaticano II”.

Come a dire: il Papa non lo ha detto, ma una apertura è comunque possibile. Un modo per rassicurare quanti si sarebbero sicuramente sentiti delusi dal tono dell’esortazione?

Poi c’è stato l’arcivescovo Victor Fernandez, il “teologo” di Papa Francesco, arcivescovo di La Plata, che ha affermato:  “Non dobbiamo dire, come hanno detto alcuni media, che Francesco ha chiuso le porte o ha escluso la possibilità di ordinare alcuni uomini sposati. In effetti, nell’introduzione Francesco limita la portata del suo documento”.

Questa limitazione della portata del documento è dovuta al fatto che Papa Francesco presenta, nell’esortazione, anche il documento finale del Sinodo dei vescovi, che aveva chiaramente la richiesta per l’ordinazione di uomini sposati al punto 111.

Ma davvero la presentazione ufficiale del documento finale del Sinodo va a limitare la portata di una esortazione finale? Perché, come è stato giustamente spiegato nella conferenza stampa di presentazione, l’esortazione finale è parte del magistero ordinario del Papa, mentre non lo è il documento finale del Sinodo, a meno che non detto espressamente da Papa Francesco. Quello mostra solo le proposte.

Tutto il dibattito, però, non è interessante per i contenuti, ma per la cornice. In fondo, è un dibattito che dice molto di come l’informazione religiosa, e l’informazione in generale, manchino di cogliere realmente quello che vuole dire la Chiesa.

Prima di tutto, c’è la questione della polarizzazione. Dal Concilio Vaticano II in poi, tutto deve essere polarizzato nei due grandi estremi dei progressisti e conservatori. I progressisti che vogliono una Chiesa  al passo con i tempi, i conservatori che vogliono una Chiesa tradizionale. Chi conosce minimamente la Chiesa, e chi sa un po’ del dibattito teologico generale, sa che questa schematizzazione è una forzatura.

Quello che colpisce è che però nemmeno quelli che ne sono coinvolti riescono a sfuggire alle forzature. Si imprigionano loro stessi negli schemi. Dal fronte conservatore è arrivato, nelle settimane precedenti la pubblicazione dell’esortazione, un avvertimento che Papa Francesco avrebbe aperto sui preti sposati, rompendo così la barriera della tradizione. Dal fronte progressista, erano arrivati avvertimenti che, se rivoluzione non sarebbe stata, non lo sarebbe stata per via del fatto che Papa Francesco aveva dovuto cedere a ricatti, a complotti degli osservatori.

Ci si chiude - media, intellettuali, cattolici – in schemi precostituiti, come se il gioco non potesse essere giocato in maniera diversa. Da qui nascono aspettative, che sono figlie proprio di un errore di interpretazione generale.

In secondo luogo, il problema dell’approfondimento. Papa Francesco ha spesso difeso il celibato sacerdotale, e sulla questione delle cosiddette diaconesse ha rimandato più volte la discussione, istituendo una prima commissione e poi annunciando che avrebbe allargata la seconda. Ma basta leggere Papa Francesco per comprendere che, per lui, l’eccezione amazzonica è l’epitome di un continente, quello latino-americano, che Papa Francesco vorrebbe unito e forte, e nel quale Papa Francesco vede le possibilità storiche per candidarsi da guida del mondo. Lo conferma anche la narrativa dei “sogni” per l’Amazzonia costruita nel documento. Era lecito, alla fine, anche non aspettarsi aperture sul tema del celibato. Ma in pochissimi hanno pensato a questa eventualità. Gli schemi precostituiti hanno, in qualche modo, oscurato i punti di vista.

E si arriva qui al terzo problema, quello dell’autoreferenzialità. Dopo la pubblicazione dell’esortazione, è stato più volte detto, anche in via istituzionale, che la questione del celibato non è chiusa. Sono interventi che sanno tanto di giustificazione, che sembrano cercare di superare delle contestazioni che ci saranno. Ma perché dover rispondere? Perché dover mettere le mani avanti? Perché invece non uscire dalla “bolla” del dibattito interno per guarda al documento nel suo complesso, concentrandosi ancora di più su quello che dice e lasciando da parte quello che non dice?

Tutti, invece, vanno a cercare il cavillo. C’è chi, dal fronte conservatore, non vede abbastanza chiarezza dottrinale e quindi afferma che l’applicazione nelle Chiese locali sarà decisiva. Chi, dal fronte progressista, si affanna a far vedere che in fondo il Papa vuole un nuovo protagonismo dei laici, altro che preti sposati.

Resta, però, un dibattito sterile. Come era sterile il dibattito intorno l Concilio Vaticano II, e lo sottolineò bene Benedetto XVI quando parlò del “Concilio dei padri” e del “Concilio dei media”. Come sono sterili tutti i dibattiti che puntano a tirare i Papi per la tonaca perché cambino qualcosa nella dottrina, non si capisce con quale interesse.

C’è il rischio che tutto questo faccia perdere di vista gli strumenti di analisi necessari per comprendere davvero questo pontificato. Ma, d’altronde, non sarebbe la prima volta. Paolo VI fu intrappolato nella diatriba, tutta mediatica, dell’Humanae Vitae. Giovanni Paolo II attaccato per la fermezza dottrinale. Benedetto XVI per le sue parol sul preservativo andando in Africa nel 2009.

Magari, alla fine, è necessario allargare lo sguardo, porsi con umiltà davanti ai fatti, e accettarli come sono, senza sovrastrutture. Non è detto che tutte le cose siano buone, e un giornalista ha il dovere di segnalare quello che non va. Ma non è detto che siano tutte ideologicamente fondate nei due “sacri pilastri” della destra e della sinistra. Se tutto viene interpretato in questo modo, si rischia di non cogliere l’essenza delle cose. Sia essa buona o cattiva.

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